Torre
Maura, Casalbruciato, prossimamente a Casalotti, e prima ancora
Pietralata,Trullo, Tiburtino III, Tor Sapienza, Corcolle ed altri
quartieri della vecchia e nuova periferia romana, da tempo sono oggetto
di una puntuale scenografia della “rabbia” degli abitanti dei quartieri
popolari contro immigrati e rom.
I
ripetuti episodi godono di ampia pubblicità e puntano con particolare
attenzione i
riflettori sulla presenza dei vari gruppi neofascisti (Casa Pound, Forza Nuova, Fratelli d’Italia), talvolta da soli e talvolta consorziati.
riflettori sulla presenza dei vari gruppi neofascisti (Casa Pound, Forza Nuova, Fratelli d’Italia), talvolta da soli e talvolta consorziati.
La
situazione nelle periferie della Capitale da tempo è al limite di
rottura sul piano sociale. Il solo quadrante est di Roma presenta tutti
gli indicatori di disagio sociale ai livelli massimi, un degrado della
vivibilità precipitato a livelli di emergenza e vede ad esempio un
numero di domande per il reddito di cittadinanza superiore a quello di
intere regioni, come l’Abruzzo. Una situazione non sempre riscontrabile
nelle periferie di altre aree metropolitane, ma non per questo
dissimile.
Ad
appesantire il clima, c’è anche la fragilità e la crisi politica della
giunta comunale cinquestelle di Virginia Raggi, che sta scatenando
voglie di rivalsa (Pd) e di conquista (Lega/Destra) sul governo della
città.
Ma
la sequenza degli episodi di quella che potremmo definire la “rabbia
corta” degli abitanti delle periferie, sembra avere tutte le
caratteristiche di una regia ben individuabile.
La stretta connessione tra puntualità dei fatti e gestione mediatica degli stessi, ci mette davanti quello che somiglia sempre più ad un format, con obiettivi e messaggi ben precisi. Proviamo ad esaminarli:
La stretta connessione tra puntualità dei fatti e gestione mediatica degli stessi, ci mette davanti quello che somiglia sempre più ad un format, con obiettivi e messaggi ben precisi. Proviamo ad esaminarli:
1) I gruppi neofascisti hanno dentro le istituzioni comunali, in particolare al Dipartimento ai problemi abitativi, delle “gole profonde”
che li avvisano per tempo delle situazioni critiche: l’assegnazione ad
una famiglia di immigrati o rom di una casa popolare che si è liberata, o
lo sfratto di una famiglia occupante “italiana” ma abusiva di una casa
popolare che è stata assegnata ad un nucleo familiare di immigrati o di
rom (magari anche con cittadinanza italiana, ma con origini o colore
delle pelle diverse). Una complicità tra istituzioni comunali e fascisti
che gli attivisti dell’Asia Usb denunciano da tempo.
In
questi anni i fascisti, hanno creato un “marchio” che agisce come in
franchising. Hanno creato una rete di attività economiche (pub, locali,
negozi di abbigliamento e altre meno “rispettabili”, visto il numero di
fascisti coinvolti in storie di droga), che gli consente di avere almeno
una trentina di “attivisti a tempo pieno” da mobilitare rapidamente
nelle situazioni che lo richiedono. Questo gli consente di essere
presenti per tempo e di cominciare ad agitare le acque tra la gente nei
caseggiati popolari… in attesa delle telecamere.
2)
L’arrivo di fotografi e telecamere confeziona poi la coreografia delle
frasi urlate e del razzismo da strada, che viene così diffuso e
rilanciato sui mass media e sottoposto – specularmente – alla
stigmatizzazione del “mondo di sopra” (la politica istituzionale, i
commentatori televisivi, l’insopportabile comitiva che circola intorno
al gruppo La Repubblica/L’Espresso, etc.) oppure alla legittimazione dall’alto di un atteggiamento che invoca come necessarie le soluzioni escludenti per i “non italiani”.
La medesima attenzione mediatica e politica raramente – per non dire mai –
offre la stessa copertura ad altri episodi di conflitto sociale nelle
periferie (picchetti antisfratto, assemblee e manifestazioni contro la
svendita o per la sanatoria sulle case popolari, lotte contro il degrado
dei servizi sociali etc.). Le lotte sociali quotidiane non fanno audience, non
sono spendibili come storie individuali, perché spesso sono storie
collettive. Sono problemi sociali reali cui nessuno vuol dare risposta. E
dunque, soprattutto, non esprimono parole, slogan, contenuti funzionali
al format politico/mediatico che si è venuto costruendo.
3)
Quale risultato politico produce questo vero e proprio “format”?
Produce l’idea che l’unico conflitto sociale producibile o prodotto da
questo pezzo di società è quello della guerra tra poveri, un po’
razzista e un po’ plebeo e soprattutto gestito o manipolabile solo dalla
destra. Ragione per cui sarebbe inutile perdere tempo, risorse, energie
per intervenire tra gli abitanti delle periferie. Quello è un mondo
sociale perduto, andato, tendenzialmente ininfluente. Meglio
concentrarsi sulla crisi dei “ceti medi” e recuperare quelli che si sono
lasciati attrarre dal M5S, per riportarli nelle braccia del Pd, della
Cgil o dell’associazionismo collaterale che, con Zingaretti e Landini,
adesso sono di nuovo in mano alla “Ditta”.
4)
Questo format, e le conseguenze che produce, vorrebbe prima di tutto
disarmare politicamente le realtà che in queste periferie agiscono,
resistono, si battono, affrontano i fascisti, cercano di tenere insieme
gli abitanti sulle vertenze e sui problemi concreti. Ma è evidente che
questa “quotidianità” e questa continuità, alla lunga, non ha la forza
per reggere e vincere sulla demagogia della “rabbia corta”, che è
praticata dai gruppi neofascisti, favorita da complicità istituzionali e
delle amministrazioni locali, e infine standardizzata come luogo comune
nel format, come unica protesta possibile. Non verso le autorità e i possidenti che creano quel malessere, ma contro gli ultimissimi.
Gli
abitanti delle periferie vedono le proprie case di edilizia popolare
andare nel degrado, vedono i cassonetti dei rifiuti tracimare per
giorni, non hanno alcun paracadute di fronte al continuo impoverimento
sociale, vedono il quartiere riempirsi di immigrati con i quali non c’è
occasione di scambiar parole o condividere qualcosa di positivo, dalla
finestra non si affacciano sul Colosseo o su Villa Lazzaroni, ma su un
campo rom. Così simile alle baraccopoli da cui i loro genitori
provenivano, fin quando le occupazioni di case e qualche amministrazione
più intelligente non crearono le condizioni per tirarli fuori e
metterli dentro una casa popolare, ma vera.
E’
una situazione spesso al limite sulla quale non è semplice fare sintesi
con un programma generale di rivendicazioni, questa sarebbe “una rabbia
consapevole”, totalmente diversa. Da un lato le istituzioni sono ormai
del tutto impermeabili o prive delle risorse necessarie per dare
soluzioni, dall’altra la dimensione collettiva delle soluzioni si è
andata disgregando contestualmente alla disgregazione sociale
complessiva. Su questa “area critica” lo starnazzare strumentale dei
fascisti ha vita molto più facile. Non hanno il problema della
sedimentazione nel territorio. Arrivano perché avvertiti da qualche
complice dentro le istituzioni comunali, stanno in zona il tempo di
guadagnarsi le prime pagine e poi vanno da un’altra parte, a ripetere il
giochino.
Il
situazionismo della rivolta “razzista” e “plebea” viene facilitato dal
format e dal senso comune che spira sulla società. Se andiamo a vedere i
dettagli, le persone in carne ed ossa, alla fine, quelli che si
accompagnano ai fascisti si rivelano essere in primo luogo gli
spacciatori e i piccoli malavitosi dei quartieri (quelli veri invece
temono i casini veri, gli scontri e i riflettori perché disturbano “gli
affari”).
Questo
è quello che abbiamo davanti. Noi non pensiamo che le periferie siano
perdute, al contrario. Metterci le mani senza dover essere costretti a
rincorrere le puntate del format appare
tutt’altro che semplice. Lì dove ci si è riusciti, i risultati sono
stati incoraggianti (Tor Bella Monaca, Tiburtino III), ma occorre un
radicale cambiamento di mentalità nell’attivismo politico dei militanti
della sinistra “popolare”, occorre concepire e misurarsi un format del
tutto diverso e predisporsi sul piano dell’organizzazione adeguata. Il
tempo però sarà decisivo, occorre riflettere mentre si agisce e agire
mentre si riflette.
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