venerdì 26 dicembre 2025

pc 26 dicembre - Il prossimo nuovo anno lo apriamo con Marx - Anticipiamo ora con Engels

Sta per uscire la trascrizione della 6° lezione del 1° libro de Il Capitale, tenuta dal Prof, Di Marco a Taranto, Bergamo/Milano, Palermo - Ne anticipiamo i contenuti con stralci della Recenzione del 1° libro del Capitale di Engels

Dalla Recensione del 1° libro de “Il capitale” di Friedrich Engels
Il rapporto tra capitale e lavoro 
è il cardine su cui gira tutto il nostro odierno sistema sociale

"...Nell'esplicazione del capitale, Marx parte dal semplice e noto fatto che i capitalisti valorizzano il loro capitale tramite lo scambio: comprano merce per il loro denaro, poi la vendono per più denaro di quello costato a loro. Es. Un capitalista compra del cotone per 1000 talleri, poi lo vende a 1100 talleri, così guadagna 100 talleri. Marx chiama plusvalore tal eccedenza di 100 talleri rispetto al capitale iniziale. Donde nasce tal plusvalore? Gli economisti pongono che siano scambiati solo valori uguali, e in teoria è proprio così, onde il plusvalore non può venir dall'acquisto del cotone e la sua rivendita, come né può venir convertendo banconote in monete né viceversa: così non si diventa né più ricchi né più poveri. Né il plusvalore può nascere dal fatto che i venditori vendano le merci al di sopra del loro valore, o i compratori le comprino al di sotto del loro valore, perché ognuno è ora compratore ora venditore, onde si ristabilirebbe l'equilibrio. Né il plusvalore può venir dal fatto che compratori e venditori si imbrogliano a vicenda, poiché ciò non creerebbe alcun nuovo valore o plusvalore, bensì distribuirebbe diversamente il capitale disponibile fra i capitalisti.

Qual’è il processo genetico del profitto capitalista - La strana merce-forza-lavoro

Benché il capitalista acquisti le merci al loro valore e al loro valore le venda, ricava più capitale di quanto ne ha immesso. Come accade ciò?

  Nelle attuali condizioni sociali, sul mercato delle merci, il capitalista trova una merce che ha la peculiare qualità: il suo uso è una fonte di NUOVO valore, creazione di nuovo valore: questa merce è la forza-lavoro.

  Qual è il valore della forza-lavoro? Il valore di ogni merce è misurato dal tempo richiesto alla sua produzione. La forza-lavoro esiste nella forma dell'operaio vivo, il quale ha bisogno di una discreta

somma di mezzi di sussistenza per sé e la propria famiglia, la quale assicura la continuità della forza-lavoro dopo la sua morte. Ergo il valore della forza-lavoro è il tempo di lavoro necessario alla produzione di tali mezzi di sussistenza. Il capitalista lo paga ogni settimana, e compra così l'uso di una settimana di lavoro dell'operaio. Fin qui i signori economisti concorderanno più o meno con noi sul valore della forza-lavoro.

Il lavoro non pagato è la fonte del profitto capitalista

Il capitalista allora fa lavorare il suo operaio. Entro un certo tempo l'operaio avrà fornito la quantità di lavoro rappresentata nel suo salario settimanale. Se il salario settimanale di un operaio rappresenta tre giorni di lavoro, allora l'operaio che inizia il lunedì, la sera di mercoledì ha reintegrato al capitalista l'intero valore del salario pagato. Ma allora l'operaio cessa di lavorare? No. Il capitalista ha comprato una settimana di lavoro, e l'operaio deve lavorare pure negli ultimi tre giorni della settimana. Tale pluslavoro dell'operaio oltre il tempo uopo alla reintegrazione del suo salario è la fonte del plusvalore, del profitto, dell'incessante gonfiarsi del capitale.

  Non si dica che è arbitrario il presupposto che l'operaio recuperi in tre giorni il salario ricevuto, e che i restanti tre giorni lavori per il capitalista. Che egli impieghi tre giorni esatti a reintegrar il salario o due o quattro, qui è affatto indifferente, e varia pure a seconda delle circostanze. La cosa principale è che: il capitalista ricava del lavoro che non paga oltre al lavoro che paga, e ciò non è un presupposto arbitrario: infatti se il capitalista ottenesse dall'operaio solo tanta quantità di lavoro quanto gliene paga, allora chiuderebbe la sua officina, poiché sarebbe nullo il profitto.

  Ecco la soluzione di tutte quelle contraddizioni. L'origine del plusvalore (di cui il profitto del capitalista costituisce una parte notevole) è ora affatto chiara e naturale. Il valore della forza-lavoro (la sussistenza) è pagato, ma tale valore è assai più parvo del valore che il capitalista ricava dalla forza-lavoro, e la differenza, il lavoro non pagato, è proprio la parte del capitalista (o meglio della classe dei capitalisti). Infatti pure nel precedente esempio il profitto che il commerciante di cotone ricava dal suo cotone deve consistere in lavoro non pagato (se i prezzi del cotone non sono saliti). Il commerciante deve aver venduto a un industriale cotoniero, il quale sa ricavare dal suo prodotto un altro guadagno oltre a quei 100 talleri, onde divide con lui il lavoro non pagato da lui intascato. Tale lavoro non pagato è in generale mantiene tutti i membri non lavoranti della società. Con esso si pagano le tasse statali e comunali, in quanto colpiscono la classe capitalista, le rendite fondiarie dei proprietari terrieri, etc. Su di esso poggia l'intero ordinamento sociale vigente.

  Inoltre sarebbe insulso supporre che il lavoro non pagato sia nato solo nella situazione attuale, in cui la produzione è esercitata da un lato dai capitalisti e dall'altro dai lavoratori salariati. Anzi. In tutte le epoche la classe oppressa ha dovuto fornire-lavoro non pagato. Durante tutta l'epoca in cui la schiavitù era la forma predominante dell'organizzazione del lavoro, gli schiavi hanno dovuto lavorare molto più di quanto fosse loro reintegrato sotto forma di mezzi di sussistenza. Sotto il regime della servitù della gleba e fino all'abolizione delle corvées per i contadini, era lo stesso; in questo caso appare in modo tangibile pure la differenza fra il tempo che il contadino lavora per la sua sussistenza e il pluslavoro pel signore, poiché quest'ultimo è fatto separatamente dal primo.

  La forma ora è mutata, ma la sostanza è rimasta, e finché «una parte della società ha il monopolio dei mezzi di produzione, l'operaio (libero o schiavo) deve aggiungere al tempo di lavoro necessario alla sua sussistenza pure del tempo di lavoro eccedente per produrre i mezzi di sussistenza per il possessore dei mezzi di produzione» [Marx: Capitale, VIII, 2].

Tempo di lavoro necessario e plusvalore

Nel precedente articolo si è visto che ogni operaio occupato dal capitalista compie un duplice lavoro: per una parte del suo tempo di lavoro reintegra il salario anticipatogli dal capitalista (Marx chiama lavoro necessario tale parte del lavoro); ma dopo deve ancora seguitare a lavorare, e durante questo tempo produce il plusvalore per il capitalista, di cui il profitto costituisce una parte notevole (tale parte del lavoro è chiamata pluslavoro).

  Se l'operaio lavorasse tre giorni alla settimana per reintegrare il suo salario e tre giorni per la produrre il plusvalore per il capitalista, allora, su dodici ore di lavoro al giorno, ne lavorerebbe sei al giorno per il suo salario e sei per la produzione di plusvalore. Dalla settimana si possono ricavare solo sei giorni (o solo sette ricorrendo alla domenica) ma da ogni giornata si possono ricavare sei, otto, dieci, dodici, quindici ore di lavoro e più. L'operaio ha venduto una giornata lavorativa al capitalista per il suo salario giornaliero... 

...Il metodo di produzione capitalistico riproduce al capitalista il suo capitale e al tempo stesso la miseria degli operai

Sorvoliamo una serie di altre belle ricerche di interesse più teorico, e parliamo solo dell'ultima sezione: l'accumulazione del capitale. Ivi si prova che il metodo di produzione capitalistico (attuato dai capitalisti da un lato e dagli operai salariati dall'altro) riproduce sempre sia al capitalista il suo capitale sia la miseria degli operai; le cose sono disposte cosicché vi siano sempre capitalisti da un lato (i proprietari di tutti i mezzi di sussistenza, di tutte le materie prime e di tutti gli strumenti di lavoro) e dall'altro la gran massa degli operai, che è costretta a vendere a questi capitalisti la loro forza-lavoro in cambio di una quantità di mezzi di sussistenza che nel migliore dei casi basta appena a mantenerli in grado di lavorar e ad allevar una nuova generazione di proletari capaci di lavorar. Ma il capitale non può solo riprodursi: deve necessariamente aumentare e ingrandirsi: e così aumenta il suo potere sulla classe operaia nullatenente. E com'esso stesso è riprodotto su scala sempre maggiore, cosi il moderno modo di produzione capitalistico riproduce parimenti su scala sempre maggiore, in numero sempre crescente, la classe degli operai nullatenenti. «L'accumulazione del capitale riproduce il rapporto capitalistico su scala allargata, più (o maggiori) capitalisti ad un polo e più salariati all'altro [...]. Ergo l'accumulazione del capitale è l'aumento del proletariato» [Capitale, XXIII].

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