giovedì 16 luglio 2015

pc 16 luglio - FORMAZIONE OPERAIA - IL CONCETTO DI PLUSVALORE RELATIVO... In quanti modi il capitale sfrutta gli operai

Fino a questo punto abbiamo trattato della produzione del plusvalore assoluto che consiste nel prolungare la giornata lavorativa di una, due, tre ore… oltre il limite delle ore che servono all’operaio a reintegrare l’equivalente del suo salario, cioè delle ore di lavoro necessarie a reintegrare i suoi mezzi di sostentamento. Ma il capitalista possiede anche altri mezzi per estrarre plusvalore, per esempio quello di cui si tratta in questo capitolo e cioè il plusvalore relativo.

“Finora”, dice Marx “quella parte della giornata lavorativa che produce soltanto un equivalente del valore della forza-lavoro pagato dal capitale, è stata per noi una grandezza costante, lo è di fatto in date condizioni di produzione, a un dato grado di sviluppo economico della società. Oltre questo suo tempo necessario di lavoro, l’operaio poteva lavorare due, tre, quattro, sei ore, ecc. Il saggio del plusvalore e la grandezza della giornata lavorativa dipendevano dalla grandezza di quel prolungamento.” Dunque, “Se il tempo necessario di lavoro era costante, la giornata lavorativa complessiva era invece variabile.”

Ma se invece la giornata, per esempio, a causa di leggi, diventa “fissa”, mettiamo di 12 ore, “Si domanda ora: come si può aumentare la produzione di plusvalore, cioè come si può prolungare il pluslavoro, senza ulteriori prolungamenti”? In questo caso, dice Marx, il capitalista accorcia il tempo di lavoro che serve all’operaio per reintegrare il suo salario allungando così relativamente la parte che spetta a lui.




“Al prolungamento del pluslavoro corrisponderebbe l’accorciamento del lavoro necessario: cioè, una parte del tempo di lavoro, che fin allora l’operaio ha consumato di fatto per se stesso, si trasforma in tempo di lavoro per il capitalista. Quel che vien cambiato, non sarebbe la durata della giornata lavorativa, ma la sua suddivisione in lavoro necessario e pluslavoro.”

Certo il capitalista, dice Marx, potrebbe ottenere lo stesso risultato pagando meno l’operaio ma il nostro presupposto è che egli paghi la forza-lavoro acquistata sul mercato al suo valore, altrimenti “questo risultato sarebbe raggiunto tuttavia soltanto comprimendo il salario dell’operaio al di sotto del valore della forza-lavoro dell’operaio” che con meno soldi potrebbe comprare solo una parte dei mezzi di sussistenza necessari per cui avremmo “riproduzione deteriorata della forza-lavoro”. Marx aggiunge “Malgrado che questo metodo rappresenti una parte importante nel movimento reale del salario, esso qui viene escluso per il presupposto che le merci, e quindi anche la forza-lavoro, vengano comprate e vendute al loro pieno valore.

“Una volta stabilito questo presupposto” aggiunge Marx “il tempo di lavoro necessario per la produzione della forza-lavoro ossia per la riproduzione del suo valore non può diminuire per il fatto che il salario dell’operaio cali al di sotto del valore della sua forza-lavoro, ma può diminuire soltanto quando cali questo valore stesso.”
E come fa a calare il valore stesso della forza lavoro? come fa a “costare” di meno? Solo se costano di meno i mezzi di sostentamento, le merci. Quindi anche “la massa dei mezzi di sussistenza” venga prodotta in minor tempo affinché abbia meno valore. Ma “ciò è impossibile senza un aumento della forza produttiva del lavoro.”

“Un calzolaio, per esempio, è in grado di fare, con dati mezzi, in una giornata lavorativa di 12 ore, un paio di stivali. Se dovesse fare due paia di stivali nello stesso tempo, la forza produttiva del suo lavoro dovrebbe raddoppiare; ma essa non può raddoppiare senza un mutamento dei suoi mezzi di lavoro o del suo metodo di lavoro, o dell’uno e degli altri insieme. Deve dunque subentrare una rivoluzione nelle condizioni di produzione del suo lavoro, cioè nel suo modo di produzione, e quindi nello stesso processo lavorativo. Per aumento della forza produttiva del lavoro intendiamo qui in genere un mutamento nel processo lavorativo per il quale si abbrevia il tempo di lavoro richiesto socialmente per la produzione di una merce, per il quale dunque una minor quantità di lavoro acquista la forza di produrre una maggior quantità di valore d’uso.” 

E qui, dice Marx, subentra un cambiamento essenziale, perché “mentre nella produzione del plusvalore [assoluto]…, si supponeva come dato il modo di produzione, per la produzione di plusvalore mediante trasformazione di lavoro necessario in pluslavoro, non basta affatto che il capitale s’impossessi del processo lavorativo nella sua figura storicamente tramandata ossia presente e poi non faccia altro che prolungarne la durata. Il capitale non può fare a meno di metter sotto sopra le condizioni tecniche e sociali del processo lavorativo, cioè lo stesso modo di produzione, per aumentare la forza produttiva del lavoro, per diminuire il valore della forza-lavoro mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro, e per abbreviare così la parte della giornata lavorativa necessaria alla riproduzione di tale valore.” 

Ma ciò non basta, perché “L’aumento della forza produttiva, se vuol diminuire il valore della forza-lavoro, deve impadronirsi di quei rami d’industria i cui prodotti determinano il valore della forza-lavoro, cioè appartengono alla sfera dei mezzi di sussistenza abituali, oppure li possono sostituire.” Ma anche gli altri rami dell’industria contribuiscono: “Per esempio: il valore d’uno stivale non è determinato soltanto dal lavoro del calzolaio, ma anche dal valore del cuoio, della pece, del filo, ecc. Dunque, anche l’aumento della forza produttiva e la corrispondente riduzione a più buon mercato delle merci nelle industrie che forniscono gli elementi materiali del capitale costante, cioè i mezzi di lavoro e il materiale di lavoro per la produzione dei mezzi di sussistenza necessari, fanno anch’essi calare il valore della forza-lavoro.” “Invece, nelle branche della produzione che non forniscono nè mezzi di sussistenza necessari, né mezzi di produzione per la preparazione di questi, l’aumento della forza produttiva lascia intatto il valore della forza-lavoro.”

“È ovvio che la merce ridotta più a buon mercato fa calare il valore della forza-lavoro solo pro tanto, cioè soltanto nella proporzione in cui trapassa nella riproduzione della forza-lavoro. Le camicie, per esempio, sono un mezzo di sussistenza necessario, ma sono solo un mezzo di sussistenza fra molti altri. Ch’esse vengano ridotte più a buon mercato, diminuisce soltanto la spesa che l’operaio sostiene per le camicie. La somma complessiva dei mezzi di sussistenza necessari consiste tuttavia solo di merci differenti, tutte prodotti di industrie particolari, e il valore di ognuna di queste merci costituisce sempre una parte aliquota del valore della forza-lavoro. Questo valore decresce col decrescere del tempo di lavoro necessario per la sua riproduzione e l’accorciamento complessivo di questo tempo di lavoro è eguale alla somma dei suoi accorciamenti in tutti quei rami particolari di produzione. Noi qui trattiamo questo risultato generale come se esso fosse risultato immediato e fosse fine immediato in ogni singolo caso. Quando un singolo capitalista riduce più a buon mercato per es. le camicie mediante un aumento della forza produttiva del lavoro, non è affatto necessario che si proponga il fine di far calare pro tanto il valore della forza-lavoro e quindi il tempo di lavoro necessario; ma egli contribuisce ad aumentare il saggio generale del plusvalore solo in quanto e per quanto finisce per contribuire a quel risultato di far calare il valore della forza-lavoro.” Insomma, dice Marx, le leggi proprie del capitalismo costringono i capitalisti a farsi concorrenza e queste leggi arrivano “alla coscienza del capitalista individuale come motivi direttivi del suo operare” ma ciò verrà analizzato più avanti.

E qui Marx fa un esempio che sintetizziamo: “Supponiamo ora che a un capitalista riesca di raddoppiare la forza produttiva del lavoro e quindi di produrre 24 invece di 12 pezzi di quel genere di merci, nella giornata lavorativa di 12 ore. Rimanendo invariato il valore dei mezzi di produzione…” Il valore complessivo di questa produzione si distribuirà sul doppio dei pezzi per cui si abbasserà il valore individuale della singola merce. A questo punto “Il valore individuale di questa merce sta ora al di sotto del suo valore sociale, cioè, essa costa meno tempo di lavoro di quanto ne costi il gran cumulo degli stessi articoli prodotto nelle condizioni sociali medie.” Ma, come abbiamo già visto, “il valore reale di una merce non è il suo valore individuale, bensì il suo valore sociale: cioè il suo valore sociale non viene misurato mediante il tempo di lavoro che essa costa di fatto al produttore nel singolo caso, ma mediante il tempo di lavoro richiesto socialmente per la sua produzione.”
Certo adesso però “per vendere il prodotto di una sola giornata lavorativa, egli ha bisogno di uno smercio doppio, ossia di un mercato due volte più grande. Rimanendo invariate per il resto le circostanze, le sue merci conquistano un mercato più vasto solo mediante una contrazione dei loro prezzi. Le venderà quindi al di sopra del loro valore individuale, ma al di sotto del loro valore sociale” realizzando così un plusvalore straordinario.

In questo caso quindi “il capitalista che applica il modo di produzione perfezionato, si appropria per il pluslavoro una parte della giornata lavorativa maggiore di quella appropriatasi dagli altri capitalisti nella stessa industria. Egli fa singolarmente quel che il capitale fa in grande e in generale nella produzione del plusvalore relativo.” Ma anche gli altri capitalisti sono costretti dalla concorrenza a fare lo stesso per cui, “quel plusvalore straordinario scompare appena il nuovo modo di produzione si generalizza e con ciò scompare la differenza fra il valore individuale delle merci prodotte più a buon mercato e il loro valore sociale.” Dunque “il saggio generale del plusvalore è insomma intaccato da tutto questo processo soltanto quando l’aumento della forza produttiva del lavoro s’è impadronito di rami di produzione, e dunque ha ridotto più a buon mercato merci che entrano nella cerchia dei mezzi necessari di sussistenza e quindi costituiscono elementi del valore della forza-lavoro.”

Per riassumere dice Marx: “Il valore delle merci sta in rapporto inverso alla forza produttiva del lavoro; e altrettanto il valore della forza-lavoro, perché determinato da valori di merci. Invece, il plusvalore relativo sta in rapporto diretto alla forza produttiva del lavoro. Cresce col crescere della forza produttiva, e cala col calare di essa..… È quindi istinto immanente e tendenza costante del capitale aumentare la forza produttiva del lavoro per ridurre più a buon mercato la merce, e con la riduzione a più buon mercato della merce ridurre più a buon mercato l’operaio stesso.
Quindi, “Per il capitalista che produce la merce, il valore assoluto di questa è, in sè e per sè, indifferente: gli interessa solo il plusvalore insito nella merce e realizzabile nella vendita. La realizzazione di plusvalore implica di per se stessa la reintegrazione del valore anticipato. Ora, poichè il plusvalore relativo cresce in proporzione diretta dello sviluppo della forza produttiva del lavoro, mentre il valore delle merci cala in proporzione inversa dello stesso sviluppo, poichè dunque il medesimo e identico processo riduce più a buon mercato le merci e aumenta il plusvalore in esse contenuto, ecco risolto l’enigma perchè il capitalista, il quale si preoccupa solo della produzione di valori di scambio, cerchi costantemente di far calare il valore di scambio delle merci” e questa rappresenta una contraddizione del sistema capitalistico.


Nessuna illusione allora dato che “nella produzione capitalistica la economia di lavoro mediante lo sviluppo della forza produttiva del lavoro non ha affatto lo scopo di abbreviare la giornata lavorativa. Ha solo lo scopo di abbreviare il tempo di lavoro necessario per la produzione di una determinata quantità di merci.”  

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