Marchionne alla Sevel di Atessa ha dato la sua risposta agli operai, in particolare di Pomigliano e a quei fatti e a quelle voci che non si allineano ai suoi diktat. Il primo dei quali è il ritorno su il ricatto allo Stato e alla Costituzione: "certezza sulle leggi o la Fiat finisce qua", che per lui significa: o la mia legge è legge di Stato o la Fiat chiude stabilimenti, va via...
Per usare il linguaggio che dovrebbero usare i democratici, si tratta di una dichiarazione eversiva, perchè è diretta principalmente contro la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dato ragione alla Fiom sull'applicazione dello Statuto dei Lavoratori.
Marchionne vuole, quindi, ridurre a carta straccia Statuto dei Lavoratori e Costituzione. Ovvero torna a rilanciare l'infamia originaria del piano 'Fabbrica Italia', senza che ci sia più 'fabbrica Italia'. A questo aggiunge, perchè sia chiaro: "i diritti sono sacrosanti e vanno tutelati, se però continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo". Per Marchionne vivere significa vivere senza diritti, come schiavi al servizio del profitto, e non come ordinaria legge dello sfruttamento capitalista ma come 'forma Stato'.
A questa posizione lo Stato già si è allineato, ma ora a Marchionne non basta e quindi anche una signora Boldrini che non lo ossequia o un vescovo che non lo benedice diventano nemici da spazzare via. Questo è fascismo della peggiore specie. Questo spiega più di ogni altra frase cosa vuole dire 'moderno fascismo' come Stato-regime in formazione, di come il grande capitale, qui rappresentato dalla Fiat di Marchionne, sia di esso la punta trainante, e di come ad esso si siano allineati tutti i partiti parlamentari e in particolare il più forte di esso, il PD, insieme naturalmente al capo dello Stato Napolitano e a tutti i governi, da Berlusconi a Monti, a Letta.
Chiaramente tutto questo è anche volto a compattare gli alleati della prima ora, i sindacati confederali, Cgil compresa, la quale, prima con l'accordo del 28 giugno sancito di fatto poi dall'art. 8 del governo dell'epoca, poi con la legge fascista sulla rappresentanza che già stabilisce che un sindacato o è subordinato a patti e ad accordi neocorporativi o non ha diritto ad alcuna rappresentanza, si è già "dichiarata".
Ora Marchionne alza il tiro per allargare il patto neocorporativo, inglobando la Fiom.
In questo senso la dichiarazione della Boldrini e soprattutto la sentenza della Corte Costituzionale vengono ad essere un "intralcio" ad un processo che già cammina spedito in realtà.
La Fiom di Landini sono mesi che elemosina un incontro esprimendo tutta la sua disponibilità a rientrare; la Fiom è pienamente riconciliata con la Cgil della Camusso; la Fiom accetta la legge fascista sulla rappresentanza. Quindi, la Fiom di Landini è già ad un passo dal rientrare nel gioco fascista di Marchionne. Nè può contrastare tutto questo la patetica manifestazione di Roma del 28 giugno e la propagandistica presenza ai cancelli di Pomigliano.
In più occorre dire che attualmente verso questa riconciliazione giocano anche personaggi che pure sembravano schierati sull'altra sponda, vedi il miserabile sindacalista Torinese, oggi parlamentare di Sel, Giorgio Airaudo, che è stato il primo a dire: bene la sentenza della Corte Costituzionale ma ora Landini tratti e che oggi si definisce "pontiere" tra la Fiat e la Fiom.
Lo stesso Landini, per favore, non giochi con la parole. Nelle dichiarazioni di Marchionne lui vede uno "spiraglio", il suo novo vice in carriera, Michele De Palma, responsabile nazionale del settore auto (sulla cui biografia sarà interessante tornare su un altro articolo), si limita a dire a Marchionne che non gli bastano le parole, vuole una lettera scritta...
Lo Stato delle cose dà ragione a noi che abbiamo parlato sin dall'inizio di fascismo padronale e dà torto a tutti coloro che pensano che solo la lotta sindacale di classe e la politica della difesa della democrazia siano la risposta; dà ragione a noi che non abbiamo mai creduto sulla possibilità di considerare la Fiom il centro di questa battaglia e dà torto a tutti gli altri, non ultimo agli stessi compagni dello Slai cobas di Pomigliano, che pure lottano e duramente, ma che sulla sostanza ancora non colgono la necessità di una guerra di classe e un'accumulazione di forze in questo senso come unica e decisiva risposta al moderno fascismo targato Fiat.
Gli operai in questi stabilimenti o ripiegano o si oppongono con strumenti inadeguati organizzativi, di linea e di prassi, nè si può dar fiducia ai parolai di sempre, alla Cremaschi.
La Fiat torna ad essere il cuore, o almeno il cuore più palpitante, di uno scontro di classe nitido e chiaro che deve permetterci a noi come comunisti e all'avanguardia operaia come classe di trasformarlo da punto di debolezza a punto di forza.
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