venerdì 18 luglio 2025

Armi a Israele: le responsabilità giuridiche dell'Italia e dei suoi attori pubblici e privati

Triestino Mariniello | altreconomia.it

15/07/2025

Il nostro Paese ha violato l'obbligo di prevenzione del genocidio, contraddetto la Corte internazionale di giustizia continuando a trasferire armi e materiali dal duplice uso a Tel Aviv e si è reso quindi responsabile per complicità in atti genocidari per i fatti di Gaza. Anche i decisori politici e dirigenti d'azienda coinvolti nelle forniture belliche sono potenzialmente interessati sotto un profilo penale. L'intervento del professor Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale

Pubblichiamo (Altreconomia) il preziosissimo intervento del professor Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, svolto l'8 luglio 2025 alla Sala Isma del Senato nell'ambito del convegno "Altro che 'Food for Gaza'" organizzato da Altreconomia.

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Intervengo su un tema di grande rilievo giuridico: la prosecuzione, da parte dell'Italia, delle esportazioni di armi e materiali a duplice uso verso Israele, nonostante le numerose evidenze di gravi violazioni del diritto internazionale da parte delle autorità israeliane nella Striscia di Gaza - violazioni che potrebbero configurare crimini internazionali come genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra. Preciso che il mio contributo sarà strettamente giuridico, lasciando ad altri ogni considerazione politica.
Secondo diverse inchieste di Altreconomia, l'Italia ha continuato a fornire armi, munizioni, materiali a duplice uso, nonché attività di supporto logistico per la flotta di velivoli da addestramento anche dopo il 7 ottobre, che potrebbero aver facilitato la commissione di gravi violazioni del diritto internazionale nel territorio palestinese occupato. Tutto questo avveniva mentre la Corte internazionale di giustizia (Cig) aveva già ritenuto, in ben tre occasioni, plausibile che Israele stesse commettendo atti di genocidio a Gaza.

Il mio intervento si articolerà in quattro parti: nella prima analizzerò la violazione da parte dell'Italia dell'obbligo di prevenzione del genocidio; nella seconda approfondirò l'incompatibilità del trasferimento di armi ed altri oggetti dal duplice uso col parere consultivo della Cig del 19 luglio 2024 relativa alla situazione nei Territori palestinesi occupati; nella terza affronterò la responsabilità internazionale dello Stato italiano per complicità in atti genocidari; nell'ultima parte offrirò qualche riflessione sull'eventuale responsabilità penale individuale dei decisori politici, funzionari pubblici e dei dirigenti aziendali coinvolti nelle forniture belliche.

Parte I: La violazione degli obblighi di prevenzione del genocidio da parte dell'Italia

Quello di prevenire il genocidio, sancito dall'articolo I della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, è un obbligo inderogabile del diritto internazionale. Tale obbligo, come ha chiarito la Corte internazionale di giustizia nel caso Bosnia v. Serbia (2007), si attiva "non solo quando il genocidio è già in corso, ma non appena uno Stato apprende o avrebbe dovuto apprendere dell'esistenza di un rischio serio di genocidio".

L'obbligo di prevenzione comporta per lo Stato l'impegno a porre in essere "tutte le misure ragionevolmente disponibili" per evitare la commissione del crimine, anche quando tali misure non garantiscano il risultato.

Nel caso specifico di Gaza, a partire dal 26 gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia ha emesso la prima di tre ordinanze cautelari nel procedimento intentato dal Sudafrica contro Israele, riconoscendo l'esistenza di un rischio reale e imminente di atti di genocidio nella Striscia di Gaza. In quelle decisioni, la Corte ha imposto a Israele obblighi specifici per prevenire danni irreparabili alla popolazione palestinese, sottolineando tra le altre cose, la necessità di garantire l'accesso agli aiuti umanitari e di evitare qualsiasi atto riconducibile agli elementi del crimine di genocidio.

Le misure cautelari delle Corte sono vincolanti non solo per Israele ma anche per gli Stati terzi. È dunque da quel momento che l'Italia -così come ogni altro Stato contraente- si è trovata formalmente a conoscenza dell'esistenza di un rischio grave e concreto di genocidio a Gaza, e quindi obbligata giuridicamente ad agire.

In questo contesto, la continuazione dell'esportazione di armi da guerra, componenti per armamenti pesanti, munizioni, sostanze ad alto potenziale esplosivo come il nitrato di ammonio, cordoni detonanti ed isotopi radioattivi, verso Israele da parte dell'Italia costituisce una violazione manifesta dell'obbligo di prevenzione del genocidio. Si tratta di materiali in grado di ragionevolmente contribuire alla commissione delle violazioni del diritto internazionale nei confronti della popolazione palestinese di Gaza. Come indicato dalla giurisprudenza della Cig, non è necessario che l'assistenza sia determinante per configurare la violazione dell'obbligo: è sufficiente che lo Stato non abbia adottato tutte le misure a sua disposizione per evitarla.

Tra queste misure che l'Italia avrebbe dovuto adottare per adempiere agli obblighi di prevenzione vi è sicuramente l'imposizione immediata di un embargo sugli armamenti, ma anche l'interruzione delle esportazioni dual use, la sospensione di accordi logistici o formativi con l'esercito israeliano e l'avvio di una revisione sistemica delle licenze in essere. Al contrario, l'Italia ha giustificato la prosecuzione delle forniture con il fatto che si trattava di licenze rilasciate prima del 7 ottobre. Tale argomentazione, tuttavia, è assolutamente irrilevante per il diritto internazionale: l'obbligo di prevenzione richiede che ogni fornitura sia bloccata alla luce del plausibile genocidio a Gaza.

Infine, è doveroso ricordare che la responsabilità non può essere mitigata neppure dall'asserita mancanza di influenza dell'Italia sull'operazione militare nella Striscia di Gaza: come ha osservato la Corte internazionale di giustizia nel 2007, il dovere di prevenzione è modulato secondo la capacità dello Stato di agire, ma si applica a tutti, anche quando l'influenza è limitata. E nel caso dell'Italia, che intrattiene rapporti economici, industriali e militari consolidati con Israele, non si può parlare certo di influenza trascurabile.

Parte II: Violazione dell'Advisory opinion del 19 luglio 2024 sulla situazione nei Territori palestinesi occupati

Alla responsabilità dell'Italia per la violazione dell'obbligo di prevenzione, si aggiunge la violazione del parere della Cig del 19 luglio 2024. In quella occasione, la Corte internazionale di giustizia ha reso un parere consultivo storico in cui ha stabilito che l'occupazione israeliana dei Territori palestinesi, protrattasi per oltre mezzo secolo, costituisce una situazione illegittima alla luce del diritto internazionale, anche a causa delle sue caratteristiche di annessione de facto e sistematica violazione dei diritti fondamentali della popolazione palestinese. La Corte ha affermato che tutti gli Stati hanno l'obbligo di non riconoscere come legittima tale situazione e di non contribuire, direttamente o indirettamente, al suo mantenimento. Ha specificato che gli Stati devono sospendere ogni forma di cooperazione, commerciale, militare, tecnologica o scientifica, che possa in qualche modo agevolare l'occupazione. Il divieto riguarda non solo le relazioni bilaterali dirette, ma anche gli atti delle imprese e dei privati sotto giurisdizione statale. Il parere consultivo richiama con forza il principio della cooperazione internazionale per porre fine a situazioni illegittime e, soprattutto, stabilisce un obbligo di non-assistenza per gli Stati terzi.

La prosecuzione dell'export italiano di materiale bellico e a duplice uso, così come il supporto tecnico, logistico e industriale fornito attraverso aziende italiane, costituisce una chiara violazione di tale parere. Anche la sola prosecuzione di contratti già in essere è giuridicamente rilevante, poiché mantiene in essere un rapporto di cooperazione che contribuisce al consolidamento e al rafforzamento dell'occupazione israeliana. Questo vale a maggior ragione quando le tecnologie e i materiali sono utilizzati per operazioni militari nei Territori occupati, come a Gaza o in Cisgiordania.

Parte III: La responsabilità internazionale dello Stato italiano per complicità in atti genocidari

Inoltre, è configurabile anche una responsabilità dell'Italia per complicità in atti genocidari. Ai sensi del diritto internazionale consuetudinario, codificato nell'articolo 16 del Progetto sugli Articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti, uno Stato è responsabile se fornisce aiuto o assistenza ad un altro Stato nella commissione di un atto illecito internazionale, purché:
1. lo Stato assistente sia consapevole delle circostanze che rendono l'atto illecito;
2. l'atto sarebbe illecito anche se commesso dallo Stato che fornisce assistenza.

Nel caso specifico del genocidio, la Corte internazionale di giustizia ha ulteriormente precisato, nel caso Bosnia v. Serbia (2007), che la complicità richiede:
- l'esistenza di un atto di assistenza materiale che abbia facilitato o reso possibile la commissione del crimine;
- la conoscenza da parte dello Stato assistente dell'intento genocidario dello Stato autore principale (il cosiddetto dolus specialis).

Va sottolineato che non è necessario che lo Stato complice condivida l'intento genocidario, ossia l'intento di distruggere il gruppo protetto. È sufficiente che sia consapevole del rischio che il genocidio venga commesso e che fornisca un contributo che, anche indirettamente, rafforzi o faciliti l'azione dello Stato che commette atti genocidi.

Alla luce delle misure cautelari della Cig -che hanno riconosciuto l'esistenza di un rischio reale e imminente di genocidio da parte di Israele nei confronti della popolazione di Gaza- la soglia della conoscenza da parte dello Stato italiano risulta superata. Da quel momento, l'Italia non può più invocare ignoranza o incertezza sui fatti: è formalmente a conoscenza dell'esistenza di un rischio concreto di genocidio.

Il trasferimento continuativo di materiali militari ed a duplice uso da parte dell'Italia dopo tale data configura quindi un atto materiale che contribuisce a rafforzare la capacità operativa dello Stato responsabile di atti plausibilmente genocidari. Di fronte all'evidenza, l'Italia aveva il preciso obbligo di fermare la vendita di armi così come di interrompere training o anche la cessione di strumenti di possibile 'dual use', nonché le attività di supporto logistico.

Non avendo fatto niente di tutto questo, l'Italia potrebbe essere ritenuta internazionalmente responsabile per complicità in genocidio. La posizione italiana è ancor più delicata per via dell'intensità e continuità delle relazioni bilaterali -militari, tecnologiche e industriali- con Israele. La Corte ha chiarito nel 2007 che uno Stato che ha una capacità specifica di influenzare le condotte dello Stato autore ha una responsabilità accresciuta.

Pertanto, alla luce di quanto documentato da Altreconomia, è ragionevole ritenere che l'Italia rischi di essere considerata non solo in violazione dell'obbligo di prevenzione, ma anche complice nella commissione di atti genocidari, una responsabilità grave, che potrebbe essere sollevata dinanzi a istanze internazionali, anche da parte di altri Stati.

Il precedente aperto dal caso Nicaragua v. Germania attualmente in corso, conferma la praticabilità giuridica di tale accusa: uno Stato può essere chiamato a rispondere per aver fornito armamenti a un altro Stato che sta plausibilmente commettendo genocidio, laddove non abbia interrotto le esportazioni dopo l'avviso formale fornito dalla Cig tramite misure provvisorie. L'Italia si trova oggi nella stessa posizione di rischio giuridico.

Parte IV: La responsabilità penale individuale secondo l'art. 25(3)(c) dello Statuto della Corte penale internazionale

Alla responsabilità dello Stato per complicità in atti genocidari, può affiancarsi anche una responsabilità penale individuale di funzionari pubblici e dirigenti privati, qualora abbiano contribuito alla commissione di crimini internazionali quali genocidio, crimini di guerra o crimini contro l'umanità.

Nel diritto penale internazionale, la responsabilità per complicità (o "facilitazione") si fonda su due elementi essenziali:

1. Elemento materiale (actus reus): un contributo concreto e significativo alla commissione del crimine, che può essere anche di tipo logistico, tecnico, finanziario o informativo. Nel caso italiano, rientrano in questa categoria la fornitura di armi, componenti dual use, carburante militare, tecnologie e supporto operativo.

2. Elemento soggettivo (mens rea): la consapevolezza che il proprio apporto faciliterà l'esecuzione del crimine, anche in assenza della condivisione dell'intento criminale del principale autore.

Nel caso dell'Italia, tale consapevolezza risulta difficilmente contestabile, alla luce delle misure cautelari della Corte internazionale di giustizia (gennaio 2024) e dell'emanazione da parte della Corte penale internazionale di mandati d'arresto contro Netanyahu e Gallant.

Soffermiamoci brevemente sul dato che emerge dalla recente inchiesta di Altreconomia relativa all'export di cordoni detonanti e nitrato di ammonio, "precursore di esplosivo", usato anche nella produzione di mine e miscele detonanti. Dal 7 ottobre 2023 Israele ha sistematicamente demolito scuole, cliniche, interi complessi residenziali ed altre infrastrutture civili. Come riportato da una serie organizzazioni internazionali o gruppi per i diritti umani, anche grazie all'uso di cosiddette prove aperte, queste demolizioni possono costituire un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma, ma potenzialmente anche un atto genocida. In altre parole, attraverso la distruzione di tutte le infrastrutture civili si sottopongono deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisica, totale o parziale, del gruppo stesso. In questo quadro, i dirigenti di aziende esportatrici di nitrato di ammonio e cordoni detonanti potrebbero essere imputati per complicità, qualora emergesse che hanno agito nella consapevolezza che il loro contributo avrebbe potuto facilitare la commissione di crimini internazionali da parte delle autorità israeliane.

Come nel caso Frans van Anraat, imprenditore olandese condannato a 17 anni per aver fornito al regime iracheno sostanze chimiche poi utilizzate in attacchi contro la popolazione curda. La Corte suprema olandese ha confermato la condanna di van Anraat per complicità in crimini di guerra. Ha stabilito che l'imputato sapeva che le sostanze chimiche che forniva al regime di Hussein venivano utilizzate per la produzione di gas velenosi e che la condotta di van Anraat costituiva un "contributo deliberato" ai reati.

Tali responsabilità possono essere accertate tanto da tribunali nazionali, in base alla giurisdizione universale, quanto -soprattutto- dalla Corte penale internazionale. L'art. 25(3)(c) dello Statuto di Roma stabilisce infatti la responsabilità di chiunque presti un contributo consapevole alla commissione di crimini internazionali da parte di altri.

Tuttavia, lo Statuto richiede un elemento aggiuntivo: il contributo deve essere prestato "allo scopo di facilitare la commissione del crimine". Questo requisito ha sollevato dubbi interpretativi. Secondo una lettura restrittiva, sarebbe necessario dimostrare che il soggetto agiva con l'intenzione specifica di agevolare il crimine. In questo caso, dimostrare che dirigenti italiani esportavano armi con l'obiettivo preciso di aiutare Israele a commettere crimini internazionali sarebbe estremamente complesso.

Al contrario, parte della dottrina ritiene che possa essere sufficiente la piena consapevolezza delle conseguenze del proprio contributo, anche se mosso da finalità differenti (ad esempio, profitto economico). In base a questa lettura più ampia, anche decisori politici, funzionari pubblici e dirigenti di aziende -come Leonardo Spa o le compagnie energetiche coinvolte- potrebbero essere ritenuti penalmente responsabili se si dimostrasse che hanno agito sapendo che le loro attività avrebbero facilitato la commissione di crimini internazionali.

In sintesi, se venisse accertato che attori pubblici o privati italiani hanno contribuito in modo significativo e consapevole alla commissione di crimini internazionali da parte delle autorità israeliane, vi sarebbe una base giuridica concreta per l'attribuzione di responsabilità penale individuale, ai sensi dell'art. 25(3)(c) dello Statuto. La combinazione di consapevolezza e continuità nella fornitura di materiali bellici può dunque tradursi in una forma di complicità punibile a livello internazionale.

Conclusione

L'Italia si trova oggi in una posizione giuridica chiara. La continuazione dell'esportazione di armamenti e materiali dual use verso Israele, a fronte di decisioni della Corte internazionale di giustizia e in un contesto di crimini internazionali gravi e sistematici, configura una quadruplice responsabilità:

1. Violazione dell'obbligo di prevenzione del genocidio;
2. Violazione del dovere di non assistenza imposto dall'Advisory Opinion del 19 luglio 2024.
3. Complicità dello Stato in atti di genocidio;
4. Potenziale responsabilità penale individuale di decisori politici, funzionari pubblici e leader di aziende, per facilitazione di crimini internazionali.

Triestino Mariniello insegna Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool

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