Gaza. L’Egitto vuole cacciare 14mila palestinesi
La
stretta dell’Egitto su Gaza non si allenta. Gli strumenti, sempre
diversi: dalla chiusura del valico di Rafah all’inchiesta su 13.757
palestinesi a cui le autorità del Cairo stanno pensando di revocare la
residenza. E, ultima notizia in ordine di tempo, il blocco di una
delegazione internazionale di 58 donne in viaggio verso la Striscia per
l’8 marzo.
A monte, la rottura politica tra il Cairo e Gaza con il primo che imputa ad Hamas, governo de facto della Striscia, l’appoggio all’ex regime della Fratellanza Musulmana e l’addestramento militare di gruppi di miliziani islamisti nella Penisola del Sinai. Un’accusa girata anche ai quasi 14mila palestinesi oggi sotto inchiesta da parte dell’intelligence egiziana. Obiettivo, trovare le prove del sostegno fornito al deposto presidente Morsi per poter poi revocarne la cittadinanza egiziana. La decisione giunge dopo una sentenza del tribunale che martedì ha bandito le attività politiche di Hamas dall’Egitto e chiuso il quartier generale del movimento palestinese.
L’idea del governo egiziano è quella di revocare la cittadinanza a 13.757 palestinesi sotto inchiesta perché accusati di far parte di Hamas e di aver pianificato e organizzato attacchi terroristici in territorio egiziano. I servizi segreti egiziani stanno raccogliendo informazioni su migliaia di palestinesi considerati membri del movimento palestinese, che ricevettero la cittadinanza egiziana sotto il presidente islamista Morsi.
Una simile decisione spetta direttamente al primo ministro che ha il potere di revocare la cittadinanza senza passare per un tribunale, nel caso in cui la persona in questione sia considerata una minaccia all’ordine pubblico. L’inchiesta è partita dopo la sentenza della corte che martedì ha bandito Hamas dal territorio egiziano perché “organizzazione terroristica”, chiudendone uffici e quartier generale e congelandone beni immobili e denaro: “Il giudice egiziano che ha emesso la sentenza non aveva in mano una sola prova che incriminasse Hamas – ha commentato un membro dell’ufficio politico del movimento palestinese – Questa decisione è puramente politica, non giudiziaria, e aiuta l’occupazione israeliana”.
Nelle stesse ore, all’aeroporto del Cairo venivano bloccate 58 donne statunitensi, francesi e belghe (tra loro il Nobel per la Pace Mairead Maguire), parte di una delegazione diretta a Gaza per celebrare l’8 marzo, la giornata mondiale della donna. Martedì le autorità egiziane hanno rifiutato loro l’ingresso nel Paese. Ieri Ann Wright, capo della delegazione, ha fatto sapere che la delegazione avrebbe dovuto prendere un autobus dal Cairo al valico di Rafah, aperto pochissime volte negli ultimi sette mesi e completamente chiuso da oltre 30 giorni.
Alcune attiviste sono tornate a case e almeno tre sono state deportate, tra cui la stessa Maguire. Una delle partecipanti, Medea Benjamin, cofondatrice del gruppo americano Code Pink, ha raccontato di essere stata brutalmente aggredita dalla polizia egiziana che le ha rotto una spalla perché rifiutava di salire sull’aereo diretto in Turchia. Anche l’ambasciata francese è intervenuta per cercare di sedare la protesta delle donne, che avevano cominciato un sit-in all’aeroporto.
Le autorità egiziane hanno commentato l’accaduto attraverso il portavoce del Ministero degli Esteri, Badr Abdel-Attie, secondo il quale al gruppo di donne sarebbe stato negato l’ingresso in quanto privo dei necessari documenti per raggiungere la Striscia. Non solo: la Penisola del Sinai sarebbe oggi troppo pericolosa e l’Egitto non avrebbe i mezzi per garantire la sicurezza della delegazione in transito.
Dal 3 luglio ad oggi, il governo egiziano nato dal colpo di Stato militare che ha deposto il presidente islamista Morsi ha avviato una serie di politiche restrittive nei confronti della Striscia di Gaza, una “punizione collettiva” volta a colpire Hamas, braccio palestinese della Fratellanza Musulmana. Restrizioni gravi, dalla distruzione di oltre mille tunnel che garantivano alla popolazione gazawi di alleviare l’embargo posto da Israele, agli attacchi contro le barche di pescatori avvicinatesi alle acque egiziane, fino alla chiusura del valico di Rafah che impedisce a migliaia di gazawi di uscire dalla Striscia per ragioni mediche o educative. A pagarne le spese è la popolazione di Gaza, oggi costretta a vivere in condizioni sempre peggiori, con pochissima elettricità a disposizione, cantieri chiusi per la mancanza di cemento, l’innalzamento del già elevato tasso di disoccupazione.
da Nena News
A monte, la rottura politica tra il Cairo e Gaza con il primo che imputa ad Hamas, governo de facto della Striscia, l’appoggio all’ex regime della Fratellanza Musulmana e l’addestramento militare di gruppi di miliziani islamisti nella Penisola del Sinai. Un’accusa girata anche ai quasi 14mila palestinesi oggi sotto inchiesta da parte dell’intelligence egiziana. Obiettivo, trovare le prove del sostegno fornito al deposto presidente Morsi per poter poi revocarne la cittadinanza egiziana. La decisione giunge dopo una sentenza del tribunale che martedì ha bandito le attività politiche di Hamas dall’Egitto e chiuso il quartier generale del movimento palestinese.
L’idea del governo egiziano è quella di revocare la cittadinanza a 13.757 palestinesi sotto inchiesta perché accusati di far parte di Hamas e di aver pianificato e organizzato attacchi terroristici in territorio egiziano. I servizi segreti egiziani stanno raccogliendo informazioni su migliaia di palestinesi considerati membri del movimento palestinese, che ricevettero la cittadinanza egiziana sotto il presidente islamista Morsi.
Una simile decisione spetta direttamente al primo ministro che ha il potere di revocare la cittadinanza senza passare per un tribunale, nel caso in cui la persona in questione sia considerata una minaccia all’ordine pubblico. L’inchiesta è partita dopo la sentenza della corte che martedì ha bandito Hamas dal territorio egiziano perché “organizzazione terroristica”, chiudendone uffici e quartier generale e congelandone beni immobili e denaro: “Il giudice egiziano che ha emesso la sentenza non aveva in mano una sola prova che incriminasse Hamas – ha commentato un membro dell’ufficio politico del movimento palestinese – Questa decisione è puramente politica, non giudiziaria, e aiuta l’occupazione israeliana”.
Nelle stesse ore, all’aeroporto del Cairo venivano bloccate 58 donne statunitensi, francesi e belghe (tra loro il Nobel per la Pace Mairead Maguire), parte di una delegazione diretta a Gaza per celebrare l’8 marzo, la giornata mondiale della donna. Martedì le autorità egiziane hanno rifiutato loro l’ingresso nel Paese. Ieri Ann Wright, capo della delegazione, ha fatto sapere che la delegazione avrebbe dovuto prendere un autobus dal Cairo al valico di Rafah, aperto pochissime volte negli ultimi sette mesi e completamente chiuso da oltre 30 giorni.
Alcune attiviste sono tornate a case e almeno tre sono state deportate, tra cui la stessa Maguire. Una delle partecipanti, Medea Benjamin, cofondatrice del gruppo americano Code Pink, ha raccontato di essere stata brutalmente aggredita dalla polizia egiziana che le ha rotto una spalla perché rifiutava di salire sull’aereo diretto in Turchia. Anche l’ambasciata francese è intervenuta per cercare di sedare la protesta delle donne, che avevano cominciato un sit-in all’aeroporto.
Le autorità egiziane hanno commentato l’accaduto attraverso il portavoce del Ministero degli Esteri, Badr Abdel-Attie, secondo il quale al gruppo di donne sarebbe stato negato l’ingresso in quanto privo dei necessari documenti per raggiungere la Striscia. Non solo: la Penisola del Sinai sarebbe oggi troppo pericolosa e l’Egitto non avrebbe i mezzi per garantire la sicurezza della delegazione in transito.
Dal 3 luglio ad oggi, il governo egiziano nato dal colpo di Stato militare che ha deposto il presidente islamista Morsi ha avviato una serie di politiche restrittive nei confronti della Striscia di Gaza, una “punizione collettiva” volta a colpire Hamas, braccio palestinese della Fratellanza Musulmana. Restrizioni gravi, dalla distruzione di oltre mille tunnel che garantivano alla popolazione gazawi di alleviare l’embargo posto da Israele, agli attacchi contro le barche di pescatori avvicinatesi alle acque egiziane, fino alla chiusura del valico di Rafah che impedisce a migliaia di gazawi di uscire dalla Striscia per ragioni mediche o educative. A pagarne le spese è la popolazione di Gaza, oggi costretta a vivere in condizioni sempre peggiori, con pochissima elettricità a disposizione, cantieri chiusi per la mancanza di cemento, l’innalzamento del già elevato tasso di disoccupazione.
da Nena News
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