La situazione all'ex Ilva è parte di una situazione mondiale di guerra commerciale sull'acciaio (Leggi articolo che segue del 'The New York Times').
E, in questo, cosa li può "salvare"? Tutti aspettano le "sante guerre" che gli permettano una effettiva ripresa, sia producendo subito acciaio per gli armamenti, sia dopo acciaio per la ricostruzione.
Quindi la ripresa del capitale - temporanea, in attesa si una nuova e più forte crisi - è distruzione, morte per i popoli, i proletari, economia di guerra nei paesi imperialisti, tagli di costi "improduttivi" (sanità, scuola, servizi sociali, ambiente...), più sfruttamento e licenziamenti per gli operai.
Tutti coloro che pensano a "soluzioni" per salvare questo sistema capitalista, per renderlo compatibile con la vita dei milioni, miliardi di persone, invece di operare per la fine di questo sistema sociale nocivo e di sfruttamento e morte, operano per "salvarlo". E alimentano anch'essi le spinte nazionaliste, fino a spinte da "cortile di casa", di sapor di razzismo (l'abbiamo sentito anche in questo giorni: che l'acciaieria di Taranto chiuda e si costruisca a Gioia Tauro).
Da un articolo di Patricia Cohen, The New York Times, Stati Uniti
20.8.2025
"...Secondo
l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la
produzione di
Una soluzione sarebbe semplicemente farne meno, ma c’è un problema: nessun paese vuole essere il primo a smettere di produrre un materiale considerato essenziale per l’economia e la sicurezza nazionali.
La
produzione di acciaio ha sempre avuto un ruolo particolare, come
simbolo di potenza economica e prestigio internazionale. L’acciaio
costituisce il tessuto della vita moderna, usato non solo per costruire
edifici, strade, automobili, frigoriferi, dispositivi elettronici,
forchette e viti, ma anche per armi, carri armati e aerei da guerra.
In
Europa la consapevolezza di non poter più contare sugli Stati Uniti per
la sicurezza del continente ha reso ancora più evidente l’importanza
dell’acciaio nel campo della difesa.
Nell’ultimo decennio
l’acciaio a buon mercato della Cina ha inondato i mercati mondiali.
L’enorme numero di impianti siderurgici cinesi – costruiti in parte con
il sostegno del governo e spesso senza i vincoli ambientali richiesti in
Europa – produce più acciaio (e alluminio) di tutti gli altri paesi del
mondo messi insieme. Con il rallentamento dell’economia cinese, una
quantità maggiore di questi metalli viene esportata all’estero a prezzi
stracciati.
Il risultato è un crollo generale dei prezzi e dei
profitti, con un conseguente aumento della disoccupazione nel settore.
Misurato al chilo, l’acciaio oggi costa meno dell’acqua in bottiglia. A
maggio l’Ocse ha avvertito che la riduzione dei guadagni sta rendendo
difficile investire nelle tecnologie a basse emissioni di anidride
carbonica, che sono essenziali per raggiungere gli obiettivi climatici.
Questa
situazione ha messo i governi in una situazione difficile: vogliono
proteggere i posti di lavoro e un’industria considerata cruciale per la
sicurezza nazionale, ma anche ridurre le spese e risparmiare sugli aiuti
economici. Vogliono accelerare la transizione verso le energie pulite, ma anche produrre acciaio a costi competitivi.
In
primavera la multinazionale indiana Tata ha annunciato 1.600
licenziamenti nell’impianto di IJmuiden. L’anno scorso le acciaierie dei
27 paesi dell’Unione europea hanno tagliato complessivamente 18mila
posti di lavoro, riducendo la capacità produttiva di nove milioni di
tonnellate.
Nei primi sei mesi del 2025 la Germania (primo produttore
europeo) ha registrato un declino dell’11,6 per cento nella produzione
di acciaio (più di 17 milioni di tonnellate) rispetto allo stesso
periodo del 2024.
Oltre ai costi per la manodopera e l’energia,
alle tecnologie ormai superate e alla competizione feroce della Cina, i
produttori europei devono fare i conti anche con i dazi punitivi voluti
da Donald Trump. Il mese scorso gli Stati Uniti hanno imposto una tassa
del 50 per cento su quasi tutte le importazioni di acciaio e alluminio.
I
dazi di Trump non solo minacciano di ridurre significativamente la
quantità di acciaio che l’Europa può vendere negli Stati Uniti, ma
spingeranno altri produttori a esportare di più verso l’Europa,
aumentando ulteriormente la concorrenza per le aziende del continente.
L’anno
scorso il governo britannico ha stanziato 500 milioni di sterline per
sostenere la Tata Steel (chi metodi ecologici riduce le emissioni, ma costa fra il 30 e il 60 per cento in più...".e gestisce un grande impianto a Port Talbot,
in Galles) nella transizione verso un altoforno elettrico meno
inquinante che funziona riciclando l’acciaio.
In Olanda
l’impianto della Tata Steel di IJmuiden è in condizioni migliori di
quelli britannici. La struttura, vicino a una spiaggia pubblica, è la
seconda più grande d’Europa (è grande come 1.100 campi da calcio) e,
nell’industria, è tra i principali datori di lavoro nel paese. Entro il
2030 la Tata Steel vorrebbe convertire lo stabilimento (oggi alimentato a
carbone) per usare idrogeno e gas naturale, e sta negoziando con il
governo olandese per ottenere finanziamenti. La transizione verso una
tecnologia a basse emissioni costerà miliardi di euro e avrà bisogno di
molto tempo prima di essere completata.
Secondo varie stime, oggi
produrre acciaio negli altiforni elettrici a idrogeno verde o con altr
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