sabato 6 dicembre 2025

pc 6 dicembre - Dagli incontri separati di Urso per l'ex Ilva nessun passo avanti per Taranto - Resta importante e attuale la nostra posizione assunta nella controinformazione rossoperaia di ieri

Se Genova e gli impianti del nord se ne tornano a casa con una revisione dei numeri di cassintegrazione e la promessa di non fermata della produzione, comunque, o continuando a far arrivare i coils da Taranto (o da altrove); per gli operai dell'ex Ilva di Taranto non c'è proprio nulla di nuovo: le migliaia di lavoratori in cassintegrazione sono confermati, mentre va avanti il piano di parziale fermo di impianti; così come le promesse per nuovi investimenti per la città sono quelle dette e stradette - fermo restando che eventuali nuove possibilità lavorative alternative devono andare ai tantissimi disoccupati della città e non come contentino per operai cacciati dall'Ilva e dall'appalto. Il "piano corto", il cui ritiro era stato posto come condizione principale per sospendere scioperi e blocchi, non è stato per niente ritirato.

Quindi, gli incontri separati a Roma (che dovevano essere rifiutati anche dalle amministrazioni locali) hanno confermato la volontà del governo di separare anche le soluzioni, le sorti degli operai degli stabilimenti del nord e di Taranto. Questo è inaccettabile.

Riportiamo la Controinformazione rossoperaia di ieri, le cui valutazioni critiche sono tuttora il vero problema da affrontare e superare per l'unità di classe degli operai, dal nord al sud.

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  da ORE12 del 05.12.2

A Genova si è sviluppata una rivolta operaia organizzata, com’é giusto che sia, che fa leva sulla questione di respingere il piano del governo che è sostanzialmente una possibile marcia verso la chiusura degli stabilimenti. Una lotta giusta e necessaria che si è sviluppata in tutti gli stabilimenti dell'Ilva, da Taranto a Novi Ligure a Racconigi, con le forme di lotta necessarie per far pesare la forza operaia, tenendo conto delle condizioni organizzative, di coscienza e di proposta, presenti tra i lavoratori.

La rivolta operaia di Genova - rivolta organizzata, e questo è un merito, non un difetto -  ha visto il blocco continuativo dello stabilimento, i cortei, il blocco delle strade fino alla marcia verso la prefettura che ha attraversato la città e ha trovato da un lato la partecipazione di altre fabbriche e di altri operai della realtà di Genova, dall'altro un diffuso sostegno da parte di settori ampi di cittadini.

Il corteo ha marciato diretto verso la prefettura e qui ha trovato uno scenario “tipo G8”, quindi il governo attraverso questo scenario ha già dato una risposta ai lavoratori: o si accetta il piano, sia pure con qualche modifica oppure la risposta del governo è la repressione della lotta operaia, repressione

fatta con gli strumenti di uno Stato del capitale che a Genova è ben conosciuto e tutti quanti abbiamo conosciuto all'opera nella sua forma più esplicita in occasione appunto del G8 del 2001.

Quindi su questo piano gli operai hanno risposto - giustamente - attaccando la barricata che la prefettura aveva messo davanti alla possibilità che gli operai raggiungessero proprio la prefettura e portassero a termine la loro iniziativa di lotta.

Nessuna intimidazione é passata, com' è nella tradizione degli operai di Genova, in particolare degli operai dell'ex Ilva, e i lavoratori hanno abbattuto le grate; la polizia ha risposto con gli strumenti che aveva e la risposta degli operai è chiara nei video e nelle loro voci: “noi lottiamo per il lavoro e quindi abbiamo ragione”, “arrestateci tutti ma la lotta non la fermate così” e nello stesso tempo anche aperte sfide: “venite a mani nude” quando gli operai sono incazzati, ribelli e coscienti di stare da parte della ragione.

A Taranto la forma di lotta è stato il blocco, dopo una giornata che ha bloccato dall'interno lo stabilimento, delle vie principali che collegano la città a Bari, Reggio Calabria, un blocco pesante giorno e notte, ad oltranza, che è costato un sacrificio notevole agli operai e ai delegati che lo hanno effettuato, visto anche che nell'ultimo giorno vi è stata una pioggia torrenziale che ha reso difficile stare all'aperto a bloccare la strada.

Quindi gli operai dell'Ilva – tutti, da Genova a Taranto - non hanno intenzione di far passare il piano del Governo. Un piano di sostanziale chiusura e di regalo poi dell'azienda ai fondi americani o ai cosiddetti “interlocutori nascosti” - che sarebbero arabi - o coinvolgendo i cosiddetti industriali italiani, da Marcegaglia ad Arvedi, che hanno un chiaro disegno: mettere le mani sugli stabilimenti dell'Ilva ma gratis e senza alcun onere sia per quanto riguarda i processi necessari di trasformazione, in particolare a Taranto, sia per ogni ipoteca di carattere giudiziario che a Taranto chiaramente è in corso. I padroni vogliono avere le mani libere, ma proprio le “mani libere", da padron Riva ad ArcelorMittal hanno portato all'attuale situazione, in un contesto internazionale di crisi economica mondiale, di crisi relativa di sovrapproduzione siderurgica, in un contesto di guerra commerciale, di riconversione della industria dell'acciaio verso l'industria bellica, che è il non detto anche in questa vertenza.

Quindi questo piano dei padroni di qualsiasi tipo, dai fondi, agli arabi o ai padroni italiani, deve essere contrastato con la lotta dura e su questo non ci può essere alcun dubbio e là dove la lotta è più dura e utilizza forme di lotta più incisive queste vanno generalizzate.

Noi auspichiamo - e sostanzialmente lo stiamo dicendo sia pure con la forza ristretta che rappresentiamo - che Taranto faccia come Genova, blocchi non solo le strade e lo stabilimento ma investa la città, occupi il Comune, occupi la Prefettura e costringa questi enti (che sono parte della controparte, non parte della lotta dei lavoratori) a non fare il gioco del governo, dei padroni, espliciti o occulti che vogliono la chiusura dell'Ilva come spesso vogliono la chiusura delle fabbriche per gli interessi del capitale finanziario, per interessi parassitari, per mettere le mani sulle aree.

Quindi noi siamo perché la lotta degli operai di Genova si estenda a tutti gli stabilimenti e in particolare a Taranto e assuma le forme combattive che si sono espresse a Genova.

Non abbiamo alcuna fiducia negli incontri di Roma; e allora qui entriamo in un altro elemento della questione. Le forme di lotta non sono tutto, contano gli interessi operai che vanno difesi, conta l'autonomia operaia, conta l'alternativa di classe ai piani dei padroni.

E qui le cose non stanno nella maniera in cui dovrebbero essere secondo l'interesse generale della classe e secondo le leggi necessarie della lotta di classe con cui la classe difende i suoi interessi immediati e lavora per una prospettiva di cambiamento e di rovesciamento del sistema sociale che produce questa crisi e i suoi effetti che sono sotto gli occhi di tutti sia nella forma del lavoro sia nella forma del legame tra lavoro e condizioni di sicurezza e salute della città.

Nocivo è il capitale, non la fabbrica, le fabbriche devono essere difese ma non in quanto feticcio ma in quanto forma organizzata della classe operaia in grado di rovesciare questo sistema che produce questi effetti.

Su questo la chiarezza non è uguale. Sin dall'inizio noi non condividiamo - l'abbiamo detto - e sicuramente non è condivisa dagli operai di Taranto, la scelta genovese dei tavoli separati.

Il governo ci marcia, oggi si dice che il governo vuole dividere gli operai ed effettivamente è così, il governo è il beneficiario di ogni linea che prevede di risolvere il problema degli stabilimenti di Genova, degli altri del nord invece di quello di Taranto, a scapito dello stabilimento di Taranto che è il più grande e con il 90% dei lavoratori; è il governo della trattativa separata. Ma questa trattativa è stata richiesta da Genova e trova nelle voci degli enti locali di Genova, applauditi dagli operai nella giornata del 4, il loro terminale. Basta ascoltare ciò che dice Salis, ciò che dice Bucci.

Quindi la linea della trattativa separata va respinta non accettandola, non ci sono alternative; così non va bene spingere i propri rappresentanti istituzionali - se tali si possono chiamare  - affinché sostengano non le ragioni degli operai innanzitutto ma le ragioni più generiche dell'industria di Genova - stiamo parlando di un'industria capitalistica fondata sullo sfruttamento dei lavoratori, sull'estorsione del plusvalore in cui evidentemente il lavoro è sfruttato. Gli operai non difendono l'industria in quanto tale ma gli interessi di classe che chiaramente hanno la loro sede nelle fabbriche, nelle fabbriche che funzionano.

Non siamo d'accordo con lo striscione che guida la rivolta operaia "Genova lotta per l'industria". Gli operai lottano per rivendicare lavoro, salario, diritti, condizioni di lavoro, riconversioni produttive, piani industriali che permettano da un lato di difendere lavoro e salario dall'altro di modificare lo stato di cose esistente nelle fabbriche, lo stato di cose esistente nella società, nel suo complesso, perchè oggi più che mai c'è bisogno la classe operaia assuma su di sé tutti gli interessi delle masse sfruttate.

Questo lavoro a Genova non sta avvenendo, sia chiaro.

Chiaramente siamo perché avvenga. Non siamo per fare la morale ai lavoratori e meno che mai è questo il compito dei comunisti o dell'avanguardia, ma la lotta operaia deve raccogliere tutte le istanze delle masse, comprese le grandi masse, i settori di lavoratori che in Italia, anche a Genova, sono scesi in piazza per la Palestina, contro la guerra, contro la repressione. Questo all'ex Ilva di Genova non è avvenuto e non certo per colpa degli operai, ma perché ci sono all'interno della classe operaia di Genova posizioni, concezioni e organizzazioni che non hanno questa posizione. E se non si ha questa posizione non si ha una posizione di classe, si può fare la lotta dura ma nello stesso tempo non rappresentare gli interessi di classe e gli interessi generali del proletariato e delle masse popolari.

Dire no allo spezzatino, dire no alla politica, alla separazione degli stabilimenti, dire no alla divisione degli operai significa rifiutare gli incontri separati, rifiutare la farsa di oggi in cui il governo potrà dire agli enti locali del nord una cosa e a quelli di Taranto un’altra, per portare a casa il suo risultato che non sarà il risultato degli operai e dei lavoratori. Su questo bisogna fare un passo avanti per rilanciare con forza l'unità degli operari dell'ex Ilva intorno a una piattaforma operaia.

Questa della piattaforma operaia è l'altra questione rimossa. Non si può parlare genericamente di lavoro senza pretendere che gli operai dell'Ilva restino al lavoro, tutti, e quelli che sono in cassa integrazione vengano richiamati a Genova come a Taranto. Non si può non avere un piano che preveda la bonifica radicale a Taranto, il miglioramento delle condizioni di lavoro e sicurezza e la riduzione di fonti inquinanti in tutti gli stabilimenti.

Non si può dire che pur di avere lo stabilimento aperto le inchieste della magistratura, tutte fondate su dati reali innanzitutto a Taranto, debbano essere chiuse. Questo è quello che dice il governo e quello che scrivono i padroni sui loro giornali ed è quello che vogliono i padroni in Italia.

Così come è legittimo il rifiuto di tutti i piani che vengono presentati sia nella gara, sia fuori dalla gara, nella trattativa segreta e occulta che accompagna da sempre questa questione all’ex Ilva. Esiste un lavoro segreto, che è fatto anche di tangenti, anche di altri interessi - questo era venuto abbastanza in luce in occasione della cosiddetta trattativa con il gruppo Baku Steel, in cui l’assegnazione della gara era avvenuta mentre Crosetto faceva incontri sulle armi con il governo dell'Azerbagian, che è il proprietario principale per altro del gruppo Baku Steel, mostrando chiaro che Baku Steel aveva interesse innanzitutto sul gas, tanto è vero che appena questo problema è stato in parte giustamente bloccato perché il gas poteva essere un’aggravante della situazione generale dell'inquinamento della città di Taranto, Baku Steel se ne è andato.

Queste cose valgono a Taranto e valgono a Genova o valgono solo a Taranto?

Quindi la questione è ancora: unità operaia ma unità di classe, piattaforma operaia ma piattaforma di classe, non neocorporativismo. Intorno alla piattaforma di classe è inteso che gli operai assumano un ruolo centrale rispetto alle grandi questioni che sono fuori della fabbrica perché in questa maniera affermano il ruolo della classe che può cambiare lo stato delle cose.

Questo non sta avvenendo, non sta avvenendo a Taranto, non sta avvenendo a Genoa e su questo c'è molto da fare, occorre farlo nella lotta di classe in stretto legame con le masse operaie e i loro livelli di coscienza e di organizzazione.

È un lavoro difficile che tocca a tutti e questo lavoro difficile ha bisogno di elementi di chiarezza elementari che non si guardi solo alle forme di lotta, ma si guardi ai contenuti e gli obiettivi di questa lotta sia sul terreno immediato, sia sul terreno di prospettiva, perché se la lotta rivendicativa non è finalizzata a rovesciare lo stato di cose esistente, essa è una normale dialettica di un sistema capitalista e cela sempre nelle fasi di crisi, il collaborazionismo e il neocorporativismo.

Noi pensiamo che gli incontri non possono portare ad una reale soluzione e che gli operai non hanno nulla da aspettarsi, nè hanno nulla da pretendere dalle amministrazioni locali, perché queste amministrazioni non possono essere i soggetti del cambiamento o del sostegno alle rivendicazioni operaie e alle rivendicazioni delle masse popolari. Anche queste amministrazioni sono frutto del sistema politico attuale, dei partiti del sistema parlamentare attuale, dello stato borghese attuale, sono tutti della stessa natura e difendono interessi delle cordate economiche, politiche che le hanno portate al potere e non sono certo rappresentanti né della classe operaia né dei settori sfruttati e poveri delle masse popolari.

La lotta deve continuare e generalizzarsi, alzare il tiro delle forme di lotta, questo è giusto e necessario, ma è fondamentale dire che la logica de "il movimento è tutto/il fine è nulla", non è la logica che porta né a risultati parziali né a risultati generali.

Chiaramente non è nostra intenzione in nessuna maniera valorizzare l'attuale lotta Taranto, se non nel senso che effettivamente è bene che ci sia e che veda gli operai bloccare le strade, ma certamente a Taranto ci sono posizioni estremamente arretrate. L'idea che "non bisogna danneggiare la città, perché i cittadini altrimenti…" è un'idea fasulla della piccola borghesia reazionaria di questa città, fa parte della campagna di accerchiamento e di isolamento degli operai messa in piedi dall'ambientalismo antioperario, espressione di piccola e media borghesia locale su cui dietro ci sono interessi della parte parassitaria del capitalismo in questa città.

In realtà questo ha bloccato la lotta, l’ha rinchiusa in blocchi stradali che certo ha bloccato le strade ma ha impedito che il conflitto si sviluppasse, si alzasse, ha impedito che operai e cittadini si incontrassero. Noi insistiamo invece che bisogna tornare a bloccare fabbriche, strade e città e lì verificare che non è affatto vera la narrazione che dice di una città tutta contro gli operai, che non vede l'ora che l'Ilva chiuda, sono cazzate, sono frutto di una propaganda che fa leva su problemi reali ma che ha lo scopo di cancellare non la fabbrica ma gli operai e affermare interessi alternativi che certo non sono in nessuna misura in grado di risolvere i problemi del lavoro e della salute in questa città.

La recente statistica - per quanto si possa dare peso a queste statistiche - del Sole 24 ore sulla qualità della vita, colloca Taranto negli ultimi posti della classifica e in particolare sul fronte dell'occupazione della disoccupazione; quindi è evidente che questa città è colpita largamente dalla disoccupazione, dalla mancanza di servizi sociali e che questo merita che ci siano leggi, provvedimenti che possano affrontare realmente il problema di ridurre la disoccupazione, di migliorare i servizi, di migliorare il settore della sanità e così via. Ma chiaramente questo è gli operai che devono assumerlo come loro rivendicazione insieme alla tutela del lavoro e per questo devono scendere in campo in città per sostenere questi bisogni.

Questo a Taranto non succede ancora perché il sindacalismo tarantino è un sindacalismo non a livello della contraddizione di classe in questa città, compresa l'USB che è partita con “furia francese e ritirata spagnola” e oggi a Taranto è una delle componenti della cosiddetta "triplice", oggi diremmo quaterna sindacale, che parla lo stesso linguaggio. Su questo è grande il lavoro da fare a Taranto. come è grande il lavoro ed è diverso perfino il lavoro da fare a Genova ma all'interno di una visione di unità operaia, di interessi di classe, di autonomia operaia e di progetto di cambiamento radicale, anticapitalista, nella realtà concreta di questa situazione.

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