lunedì 25 agosto 2025

Considerazioni sullo sciopero in Israele e sulla… etichetta “terrorista” appiccicata ad Hamas - per il dibattito

due articoli di Franco Astengo e di Enrico Semprini

SCIOPERO GENERALE IN ISRAELE: UN ESEMPIO E UN MONITO PER UNO SCIOPERO GENERALE EUROPEO

di Franco Astengo

Lo sciopero generale in corso in Israele contro la politica di guerra del governo e il genocidio/deportazione del popolo palestinese, per la liberazione degli ostaggi ancora prigionieri di Hamas rappresenta un esempio e un monito per le classi lavoratrici dell’Occidente .

L’Occidente, le sue organizzazioni sindacali, non hanno ancora trovato motivazione e forza per opporsi con la determinazione necessaria all’escalation bellica in corso, denunciare la farsa di Anchorage e – prioritariamente – proprio in Europa dimostrare l’opposizione alla politica bellica dei governi.

Retorica e politica bellica che si sta concretizzando in varie forme.

Un articolo pubblicato dal quotidiano il manifesto qualche giorno fa riportava un’inchiesta del Financial Times partita dall’analisi di immagini satellitari evidenzia come le fabbriche di armamenti stiano allargando (triplicando) le strutture.

Dall’invasione russa dell’Ucraina i numeri del FT sono chiari: 7 milioni di metri quadrati di nuovi sviluppi in 150 siti di 37 aziende legate alla produzione di munizioni e di missili.

Numeri indicatori di qualcosa di profondo: l’aumento delle spese militari non porta solo più fondi agli eserciti ma comporta una trasformazione industriale ( e quindi economica) concreta, diretta, di prospettiva.

Con l’aumento delle spese militari nel giro di pochi anni flussi enormi di denaro pubblico finiranno nei bilanci di aziende che, per loro natura, hanno grande interesse a veder perdurare un clima di paura e di instabilità : e che oggi stanno impegando fondi per incrementare strutture e capacità produttive.

Dietro le quinte – si segnala – il quadro è ancora più inquietante considerato che le principali aziende di guerra sono controllate in larga parte da mega fondi di investimento globali (Balck Rock, Vanguard, KKR che ha acquisito la rete di comunicazioni in Italia ceduta da TIM) che dominano i settori strategici dell’economia mondiale e fondano la loro egemonia sul costante aumento della spesa militare.

La domanda finale può essere così riassunta: “Forse tutto questo non meriterebbe uno sciopero generale europeo rivolto a due obiettivi: la pace e la riconversione industriale dalla guerra alle grandi transizioni in atto da quella ecologica a quella infrastrutturale sia sul terreno sia digitale?”

I grandi produttori di armi: (nella prima colonna i guadagni del settore difesa in dollari US) nella seconda colonna la percentuale dei guadagni totali dalla difesa

Statistica al 2022

1  Lockheed Martin 59,39 90
2  RTX Corporation 39,57 59
3  Northrop Grumman 32,30 88
4  Boeing 29,30 44
5  General Dynamics 28.32 72
6  BAE Systems 26,90 97
7  Norinco 22,06 27
8  Aviation Industry Corporation of China 20,62 25
9  China Aerospace Science and Technology Corporation 19,56 44
10  Rostec 16,81 55
11  China Electronics Technology Group Corporation 15,08 27
12  L3Harris Technologies 12,63 74
13  Leonardo S.p.A. 12,47 83
14  Airbus 12,09 20
15  China Aerospace Science and Industry Corporation 11,77 32

PERCHE’ VIENE PROPOSTO COME FATTO NORMALE CHE SIA LECITO UCCIDERE I MILITANTI O I FIANCHEGGIATORI DI HAMAS?

di Enrico Semprini (*)

1 – La Palestina vive una condizione di colonizzazione? In parole semplici: i coloni si chiamano così perché occupano illegalmente aree che appartengono ai palestinesi secondo il diritto internazionale?

2 – Il 7 ottobre 2023 Hamas ed altre organizzazioni hanno fatto azioni legittime dal punto di vista del diritto internazionale? O un misto di azioni legittime ed illegittime?

3 – Hamas è una organizzazione definita terrorista dal punto di vista del diritto internazionale o solamente dal punto di vista politico da parte di alcuni stati?

Problema 1: la colonizzazione.

Cisgiordania: Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Corte Internazionale di Giustizia e il Comitato internazionale della Croce Rossa, si riferiscono a esso come a un territorio occupato da Israele.

Striscia di Gaza: Le Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali per i diritti umani e la maggioranza dei governi considerano il territorio ancora occupato da Israele, che mantiene sulla striscia un blocco insieme all’Egitto. La Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU ha stabilito che il territorio di Gaza è occupato illegalmente dal 1967, in quanto Israele controlla, inter alia, lo spazio aereo e marittimo della Striscia, sei dei sette attraversamenti della frontiera terrestre, lo spazio elettromagnetico e il movimento di merci e persone dentro e fuori dalla Striscia.

Per avere una idea autogestita di chi aggredisce chi, possiamo valutare l’andamento dei morti nell’anno 2008: quelli in rosso sono palestinesi uccisi dall’esercito israeliano quelli azzurri gli israeliani morti per mano palestinese.

I morti israeliani sono conteggiati su tutto il territorio sul quale si situa Israele, mentre in rosso sono segnati i morti palestinesi unicamente all’interno della striscia di Gaza; mancano le altre aree in cui vivono palestinesi.

Inseriamo una cartina per capire la progressione della colonizzazione della Palestina da parte di Israele:

In giallo la Palestina e in verde la progressione della occupazione del territorio.

La terza cartina partendo da sinistra riguarda la partizione proposta dall’Onu nel 1947/48: quella sarebbe l’unica suddivisione, giusta o sbagliata, proposta dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Tutto il resto è, anche per l’Onu, occupazione illegittima di territorio.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA) definisce “rifugiato palestinese” una persona “il cui normale luogo di residenza è stato in Palestina tra il giugno 1946 e maggio 1948, che ha perso sia l’abitazione che i mezzi di sussistenza a causa della guerra arabo-israeliana del 1948”.

La questione del diritto dei rifugiati palestinesi e dei loro discendenti di fare ritorno nelle loro case è uno dei punti più controversi nei negoziati di pace israelo-palestinesi.

La definizione di rifugiato dell’UNRWA copre anche i discendenti delle persone divenute profughi nel 1948, indipendentemente dalla loro residenza nei campi profughi palestinesi o in comunità permanenti. Si tratta di una grande eccezione alla normale definizione di rifugiato.

In base a questa definizione, il numero di profughi palestinesi per l’ONU è passato da 711000 nel 1950 a oltre cinque milioni di registrati nel 2015.

All’inizio del 2023 risulta ci fossero 7 milioni di rifugiati palestinesi, la maggioranza dei quali sopravviveva all’interno dei confini visibili in giallo sulla cartina.

Alcuni numeri:

  • dal 2000 al 2017 (secondo DCIP Defence for Children International Palestine) 2.022 bambini palestinesi (25 al mese) hanno perso la vita per mano delle forze di occupazione israeliana;

  • dal 2000 al 2018 oltre 8.500 bambini palestinesi sono stati arrestati con l’accusa più ricorrente del lancio di sassi;

  • in Cisgiordania negli ultimi 25 anni il numero degli insediamenti israeliani e dei coloni che li abitano è quadruplicato, passando dai 105.000 coloni nel 1992 agli oltre 413.000 nel 2017 nonostante gli insediamenti siano considerati illegali dal diritto internazionale e perché tali condannati in numerose risoluzioni ONU;

2: Legittimità ed illegittimità nelle azioni del 7 ottobre 2023:

MORTI PALESTINESI                                             MORTI ISRAELIANI

 

  • 1 000 militanti uccisi
  • 200 militanti catturati
1 200 Israeliani uccisi, di cui:

  • 859 civili
  • 281 soldati
  • 57 poliziotti

247 persone prese in ostaggio

100-200 persone scomparse

 

500 000 israeliani sfollati dai territori confinanti con la Striscia di Gaza

Cosa dice il diritto internazionale in merito al diritto alla resistenza contro le occupazioni coloniali?

La questione è molto dibattuta; qui ci si limita a citare un brevissimo estratto del dibattito sulla legislazione internazionale:

<<In linea generale, il diritto internazionale considera le lotte di liberazione nazionale legittime o, quantomeno, disciplinate da strumenti internazionali diversi da quelli penali, quali quelli rientranti nel diritto umanitario internazionale. Il formale riconoscimento, nella Carta delle Nazioni Unite, (articolo 1 par.2) del diritto dei popoli alla propria autodeterminazione costituisce il punto di riferimento fondamentale, ma vanno in proposito anche richiamate le Convenzioni di Ginevra del 1949, ed i due Protocolli addizionali del 1977.

Proprio in forza della legittimazione offerta dalla Carta, il tema della differenza tra atti di terrorismo e lotta per l’autodeterminazione o per la liberazione da regimi oppressori, coloniali e razzisti fu ben presto portato all’attenzione delle Nazioni Unite dai paesi del terzo mondo, ottenendo – all’epoca – sostanziali riconoscimenti di principio: l’importante Risoluzione della Assemblea Generale n. 46/51 del 9 dicembre 1991, al paragrafo n. 15, sottolinea la sostanziale differenza tra terrorismo e diritto dei popoli, in particolare di quelli soggetti a regimi coloniali e razzisti, a lottare per l’autodeterminazione, la libertà e l’indipendenza.

Nella Convenzione contro la presa d’ostaggi del 1979, all’articolo 12, le condotte poste in essere da chi lotta per la propria indipendenza furono, addirittura, espressamente escluse dal campo di applicazione della convenzione.>>

Dunque è certo che parte delle azioni messe in atto il 7 ottobre dai palestinesi come soggetto colonizzato contro militari coloniali sono azioni legittime.

Tuttavia la Corte Penale Internazionale ha comunque incriminato i vertici di Hamas per alcune delle azioni eseguite, in particolare riferite ai civili. E’ lecito pensare che a seguito della morte degli accusati per mano israeliana, il percorso processuale contro gli allora dirigenti non prosegua perché la corte è chiamata a pronunciarsi contro specifici soggetti e non contro organizzazioni o stati.

D’altra parte secondo la Corte Penale Internazionale ci sono accuse di crimini di guerra e contro l’umanità rivolte ai vertici israeliani tra cui “lo sterminio e la persecuzione di civili” e “la fame come metodo di guerra”. 

Restando nell’ambito del diritto internazionale, la gravità delle violazioni commesse da una parte, o da un gruppo terroristico, a danno dei civili dell’altra parte non esonera mai e per nessuna ragione quest’ultima dall’obbligo di continuare a rispettare le norme che tutelano i civili altrui. Il principio, intuitivo anche per i profani del diritto e finalizzato a evitare la strage vendicativa degli innocenti, è indiscutibile e inderogabile nel diritto internazionale contemporaneo.

3 – Hamas è una organizzazione terrorista?

Come si può vedere nella cartina qui sopra Hamas è considerata “organizzazione terrorista” solamente dai Paesi segnati in rosso, per il resto del mondo non lo è: questo significa che la valutazione è di carattere politico e non giuridico. Può darsi che da allora ad oggi sia cambiato qualche posizionamento, ma certamente non tutto è cambiato.

Quand’anche si volesse fare riferimento alla interpretazione di quei paesi segnati in rosso, le Nazioni Unite prevedono forse che il piano di azione contro le organizzazioni terroristiche consista nel massacro dei partecipanti o dei sostenitori o delle persone che le hanno votate o che risiedono nel territorio in cui sono presenti tali organizzazioni?

Vediamo:

Il piano d’azione per prevenire e combattere l’estremismo violento

a. Le premesse generali

Il piano d’azione presentato con il supporto del Ctitf dal Segretario generale (di seguito Sg) il 15 Gennaio 2016 non fa mistero di escludere ogni tentativo di definizione generale sia del concetto di “estremismo violento” sia del concetto di “terrorismo”.

(…omissis…)

Muove da qui il passaggio fondamentale del discorso del Segretario generale: se nei 9 anni passati le Nazioni Unite si sono concentrate sul secondo pilastro della strategia (prevenzione e contrasto al terrorismo), è giunto il momento di ammettere che questo approccio non si è rivelato alla prova dei fatti  adeguato e sufficiente e che occorre investire sui pilastri primo e quarto: le condizioni che favoriscono il terrorismo; il rispetto dei diritti umani e della Rule of Law nell’azione di contrasto al terrorismo.

b. Lo schema essenziale

Il piano d’azione si articola in 3 parti:

  1. I danni provocati dall’estremismo violento alla pace e sicurezza (e qui non manca di richiamare l’esistenza di legami fra terrorismo e crimine organizzato); allo sviluppo sostenibile; ai diritti umani e alla Rule of Law; alle comunità (in tre anni le persone displaced sono passate da 42,5 a 59.5 milioni);

  2. Il contesto e i fattori che favoriscono l’estremismo violento : a) le carenza di opportunità sociali, marginalizzazione, cattivo governo e violazione dei diritti umani, esistenza di conflitti non risolti, radicalizzazione nelle carceri; b) i processi di radicalizzazione;

  3. Sette diversi profili di azione che possiamo ricondurre a tre categorie principali: a) le raccomandazioni per prevenire l’estremismo violento, in particolare l’esistenza di una disciplina “globale” che deriva dai provvedimenti della Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza, nonché la necessità di dare vita a i piani d’azione nazionali e regionali e di ri-direzionare l’impiego dei fondi; b) specifiche linee di azione (favorire i percorsi di dialogo; migliorare le governance, la tutela dei diritti umani e la Rule of Law; coinvolgere le comunità locali e le famiglie; rafforzare le opportunità delle generazioni giovani; coinvolgere e rafforzare il ruolo delle donne; investire in educazione, training e lavoro; operare in modo strategico nel settore della comunicazione e dei social media; c) il rafforzamento del ruolo di supporto che le Nazioni Unite e le loro diverse Agenzie ed entità possono svolgere in favore degli Stati, degli organismi regionali e delle comunità.

In altri termini: quando ascoltiamo il fatto che ci sono persone che vengono ogni giorno uccise in quanto “appartenenti ad Hamas” da parte dell’esercito israeliano, significa che ogni giorno l’esercito israeliano commette crimini contro essere umani che dovrebbero essere tutelati almeno sulla scorta del diritto internazionale.

Ciò che fa OGNI GIORNO l’esercito israeliano, NON è legittimo ed è un atteggiamento criminale e tutti i giornalisti ed i politici che lo giustificano, si mettono dalla parte della complicità con quei crimini.

L’unica cosa legittima sarebbe che l’esercito israeliano si ritirasse dai territori palestinesi subito e che cessasse la mattanza che sta eseguendo su territori sui quali non ha nessun diritto di essere presente.

(*) L’autore non nasconde di essere un militante politico antirazzista e contro il colonialismo da qualunque Paese venga esercitato; tuttavia ha cercato di portare alla attenzione generale alcune questioni che, pur viste con gli occhi del partigiano, cercano di sottolineare gli aspetti tecnico-giuridici del problema che si affronta. In altri termini l’autore ha cercato di offrire elementi concreti funzionali a permettere a chi legge di costruire una propria visione sulla situazione in corso. Valutazioni politiche in senso più stringente vengono fatte in altri elaborati dello stesso autore. Ogni interazione anche di carattere critico è gradita.

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