Per gli Usa la base di Sigonella è troppo lontana dal fronte libico. Serve un avamposto più vicino al fronte libico — spiegano — una base che permetta ai droni (e non solo a loro) di raggiungere rapidamente il Nord Africa e di starci a lungo. La caccia ai terroristi richiede tempo, è un lavoro paziente che può durare giorni o settimane. Ecco allora la richiesta di aprire un’installazione in un Paese amico, dal quale far decollare i velivoli senza pilota spesso protagonisti della guerra non vista. La preferita della presidenza Obama.
Washington — secondo il Wall Street Journal — ha avviato negoziati con alcuni governi della regione. Si ipotizzano la Tunisia e l’Egitto, entrambi alleati e alle prese con la sfida jihadista. Uno dei due potrebbe dire sì, anche se ci sono ostacoli politici e di sensibilità. Già in passato il Pentagono aveva sondato i tunisini, voleva creare un «centro» nella parte meridionale del Paese. Anche ilCorriere aveva raccontato dell’attività di forze speciali statunitensi. Presenza, però, smentita a livello ufficiale ma che potrebbe essersi concretizzata in operazioni d’appoggio alle unità locali.
E del resto un aereo per l’intelligence americano usa regolarmente Catania o Pantelleria per missioni nelle aree dove si nascondono i guerriglieri islamisti, da Kasserine fin verso est. Altri velivoli usano punti d’appoggio in Marocco, Mauritania e Niger: interventi iniziati all’epoca del contrasto ad Al Qaeda nella terra del Maghreb ma che devono essere «aggiornati» in chiave anti-Isis. Per questo il comando americano punta ad avere maggiori opzioni, cercando di eliminare una carenza di intelligence sul teatro della Libia, ritenuto un «punto cieco».
Qui, oltre alle molte milizie, agiscono «brigate» qaediste e le formazioni dello Stato Islamico. Qualche settimana fa quattro caccia F15E hanno colpito una riunione di capi con una lunga missione: in apparenza sono partiti dalla Gran Bretagna ed hanno avuto bisogno di numerosi aerei-cisterna. Aspetti logistici che con una base di droni armati in Tunisia o in Egitto verrebbero superati. Il «mietitore di Obama» rimarrebbe per ore su Sirte, Derna o la zona sud, crocevia dei traffici e snodo i movimenti dei mujaheddin. Se fino a ieri ci sono state resistenze da parte dei governi della regione che temevano di offrire altri pretesti ai loro nemici ospitando mezzi statunitensi, non è azzardato pensare che la situazione attuale li costringa a cambiare idea accogliendo i desiderata del Pentagono. La Libia è perennemente in fiamme, ma il fuoco brucia intenso a Tunisi come al Cairo.
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