Genova, il dramma degli sfollati: "Per tre anni dal ponte rumori indescrivibili e ora vogliono demolire le nostre case"
Gli sfollati delle case in via Fillak
Non bastava il terrore per il ponte crollato. Non bastavano le notti insonni degli ultimi tre anni durante i quali, raccontano i residenti, i lavori sul viadotto causavano un rumore infernale che non faceva dormire. Un fracasso che ora, a ripensarci, fa ancora più rabbia. No, adesso la paura degli sfollati di via Fillak è quello di rimanere senza casa per sempre. Di vedersela demolire sotto al naso perché non c'è altra soluzione. Lungo questo viale multietnico dal quale si vede il ponte in lontananza, seduti a terra o sui marciapiede, in pantaloncini e infradito come quando sono usciti ieri mattina, gli abitanti delle case che sorgono sotto il ponte Morandi aspettano di rientrare anche solo
per qualche minuto nelle loro abitazioni per prendere vestiti di ricambio, medicine, animali domestici. Davanti a loro c'è un nastro bianco e rosso e un presidio di vigili urbani e polizia. Non si passa, è pericoloso. Silvio Intiso lavora in un pub e la notte l'ha trascorsa da un amico. Abita in via Porro, "in pratica una casa prima dell'area del crollo. Adesso abbiamo paura che ce le buttino giù. La botta del ponte caduto mi ha fatto saltare dal letto, un amico mi ha ospitato. Quando succede qualcosa, in questa città c'è solidarietà. Siamo abbonati alle tragedie. Ma pur essendo un barista e non un ingegnere mi viene da dire che questa era prevedibile. Il mio pensiero va a quei poveri cristi che non ci sono più".
Due metri più avanti, seduta a terra, c'è Sabina. Ha bisogno di prendere dei vestiti, poi tornerà a casa della suocera. Ha visto la catastrofe in diretta dalla finestra della cucina. "Pioveva a dirotto, ho guardato fuori e ho visto il ponte cadere giù, sbriciolarsi. L'ho visto scomparire. Ho preso tutto quello che avevo con me e sono scappata via. Ero nel panico totale. Penso che ce la siamo scampata per un pelo. Da tre anni non dormiamo la notte per i rumori indescrivibili. Dicevano che lo facevano per la sicurezza del viadotto. Se ogni volta che piove dobbiamo avere il terrore mi sembra assurdo".
La pensa così anche la signora Patrizia, in pensiero perché lunedì lavora e non sa come andarci se prima non fa un salto nel suo appartamento. Giancarlo, accanto a lei, ha un'ansia ben diversa: "Se fosse caduto l'altro lato del ponte, non la parte centrale, noi residenti di via Porro eravamo tutti morti". Chissà se Ruben, originario dell'Equador, prenderà pure un gioco per suo figlio quando lo lasceranno finalmente passare. Sono le due del pomeriggio, è in piedi dalle nove a fissare quel nastro rosso. Lui e tanti altri. Monta il nervosismo, quando l'attesa si fa lunga e i vigili fanno di no con la testa alle richieste. Paure grandi e piccole si mescolano, come in ogni tragedia. C'è chi pensa alla tartaruga o ai gatti rimasti in casa, chi si chiede dove andrà a vivere nei prossimi mesi. A qualche chilometro da via Fillak c'è chi pensa alle persone che non rivedrà più.
Nessun commento:
Posta un commento