MENTRE
Al Carcere di Melfi il GOM trasferisce i 70 detenuti che hanno partecipato alla rivolta non si sa dove;
Inizia lo sciopero della fame nel carcere di Voghera, dove un detenuto è risultato positivo.
INTERVISTA ALL'AVV. CALIA - da Agenzia Stampa CARC
Al Carcere di Melfi il GOM trasferisce i 70 detenuti che hanno partecipato alla rivolta non si sa dove;
Inizia lo sciopero della fame nel carcere di Voghera, dove un detenuto è risultato positivo.
INTERVISTA ALL'AVV. CALIA - da Agenzia Stampa CARC
Caterina, la causa scatenante delle rivolte nelle carceri
è stata la decisione del ministero della giustizia di sospendere sia
i colloqui che la concessione dei permessi premio e del regime di
semilibertà, ma queste misure “emergenziali” non sono altro che
la “goccia che ha fatto traboccare il vaso” della situazione in
cui versa il sistema carcerario. A fronte delle condizioni in cui
versano attualmente le carceri italiane ritieni sia giustificato il
timore dei detenuti di poter contrarre il coronavirus? In carcere
sono adottate misure di prevenzione per contrastare efficacemente il
rischio di diffusione del contagio tra i detenuti ma anche tra i
secondini? Cosa pensi delle ulteriori privazioni imposte?
Sono decenni che le forze politiche succedutesi al governo hanno
messo al primo posto il profitto e le politiche securitarie, e questo
ha fatto sì che, tra tante altre nefandezze, si sia enormemente
indebolita la salvaguardia della salute per tutti e si siano riempite
a dismisura le carceri. A fronte di una reale emergenza, che ha
assunto le caratteristiche di una pandemia, il governo e le forze
politiche tutte non riescono, non vogliono, non sanno operare una
rottura
col codice del profitto capitalista e neoliberista. La sospensione dei colloqui, dei permessi premio e del regime della semilibertà da un lato, la mancata previsione di qualsiasi misura deflattiva per alleggerire il sovraffollamento e l’assenza di qualsiasi forma di interlocuzione dall’altro sono stati percepiti dalla popolazione detenuta come una decisione definitiva e tombale, in continuità con i numerosi provvedimenti assunti negli ultimi anni e emblematicamente espressi attraverso gli slogan più beceri e forcaioli del “buttare via le chiavi” e del “marcire in galera”. Tutto ciò ha determinato una situazione non più di persone ristrette in condizioni invivibili, ma di veri e propri “topi in gabbia”.
col codice del profitto capitalista e neoliberista. La sospensione dei colloqui, dei permessi premio e del regime della semilibertà da un lato, la mancata previsione di qualsiasi misura deflattiva per alleggerire il sovraffollamento e l’assenza di qualsiasi forma di interlocuzione dall’altro sono stati percepiti dalla popolazione detenuta come una decisione definitiva e tombale, in continuità con i numerosi provvedimenti assunti negli ultimi anni e emblematicamente espressi attraverso gli slogan più beceri e forcaioli del “buttare via le chiavi” e del “marcire in galera”. Tutto ciò ha determinato una situazione non più di persone ristrette in condizioni invivibili, ma di veri e propri “topi in gabbia”.
La disperazione per le notizie sempre più allarmanti sul rischio
contagio e l’assenza di ogni canale di comunicazione con le
direzioni ed il DAP ha portato alle rivolte spontanee in tantissimi
istituti con i tragici esiti che conosciamo. La maggior parte dei
detenuti che hanno partecipato alle proteste e anche molti di coloro
che hanno perso la vita in circostanze ancora tutte da chiarire
dovevano scontare pene brevissime, uno dei deceduti sarebbe uscito
tra due settimane; questo ci dà il polso dell’impatto che ha avuto
dentro le carceri la notizia del diffondersi del coronavirus e delle
misure eccezionali adottate per la salvaguardia della salute di tutta
la popolazione, eccezion fatta per i carcerati, considerati soggetti
privi di qualsiasi diritto, addirittura del diritto primario alla
salute e alla vita.
I detenuti conoscono sulla propria pelle la ferocia delle
politiche carcerarie: gli anziani o i malati con patologie gravissime
sono tantissimi e molti di essi non vengono scarcerati nemmeno in
punto di morte, ma nessuno di loro si aspettava che di fronte ad una
emergenza come questa non solo non venissero prese misure adeguate,
ma non venissero nemmeno preannunciate misure allo studio del
ministero della giustizia o pronunciata nei loro confronti una sola
parola di speranza.
Il carcere per il ministro Bonafede e per il DAP deve continuare a
veicolare in maniera sempre più pervasiva il messaggio del monopolio
della forza che lo Stato esercita sulla società e la sua funzione
come apparato differenziato di controllo sociale, ancora di più oggi
a fronte di contraddizioni sempre più esplosive.
Per mantenere la funzione storica del carcere i provvedimenti che
si sono susseguiti in questi ultimi anni hanno perseguito come
obiettivo il controllo totale sui corpi e la vita dei detenuti e
trasformato il carcere in un buco nero separato dalla
società.Possiamo quindi dire che è vero che i provvedimenti
restrittivi adottati dal governo sono stati solo la goccia che ha
fatto traboccare un vaso già colmo.
Le misure di prevenzione per contrastare la diffusione del
contagio tra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria non
possono che produrre l’effetto contrario se non si svuotano
urgentemente le carceri, in primo luogo attraverso i classici
strumenti deflattivi di amnistia e indulto, riducendo
consistentemente il numero dei detenuti.
Nessuno può negare che il sovraffollamento nel carcere ha
superato ogni limite e che la sanità è quasi inesistente quindi i
timori dei reclusi di un espandersi del contagio sono più che
fondati.
Ci sono stati già casi di contagio in carcere che tu
sappia? Se un detenuto dovesse contrarre il coronavirus quale sono le
misure sanitarie che scattano e i tempi perché egli riceva tutte le
cure di cui necessita?
Ci sono già dei contagi tra i detenuti (anche se non è facile in
questi giorni acquisire notizie certe) e parecchi casi tra gli agenti
di polizia penitenziaria, ma quello che va detto è che in carcere è
impossibile fermare l’avanzata del virus.
Abbiamo visto che le stesse strutture preposte alla cura delle
persone, come gli ospedali, dove in teoria vengono adottate tutte le
misure di prevenzione, rappresentano luoghi ad alto contagio sia per
il personale che per gli utenti (sono tantissimi i medici e i
paramedici già infettati e purtroppo crescono anche i decessi, da
ultimo l’infermiere del 118).
Anche nelle navi da crociera (fornite di ogni confort di lusso) è
stato impossibile fermare i contagi, figuriamoci cosa può accadere
in luoghi fatiscenti e sovraffollati come le carceri, con celle che
“ospitano” a volte fino a dieci detenuti con un solo cesso e
docce fuori dalle celle dove si accede per gruppi, in totale assenza
di norme igieniche e senza che siano assicurati dall’amministrazione
penitenziaria nemmeno i prodotti primari quali sapone o
disinfettanti, sia per l’igiene personale che per le pulizie delle
celle.
Il contagio una volta entrato all’interno delle galere non potrà
in alcun modo essere fermato e gli esiti, ampiamente prevedibili,
saranno catastrofici.
L’attuale amministrazione penitenziaria si è dimostrata
completamente inetta e incapace di affrontare tale emergenza, ma
sarebbe meglio dire che ha scelto di non affrontarla ritenendo che la
vita di queste persone non valga nulla.
Il sistema sanitario nazionale è al collasso,
scarseggiano posti letto nelle terapie intensive, questo quanto ci
ripetono da giorni… Il sovraffollamento carcerario (stimato al 180%
nel carcere di Bologna, mentre la media è sul 120%) rende
estremamente probabile che una cattiva gestione della prevenzione a
monte produca un numero altissimo di contagiati… che “se
scoperti” (si fanno tamponi e in che misura in carcere?) andrebbero
a sottrarre preziosi posti di rianimazione “alla gente onesta”
che ne ha bisogno. Il Governo incentiva anche così la “guerra tra
poveri” tutelando alcuni e non altri a seconda degli interessi in
gioco (anche fuori dal carcere gli operai delle fabbriche che devono
“marciare” non hanno alcuna forma di tutela, il tampone lo fanno
a Conte o a Zingaretti, ma non a loro).
La sanità nazionale, stante i tagli operati per decenni, non
poteva non trovarsi immediatamente sull’orlo del collasso. Tale
situazione non poteva che diventare estremamente pericolosa per i
detenuti, per il semplice fatto che la sola struttura chiamata a far
fronte ad eventuali casi di contagio è il presidio dell’ASL
presente in carcere.
In carcere finora non si sono fatti tamponi ai detenuti.
Erano state allestite delle tende fuori dagli istituti
penitenziari per effettuare i controlli, consistenti solo nella
misurazione della febbre ai familiari ammessi al colloquio. Forse
dopo un giorno o due di operatività è stato decretato il blocco
totale dei colloqui ed è quindi terminato l’uso di tali tende.
Secondo le linee operative dettate dal capo del DAP Basentini
qualche giorno fa (13 marzo) dovrebbero essere riconvertite per
effettuare il triage dei “nuovi giunti” e per controllare lo
stato di salute in caso di trasferimenti – previsti in questo
momento solo per gravi motivi di sicurezza o di salute – ma che di
fatto, a seguito delle rivolte e delle proteste hanno coinvolto
centinaia di reclusi. Peccato però che per svolgere queste attività
non è stato previsto alcun rafforzamento dell’organico sanitario,
perennemente carente e insufficiente anche per le normali attività.
Le disposizioni impartite sono quelle dell’uso dei termoscanner e
anche dei tamponi in caso di febbre o sospetto di infezione, ma non
mi risulta che tale materiale sia effettivamente stato distribuito.
A detta del DAP sarebbero state inviate nelle carceri 97.000
mascherine usa e getta (notizia non confermata dalla polizia
penitenziaria che continua a denunciare di dover lavorare in assenza
anche di questa minima precauzione), ma i detenuti sono oltre 61.000
quindi ognuno può trarre le proprie considerazioni sulla sufficienza
delle stesse.
In qualsiasi caso è impensabile sia un uso continuo dentro le
celle che una vera utilità per scongiurare l’avanzare
dell’epidemia.
Con le accennate “linee operative” si dispone anche la
necessità di isolare coloro che presentano sintomi che possano far
pensare a una infezione, ma considerata l’insufficienza degli spazi
detentivi sarà possibile attuare queste minime misure solo in pochi
istituti o finché i casi saranno pochissimi. Tra l’altro se si
svuotano delle sezioni per la quarantena – in assenza di
provvedimenti che incidano sui numeri dei ristretti – non può che
aumentare ulteriormente il sovraffollamento nelle altre sezioni e con
esso il rischio di contagio.
Anche i reparti preposti al ricovero dei detenuti negli ospedali
di zona, dove dovrebbero essere fatti i tamponi e tutti i controlli
relativi, sono pochi e con un numero ridottissimo di posti letto. E
comunque in questi reparti non ci sono certo centri di terapia
intensiva che andrebbero disputati con tutti gli altri ricoverati
“normali”.
Le carceri specializzate nell’assistenza medica di tutto il
circuito si contano sulle dita di una mano ed hanno al proprio
vertice di specializzazione il Carcere di Parma dove nessun detenuto
auspica di finire per alcuna ragione.
In pratica l’unica proposta avanzata dal Direttore del DAP per i
casi di sospetto o di accertato contagio è quello dell’isolamento
in stile 41bis (!).
Nell’orizzonte del DAP e di Bonafede (un ministro che non sarà
dimenticato) le carceri sono destinate a diventare nient’altro che
lazzaretti! Siamo semplicemente in presenza di una bomba pronta ad
esplodere!
Si può dire, pensando anche agli operai precettati al lavoro, che
una situazione di crisi assoluta come questa fa emergere nella sua
forma più nitida ed esplicita i rapporti di classe e di sfruttamento
di questa società.
“Lo Stato non indietreggia neppure di un centimetro di
fronte all’illegalità”, dice Bonafede oggi, chiedendo ai
detenuti “il rispetto delle regole”, ma l’Italia è stata
condannata più volte per “trattamenti inumani in carcere” dalla
Corte dei Diritti dell’uomo di Strasburgo e il nostro paese detiene
da oltre 30 anni dei militanti politici in regime di isolamento
assoluto (una forma di tortura)… Di che regole parliamo? Dov’è
la funzione educativa del carcere?
Parlare di funzione rieducativa del carcere, tanto più in questo
momento è semplicemente ridicolo, l’intera struttura detentiva
dimostra di essere una macchina ben integrata fondata sul trattamento
differenziato e sulla gerarchia di sicurezza e annientamento, dove le
rappresentazioni “artistiche”, artigianali e rieducative sono
solo l’altra faccia dell’isolamento, della repressione più
violenta che attraversa l’intero sistema. Il sistema
dell’isolamento differenziato attraversa tutte le carceri, sezione
per sezione, diventa il codice genetico-operativo che fa del carcere
il sistema terrifico per tutta la società e di annientamento per chi
rifiuta di adeguarsi ai codici dominanti.
Questo governo non si discosta in nulla non solo dal precedente (a
un Bonafede ne segue un altro, finché ce ne saranno) ma da più di
tre decenni almeno. Rispetto delle regole e condizioni detentive non
sono altro che l’espressione dei rapporti di forza che ci sono tra
Stato e società. E’ su questo che si gioca lo scontro anche
all’interno del carcere. Dare voce, forza, garantire ai detenuti i
diritti fondamentali, con le lotte e le mobilitazioni. Sono queste
che stanno garantendo ai detenuti questa minima ‘esistenza
comunicativa’ e semplicemente di non morire in silenzio.
In Iran, un paese considerato da molti una dittatura, sono
stati messi ai domiciliari 70.000 detenuti per far fronte
all’emergenza coronavirus in carcere. In Italia quali sono le
misure che a tuo parere andrebbero adottate?
Non ci sono assolutamente discussioni da fare, due misure sembrano
di buon senso a chiunque in una situazione come quella italiana: un
indulto significativo che riguardi le condanne fino a
tre-quattro anni e l’applicazione, in tempi rapidissimi, di misure
alternative al carcere come la detenzione domiciliare per il più
gran numero possibile di detenuti che ne abbiano maturato formalmente
le condizioni (reclusi in attesa di giudizio per reati di non estrema
gravità, ultrasessantacinquenni, malati, persone che hanno pene
contenute in due-tre anni). Naturalmente dovrebbe essere compito del
DAP stilare la lista di chi risponde a tali requisiti e trasmetterla
ai tribunali di Sorveglianza, ma anche ai Procuratori per quanto
riguarda le persone in attesa di giudizio affinché siano prese
decisioni in tempi rapidi e senza attendere la richiesta del singolo
detenuto o dell’avvocato. Per contenere il diffondersi del contagio
dentro le carceri sarebbe necessaria una vera e propria corsa contro
il tempo, mentre finora non è stata presa nessuna iniziativa a
livello centrale se non di segno contrario!
Per le migliaia di detenuti – per lo più migranti – privi di
un domicilio l’unica soluzione concreta sarebbe l’indulto non
essendo praticabile, se non in misura minima, la strada della
detenzione domiciliare.
Le misure deflattive, sussistendo le condizioni del fine pena
breve, dell’età avanzata o della presenza di patologie, dovrebbero
essere applicate a tutti, cioè anche ai detenuti accusati o
condannati per reati previsti dall’art. 4 bis O.P., norma che ha
introdotto il doppio binario per l’accesso ai benefici penitenziari
escludendoli (o imponendo un tetto di pena predeterminato) a un
sempre maggior numero di reclusi, solo sulla base del titolo di
reato.
Luca Abbà, militante No TAV, sottoposto a regime di
semilibertà, in una recente lettera scrive: “Un provvedimento
urgente, e di assoluto buon senso, sarebbe quello di liberare chi già
gode di benefici, chi è sopra una soglia di età definita “a
rischio”, chi ha un residuo di pena sotto i due anni. Non sta a me
proporre quali misure alternative si potrebbero applicare (tipo
obblighi di firma, rientri domiciliari ecc…) e nemmeno la forma
legislativa adeguata (amnistia, indulto, decreto legge). Ai detenuti
esclusi da tale provvedimento si potrebbero applicare più facilmente
misure di prevenzione e sicurezza adeguate per poter garantire i
colloqui con i propri cari e condizioni di detenzione meno disagiate
di quelle odierne a causa del sovraffollamento cronico degli ultimi
anni”. Secondo te, tali misure sarebbero coerenti con la “gestione
democratica” dell’emergenza?
Non so quale possa essere nelle attuali condizioni una “gestione
democratica” dell’emergenza. E’ certo che sono le sole che
hanno un senso che non sia quello del giustizialismo dei Bonafede e
dei Travaglio, un giustizialismo che vorrebbe fungere da distrazione
di massa alla disperazione di quelle stesse frange sociali di piccola
e media borghesia, che già strozzate dalla crisi vengono ora fatte a
pezzi dall’esplosione, in campo sanitario ed economico, del
coronavirus.
Non devono essere gli operai, i detenuti, o quelli che non hanno
una casa in cui restare chiusi o nemmeno un lavoro da difendere, a
pagare il prezzo delle crisi di questo iniquo e criminale modello di
sviluppo ai tempi del coronavirus.
Si contano 14 morti tra i detenuti a seguito delle
rivolte, tutti per “overdose da farmaci”, singolare non credi?
Non è solo singolare, ma nasconde di sicuro qualcosa di terribile
successo nelle carceri di Modena, Rieti, Bologna e altre carceri.
Alcuni sono morti certamente dopo i trasferimenti, ci sono
testimonianze sicure di pestaggi feroci, sappiamo di mancanza
assoluta di cura e assistenza medica dopo le rivolte e la
repressione. Tutto questo ci impone di tenere aperta ad ogni costo la
questione. Dobbiamo avere il quadro esatto dei trasferimenti,
l’elenco dei detenuti ora, carcere per carcere, dobbiamo avere le
relazioni dei centri medici sulla situazione generale e su ogni
detenuto su cui sono intervenuti, dobbiamo esigere risposte
immediate, chiare ed esaurienti dai tribunali di sorveglianza dei
vari distretti su ogni carcere, per poter giungere ad una valutazione
delle responsabilità. Su queste morti deve essere costituita una
commissione di inchiesta che deve vedere la partecipazione oltre che
di una rappresentanza parlamentare anche della magistratura di
sorveglianza, dell’ufficio del garante e di rappresentanti
dell’avvocatura penale, delle associazioni di sostegno ai detenuti
e dei familiari che ne facessero richiesta.
Sino ad allora i responsabili di queste morti sono il Ministro
Bonafede, il Direttore del DAP ed i loro sottoposti!
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