- (Da Redazione Contropiano)
Dopo l'11 settembre 2001, ha raccontato l’ex direttore dell’intelligence di Bucarest, la Romania e gli Stati uniti discussero di "centri di supporto per la Cia, siti che i romeni avrebbero messo a disposizione dell'intelligence Usa, che vi avrebbe potuto organizzare "le attività che voleva svolgere in Paesi terzi", ha detto Ioan Talpes in una video intervista al quotidiano Adevarul. "Non esisteva un sito che dall'inizio si chiamasse centro di detenzione. Era semplicemente un centro di transito" ha detto, sottolineando che in quel periodo Bucarest aspettava il via libera per entrare nella Nato, sottintendendo quindi che dovesse dimostrarsi accondiscendente nei confronti delle pretese di Washington e dell’Alleanza Atlantica.
"La parte romena non si interessava a ciò che facevano gli americani, per dimostrare loro che potevano fidarsi di noi" ha detto ancora Talpes, che ha guidato l'intelligence romena dal 2000 al 2004. "E' certo però che non sapevamo della presenza di detenuti" si è difeso l’uomo.
Nelle scorse settimane un rapporto del Senato degli Stati Uniti ha rivelato, documentando ampiamente l’accusa, che dopo gli attacchi alle Twin Towers dell'11 settembre del 2001 la Cia ha utilizzato sistematicamente la tortura per interrogare i prigionieri catturati in varie parti del mondo attraverso le cosiddette extraordinary rendition per estorcere loro informazioni tra l’altro spesso rivelatesi false o inventate. Un rapporto di ben 6700 pagine - di cui solo 528 rese pubbliche - che conferma e sistematizza le accuse rivolte in questi anni da più parti all'intelligence statunitense.
Secondo il rapporto 119 persone furono catturate e tenute in "siti oscuri" in altri Paesi, non identificati, ma tra cui ci sarebbero Romania, Polonia, Lituania, Thailandia e Afghanistan. La Romania non ha mai ammesso l'esistenza di prigioni Cia sul suo territorio prima dell’ammissione di Talpes. Dopo la quale Ion Iliescu, all'epoca presidente, ha detto di non sapere nulla, mentre il premier Victor Ponta ha detto che le domande in merito andavano girate al ministero degli Esteri. Il quale però ha rifiutato di commentare.
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