Sono le
ore 11:35 di martedì quattordici agosto quando Genova è il teatro di una
tragedia abbondantemente annunciata: i circa duecento metri della campata
centrale del ponte Morandi – il viadotto Polcevera, inaugurato nel 1967 –
crollano e finiscono quarantacinque metri più sotto, su via Walter
Fillak, e all’interno del torrente Polcevera.
Le
consegiuenze sono tragiche; le vittime, al momento in cui scriviamo,
sono almeno trentacinque, e si capisce facilmente il perché: quel tratto
sospeso dell’autostrada A10 unisce il centro città con il ponente, e la
sottostante strada è molto trafficata, unendo due popolari e popolosi
quartieri: San Pier d’Arena e Rivarolo.
Non è certamente il momento di fare
polemiche, ma una riflessione si impone: erano anni che si parlava del
fatto che quella struttura fosse pericolosa, come peraltro dimostravano i
continui lavori atti al suo consolidamento, ed andasse abbattuta.
A
questo si aggiunga il fatto che, al momento della sua costruzione, il
viadotto rispondeva ai criteri di sicurezza dell'epoca, calcolati anche
in base ai flussi del traffico veicolare della fine degli anni sessanta,
che non è neanche lontanamente confrontabile con quello di oggi: non ci
vuole molta arguzia per comprendere che certi valori non potevano più
essere soddisfacenti.
In rosa la parte del ponte crollata
Bosio (Al), 15 agosto 2018
Stefano Ghio - Proletari Comunisti Alessandria/Genova
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