Battipaglia, 50 anni fa. La polizia spara sugli operai…
di Nicoletta Guerriero *
Testimonianza di Liliana Citro, sorella della vittima dei moti di Battipaglia:
O caro Carmine Quel giorno triste del 09 aprile ti alzasti felice come non mai […] […] poi sempre più felice, mi hai salutato Ciao sorellina, oggi si scende in piazza, oggi si protesta, ma tu ignoravi che quel tragico giorno sarebbe stato l’ultimo della tua vita. […] […] Anche nei sogni mi appari felice e sorridente: chissà, forse vuoi dirmi che sei felice anche nel mondo dell’aldilà, e risvegliandomi tristemente mi ricordo quando mi dicevi: “Liliana, vedrai, un giorno cambierà tutto, saremo liberi nel Socialismo ed in un mondo di eguali”. O Carmine forse nel tuo Ideale volevi dire tante cose, che nemmeno io che ero giovane come te avevo capito. Invidiavi i giovani coraggiosi che morivano da eroi, ma di questo adesso non ne puoi dubitare perché anche tu sei morto come un vecchio partigiano nel fiore degli anni più belli. […] […] Quante ingiustizie vedevi intorno a te Ma adesso chi farà giustizia di te? […] […] Volevi aiutare i giovani e i poveri Perché tu eri giovane e povero come loro, ma il tuo desiderio, inutilmente si è potuto realizzare perché quel maledetto animalescamente ti ha ucciso, ti ha spazzato via come una folata di vento, distruggendo in te tutte le speranza che avevi per il futuro e non so se in quei pochi istanti di agonia hai avuto il tempo di ricordarti di tutti noi… […]
[…]
Battipaglia agli inizi degli anni ’60 era divenuta un polo di sviluppo industriale
nell’ambito della politica meridionalistica. Alla fine di questo decennio Battipaglia rappresentò il fallimento di questa politica meridionalistica fino ad allora seguita, di un diffuso disagio sociale e di una crisi industriale.
Nel 1969 bastò la chiusura dello zuccherificio e la minacciata chiusura del tabacchificio per provocare una vera e propria rivolta durata tre giorni. Iniziarono, così, le prime rivendicazioni. I lavoratori interessati iniziarono a chiedere sostegno ai sindacati, e attraverso varie riunioni e azioni sindacali chiesero di essere nuovamente occupati. Le tabacchine occuparono per dieci giorni il tabacchificio Santa Lucia nonostante la consapevolezza che ad aspettarle a casa vi erano i mariti e i figli. Quest’ultimi alla sera portavano loro la cena, restavano lì a farle compagnia per qualche minuto e andavano via con la speranza che il giorno dopo non fosse stato lo stesso.
Il 09 Aprile 1969 l’intera cittadina si prepara alla manifestazione unitaria indetta dai tre sindacati CGIL, CISL e UIL per protestare contro la ventilata soppressione del tabacchificio Santa Lucia, nel quale trovavano lavoro seicento donne, e la chiusura dello zuccherificio SIIS del gruppo Piaggio. Si chiese aiuto anche all’amministrazione
comunale proponendo di fare un atto di forza per sostenere lo sciopero pacifico che si stava organizzando.
Il sindaco Domenico Vicinanza aveva appuntamento a Roma alle ore 12:00 con il Ministro delle Partecipazioni Statali Arnaldo Forlani, mentre a Battipaglia indossava momentaneamente la fascia di Sindaco il vice-sindaco Sabatino Mellone.
Rispondendo all’appello dei sindacati la mattina del 09 Aprile si erano raccolte in piazza della Repubblica circa diecimila persone fra braccianti agricoli, edili, pastai, operai conservieri e studenti. Tutte le scuole erano state disertate. Gli uffici e le banche erano rimasti chiusi. I contadini della piana del Sele avevano abbandonato il lavoro nei campi per accorrere a Battipaglia. I negozi non avevano neppure alzato le saracinesche. La protesta era unanime, fortissima, senza defezione e nulla faceva presagire che sarebbero accaduti quei terribili incidenti.
Lo sciopero trovò solidali anche tutti i partiti politici, i movimenti giovanili e le forze economiche e sociali del Paese. Erano circa le 6 del mattino quando si iniziò a stazionare davanti alle fabbriche della zone e si formarono i primi cortei di lavoratori con striscioni e cartelli in cui si chiedeva la stabilità del lavoro ed un’immediata ripresa economica. Migliaia di persone si avviarono verso Piazza della Repubblica dove ad attenderle vi erano già altre migliaia di studenti.
Intanto gruppi di poliziotti e di carabinieri, arrivati da Salerno, aspettavano il corteo regolarmente autorizzato nei punti nevralgici della città. Il corteo avrebbe dovuto seguire questo iter: partire da piazza della Repubblica, proseguire per via Roma, arrivare alla stazione, occuparla per breve tempo, attraversare via Italia, stazionare sotto il Municipio, proseguire per via Mazzini e, dopo aver attraversato il centro di Battipaglia, sarebbe dovuto ritornare in piazza della Repubblica dove sarebbe stato tenuto un comizio.
I manifestanti avevano percorso poche centinaia di metri quando i poliziotti in accordo con un commissario si nascosero in due vicoli di via Roma, precisamente in via Trieste e via XXIV Maggio, e non appena il corteo passò di lì e senza che venissero suonati i regolamentari tre squilli di tromba i poliziotti si lanciarono sui dimostranti tentando di bloccare il corteo.
Le prime avanti erano le tabacchine e furono le prime ad essere caricate. C’è un primo ferito. I manifestanti si disperdono. Una grande massa si dirige verso la stazione ferroviaria occupando i binari. Un lungo striscione che inneggia all’unità è stato piantato sulle rotaie dove prendono anche posto a sedere i manifestanti. Il traffico ferroviario rimane bloccato.
Va ricordato che Battipaglia era un importante nodo per Roma, Reggio Calabria e Potenza, nonché un importante scalo commerciale. Vennero bloccate l’autostrada Salerno – Reggio Calabria, la Statale 18 e la statale 19.
Fino alle 14 la situazione rimase calma, ma la rabbia dei manifestanti esplose di lì a poco quando alcuni di loro furono rinchiusi nei cellulari e trasportati alla questura di Salerno. Nel frattempo un gruppo di poliziotti aggredì i manifestanti che occupavano la stazione e molti di loro dopo aver riempito i carrelli ferroviari di pietre raccolte sui binarsi fuggirono verso il municipio sito in Piazza del Popolo (attuale piazza Aldo Moro).
Gli scontri aumentarono e la carica dei poliziotti si fece sempre più violenta. Le camionette dei celerini salirono sui marciapiedi, i poliziotti picchiarono con ferocia i dimostranti i quali tentarono di difendersi lanciando delle pietre. Furono feriti alcuni poliziotti, i quali decisero di chiudersi in caserma.
Quest’ultimi capirono subito la gravità dell’evento e si divisero in due gruppi: alcuni tentarono di scappare da uscite retrostanti e si dispersero nelle campagne; altri, invece, imbracciarono i mitra e fecero fuoco.
Carmine Citro in quel momento si trovò a Via Mazzini fu colpito da un proiettile alla testa. Le sue condizioni furono sin da subito considerate disperate e poco dopo morì nonostante le cure prestategli dai medici. Furono feriti alla gamba Franco Di Napoli e il sedicenne Bruno Langa. In piazza del popolo invece ferirono alla spalla Leonardo Micuccio appena ventenne.
Erano le ore 16 quando alla clinica Salus e alla clinica Venosa iniziarono ad arrivare i primi feriti. Alcuni vennero portati all’ospedale civile di Eboli. Non appena in città si apprese la notizia delle due morti i dimostranti si infuriarono, reagirono in modo brusco dando fuoco alle jeeps e ai cellulari che erano rimasti in piazza. Alcune camionette delle forze armate vennero rovesciate davanti alle porte d’ingresso del Comune e del Commissariato e date alle fiamme.
In giro per la città della polizia non si vide neppure l’ombra fino alla notte. I manifestanti continuarono a dar fuoco alle jeeps e ai cellulari che erano rimasti per strada per il resto della giornata fino alle 21:00 circa.
Nel frattempo a Roma fu firmato l’accordo per la riapertura dello zuccherificio e del tabacchificio. La città sembrava aver raggiunto una certa calma quando a mezzanotte la polizia preparò un blitz. All’alba caricò sulle camionette i primi manifestanti scesi in città per continuare la protesta e li portarono a Salerno. Di prima mattina i dimostranti scesero in piazza ancora più agguerriti, cominciarono di nuovo a gridare.
Si radunarono tutti alla ferrovia, la ostruirono subito con due carcasse d’auto di polizia. Ancora il blocco. Si chiedeva l’immediata liberazione dei fermati della notte e l’allontanamento tempestivo della polizia. Dirigenti sindacali e dei partiti ( fra cui i membri della delegazione dei parlamentari comunisti venuti da Roma e quelli locali) si fecero portatori di questa richiesta al comandante dei carabinieri. Anche il sindaco DC chiese formalmente che la polizia se ne andasse. Dopo un’ora i fermati erano di nuovo a Battipaglia liberi e la polizia scomparve nuovamente senza avere nessun risultato dai manifestanti, i quali decisero di bloccare l’autostrada, la S.S. 18, la S.S. 19 e tutte le stradine meno importanti attraverso le quali si poteva raggiungere Battipaglia.
Davanti all’ospedale, in quei tempi ancora non del tutto edificato, ci fu una nuova carica della polizia. Fu pestato e quasi ucciso il fotografo Elio Caroccia mentre riprendeva con la sua macchina fotografica i rinforzi che, giunti da Napoli, si preparavano a caricare i lavoratori, i giovani, i bambini e le donne che occupavano la sede stradale all’imbocco del casello dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria.
Improvvisamente una decina di poliziotti gli si avventarono contro picchiandolo con i manganelli, gli strapparono la macchina fotografica e i rullini, la scaraventarono in terra, con due colpi alla nuca gli fecero quasi perdere i sensi, con calci violenti nello stomaco gli fecero mancare il respiro e sanguinante lo caricarono su un cellulare senza neppure trasportarlo in ospedale. Lui riuscì ad aprire la porta posteriore del cellulare, percorrere pochi metri per allontanarsi dal cellulare quasi travolto dalle fiamme, ma svenne. Un amico lo trasportò alla clinica Salus.
La notizia subito si sparse e i poliziotti vennero nuovamente caricati dai dimostranti. Il giorno seguente si dovevano svolgere i funerali delle due vittime. La città era soppressa dall’ansia. Si viveva con la tensione di essere assaliti e caricati.
I funerali si svolsero in modo molto tranquillo se non per la paura che si ebbe quando qualcuno che seguiva i funerali urtò un bidone il quale rotolando a terra fece molto fracasso. Tra la folla si alzò la voce che si trattasse di una bomba. Ma in pochi minuti tutto svanì e il corteo che seguiva i due feretri riprese regolarmente.
Per l’intera giornata della polizia non si seppe nulla. In città, tra coloro che erano stati manifestanti regnava lo sdegno verso la PS. Fu per questo motivo che a Battipaglia fu eliminata la Polizia Stradale per un arco di tempo. Lo sdegno regnava non solo a Battipaglia, dove a causa della polizia vi erano stati due morti, ma anche in altre parti di Italia come ad esempio ad Avola (Sicilia), dove era stato richiesto il disarmo della polizia a seguito di ciò che era successo pochi mesi prima.
Lunedì 2 dicembre 1968, Avola, sciopero generale. Uffici, banche, negozi, scuole, poste, cantieri, bar, circoli, è tutto fermo a causa dello sciopero a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo del contratto di lavoro. Gli studenti in corteo raggiunsero la statale 115, dove i braccianti organizzarono blocchi stradali.
Il prefetto D’Urso comunicò al sindaco socialista di Avola, Giuseppe Denaro, l’imminente intervento della polizia da Catania, per rimuovere i blocchi, e verso le 11 il contingente della Celere catanese giunse nei pressi del bivio Lido di Avola. La situazione precipitò: inutile la mediazione del sindaco con il prefetto.
Ore 14, i commissari di polizia, con indosso la sciarpa tricolore, ordinarono la carica: tre squilli di tromba e iniziò il lancio dei lacrimogeni. I braccianti cercarono riparo; alcuni lanciarono sassi. Il vento spinse il fumo dei lacrimogeni contro la stessa polizia: fu allora che gli agenti aprirono il fuoco contro i braccianti. Un inferno che durò circa mezz’ora.
Alla fine, Piscitello, deputato comunista, raccolse sull’asfalto più di due chili di bossoli. Due braccianti, Giuseppe Scibilia, 47 anni, e Angelo Sigona, 25 anni, vennero uccisi. Scibilia, soccorso dai suoi compagni, disse: “Lasciatemi riposare un po’ perché sto soffocando”. Venne trasportato in ospedale su una 500 ma per lui non ci fu niente da fare.
Oltre ai due morti, si contarono tra i braccianti 48 feriti, tra cui alcuni gravi. Il ’68, anno della contestazione e della presa di parola, terminò nel sangue. Per la prima volta, dopo l’avvio della stagione dei governi di centro-sinistra, la polizia uccise dei lavoratori durante uno sciopero.
“In Italia non esiste la pena di morte: anche chi commette un omicidio sa che al massimo rischia l’ergastolo, ma mai la propria vita. Chi scende in agitazione può rischiare invece la vita finchè la polizia sarà armata e può sparare anche se in un momento di smarrimento. Purtroppo la storia degli ultimi venti anni – con i suoi ottanta e più morti negli scontri con la polizia – dimostra che la pena di morte che risparmiano agli assassini di via Gatteschi può essere inflitta, anche se involontariamente, ai braccianti di Avola”.
Così scriveva, il 23 Febbraio “Politica”, settimanale della sinistra democratica. “Dopo Avola, è venuta Battipaglia. La lotta per il disarmo della polizia in servizio di ordine pubblico deve entrare ora in una fase nuova, perché – come ha scritto ancora “Politica” – si tratta di raggiungere quelli che sono i diritti civili di uno Stato democratico avanzato”.
Dopo cinque anni di governo di centro sinistra questa era la realtà. Dopo Avola, Battipaglia e di nuovo spari, di nuovo fuoco, di nuovo morti innocenti. Questa era la realtà che i lavoratori non erano disposti ad accettare.
Durante la rivolta, Battipaglia divenne tristemente famosa tanto che a parlarne erano oltre ai giornali locali, anche quotidiani esteri. Tra questi ricordiamo “Le Monde” in Francia e “New York Times” in America.
* da https://www.ritornoabattipaglia.it
O caro Carmine Quel giorno triste del 09 aprile ti alzasti felice come non mai […] […] poi sempre più felice, mi hai salutato Ciao sorellina, oggi si scende in piazza, oggi si protesta, ma tu ignoravi che quel tragico giorno sarebbe stato l’ultimo della tua vita. […] […] Anche nei sogni mi appari felice e sorridente: chissà, forse vuoi dirmi che sei felice anche nel mondo dell’aldilà, e risvegliandomi tristemente mi ricordo quando mi dicevi: “Liliana, vedrai, un giorno cambierà tutto, saremo liberi nel Socialismo ed in un mondo di eguali”. O Carmine forse nel tuo Ideale volevi dire tante cose, che nemmeno io che ero giovane come te avevo capito. Invidiavi i giovani coraggiosi che morivano da eroi, ma di questo adesso non ne puoi dubitare perché anche tu sei morto come un vecchio partigiano nel fiore degli anni più belli. […] […] Quante ingiustizie vedevi intorno a te Ma adesso chi farà giustizia di te? […] […] Volevi aiutare i giovani e i poveri Perché tu eri giovane e povero come loro, ma il tuo desiderio, inutilmente si è potuto realizzare perché quel maledetto animalescamente ti ha ucciso, ti ha spazzato via come una folata di vento, distruggendo in te tutte le speranza che avevi per il futuro e non so se in quei pochi istanti di agonia hai avuto il tempo di ricordarti di tutti noi… […]
[…]
Battipaglia agli inizi degli anni ’60 era divenuta un polo di sviluppo industriale
nell’ambito della politica meridionalistica. Alla fine di questo decennio Battipaglia rappresentò il fallimento di questa politica meridionalistica fino ad allora seguita, di un diffuso disagio sociale e di una crisi industriale.
Nel 1969 bastò la chiusura dello zuccherificio e la minacciata chiusura del tabacchificio per provocare una vera e propria rivolta durata tre giorni. Iniziarono, così, le prime rivendicazioni. I lavoratori interessati iniziarono a chiedere sostegno ai sindacati, e attraverso varie riunioni e azioni sindacali chiesero di essere nuovamente occupati. Le tabacchine occuparono per dieci giorni il tabacchificio Santa Lucia nonostante la consapevolezza che ad aspettarle a casa vi erano i mariti e i figli. Quest’ultimi alla sera portavano loro la cena, restavano lì a farle compagnia per qualche minuto e andavano via con la speranza che il giorno dopo non fosse stato lo stesso.
Il 09 Aprile 1969 l’intera cittadina si prepara alla manifestazione unitaria indetta dai tre sindacati CGIL, CISL e UIL per protestare contro la ventilata soppressione del tabacchificio Santa Lucia, nel quale trovavano lavoro seicento donne, e la chiusura dello zuccherificio SIIS del gruppo Piaggio. Si chiese aiuto anche all’amministrazione
comunale proponendo di fare un atto di forza per sostenere lo sciopero pacifico che si stava organizzando.
Il sindaco Domenico Vicinanza aveva appuntamento a Roma alle ore 12:00 con il Ministro delle Partecipazioni Statali Arnaldo Forlani, mentre a Battipaglia indossava momentaneamente la fascia di Sindaco il vice-sindaco Sabatino Mellone.
Rispondendo all’appello dei sindacati la mattina del 09 Aprile si erano raccolte in piazza della Repubblica circa diecimila persone fra braccianti agricoli, edili, pastai, operai conservieri e studenti. Tutte le scuole erano state disertate. Gli uffici e le banche erano rimasti chiusi. I contadini della piana del Sele avevano abbandonato il lavoro nei campi per accorrere a Battipaglia. I negozi non avevano neppure alzato le saracinesche. La protesta era unanime, fortissima, senza defezione e nulla faceva presagire che sarebbero accaduti quei terribili incidenti.
Lo sciopero trovò solidali anche tutti i partiti politici, i movimenti giovanili e le forze economiche e sociali del Paese. Erano circa le 6 del mattino quando si iniziò a stazionare davanti alle fabbriche della zone e si formarono i primi cortei di lavoratori con striscioni e cartelli in cui si chiedeva la stabilità del lavoro ed un’immediata ripresa economica. Migliaia di persone si avviarono verso Piazza della Repubblica dove ad attenderle vi erano già altre migliaia di studenti.
Intanto gruppi di poliziotti e di carabinieri, arrivati da Salerno, aspettavano il corteo regolarmente autorizzato nei punti nevralgici della città. Il corteo avrebbe dovuto seguire questo iter: partire da piazza della Repubblica, proseguire per via Roma, arrivare alla stazione, occuparla per breve tempo, attraversare via Italia, stazionare sotto il Municipio, proseguire per via Mazzini e, dopo aver attraversato il centro di Battipaglia, sarebbe dovuto ritornare in piazza della Repubblica dove sarebbe stato tenuto un comizio.
I manifestanti avevano percorso poche centinaia di metri quando i poliziotti in accordo con un commissario si nascosero in due vicoli di via Roma, precisamente in via Trieste e via XXIV Maggio, e non appena il corteo passò di lì e senza che venissero suonati i regolamentari tre squilli di tromba i poliziotti si lanciarono sui dimostranti tentando di bloccare il corteo.
Le prime avanti erano le tabacchine e furono le prime ad essere caricate. C’è un primo ferito. I manifestanti si disperdono. Una grande massa si dirige verso la stazione ferroviaria occupando i binari. Un lungo striscione che inneggia all’unità è stato piantato sulle rotaie dove prendono anche posto a sedere i manifestanti. Il traffico ferroviario rimane bloccato.
Va ricordato che Battipaglia era un importante nodo per Roma, Reggio Calabria e Potenza, nonché un importante scalo commerciale. Vennero bloccate l’autostrada Salerno – Reggio Calabria, la Statale 18 e la statale 19.
Fino alle 14 la situazione rimase calma, ma la rabbia dei manifestanti esplose di lì a poco quando alcuni di loro furono rinchiusi nei cellulari e trasportati alla questura di Salerno. Nel frattempo un gruppo di poliziotti aggredì i manifestanti che occupavano la stazione e molti di loro dopo aver riempito i carrelli ferroviari di pietre raccolte sui binarsi fuggirono verso il municipio sito in Piazza del Popolo (attuale piazza Aldo Moro).
Gli scontri aumentarono e la carica dei poliziotti si fece sempre più violenta. Le camionette dei celerini salirono sui marciapiedi, i poliziotti picchiarono con ferocia i dimostranti i quali tentarono di difendersi lanciando delle pietre. Furono feriti alcuni poliziotti, i quali decisero di chiudersi in caserma.
Quest’ultimi capirono subito la gravità dell’evento e si divisero in due gruppi: alcuni tentarono di scappare da uscite retrostanti e si dispersero nelle campagne; altri, invece, imbracciarono i mitra e fecero fuoco.
Si
registrarono subito due morti. Il diciannovenne Carmine Citro e
l’insegnante trentenne Teresa Ricciardi. Quest’ultima, insegnante del
liceo classico di Eboli, stava seguendo ciò che accadeva nella sua città
dal balcone dalle sua abitazione al terzo piano di un edificio che dà
su piazza del Popolo. Venne colpita al cuore e si accasciò in terra. Il
medico arrivò in breve tempo a soccorrerla, ma al suo arrivo non potè
far altro che constatare la morte della giovane donna.
Carmine Citro in quel momento si trovò a Via Mazzini fu colpito da un proiettile alla testa. Le sue condizioni furono sin da subito considerate disperate e poco dopo morì nonostante le cure prestategli dai medici. Furono feriti alla gamba Franco Di Napoli e il sedicenne Bruno Langa. In piazza del popolo invece ferirono alla spalla Leonardo Micuccio appena ventenne.
Erano le ore 16 quando alla clinica Salus e alla clinica Venosa iniziarono ad arrivare i primi feriti. Alcuni vennero portati all’ospedale civile di Eboli. Non appena in città si apprese la notizia delle due morti i dimostranti si infuriarono, reagirono in modo brusco dando fuoco alle jeeps e ai cellulari che erano rimasti in piazza. Alcune camionette delle forze armate vennero rovesciate davanti alle porte d’ingresso del Comune e del Commissariato e date alle fiamme.
In giro per la città della polizia non si vide neppure l’ombra fino alla notte. I manifestanti continuarono a dar fuoco alle jeeps e ai cellulari che erano rimasti per strada per il resto della giornata fino alle 21:00 circa.
Nel frattempo a Roma fu firmato l’accordo per la riapertura dello zuccherificio e del tabacchificio. La città sembrava aver raggiunto una certa calma quando a mezzanotte la polizia preparò un blitz. All’alba caricò sulle camionette i primi manifestanti scesi in città per continuare la protesta e li portarono a Salerno. Di prima mattina i dimostranti scesero in piazza ancora più agguerriti, cominciarono di nuovo a gridare.
Si radunarono tutti alla ferrovia, la ostruirono subito con due carcasse d’auto di polizia. Ancora il blocco. Si chiedeva l’immediata liberazione dei fermati della notte e l’allontanamento tempestivo della polizia. Dirigenti sindacali e dei partiti ( fra cui i membri della delegazione dei parlamentari comunisti venuti da Roma e quelli locali) si fecero portatori di questa richiesta al comandante dei carabinieri. Anche il sindaco DC chiese formalmente che la polizia se ne andasse. Dopo un’ora i fermati erano di nuovo a Battipaglia liberi e la polizia scomparve nuovamente senza avere nessun risultato dai manifestanti, i quali decisero di bloccare l’autostrada, la S.S. 18, la S.S. 19 e tutte le stradine meno importanti attraverso le quali si poteva raggiungere Battipaglia.
Davanti all’ospedale, in quei tempi ancora non del tutto edificato, ci fu una nuova carica della polizia. Fu pestato e quasi ucciso il fotografo Elio Caroccia mentre riprendeva con la sua macchina fotografica i rinforzi che, giunti da Napoli, si preparavano a caricare i lavoratori, i giovani, i bambini e le donne che occupavano la sede stradale all’imbocco del casello dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria.
Improvvisamente una decina di poliziotti gli si avventarono contro picchiandolo con i manganelli, gli strapparono la macchina fotografica e i rullini, la scaraventarono in terra, con due colpi alla nuca gli fecero quasi perdere i sensi, con calci violenti nello stomaco gli fecero mancare il respiro e sanguinante lo caricarono su un cellulare senza neppure trasportarlo in ospedale. Lui riuscì ad aprire la porta posteriore del cellulare, percorrere pochi metri per allontanarsi dal cellulare quasi travolto dalle fiamme, ma svenne. Un amico lo trasportò alla clinica Salus.
La notizia subito si sparse e i poliziotti vennero nuovamente caricati dai dimostranti. Il giorno seguente si dovevano svolgere i funerali delle due vittime. La città era soppressa dall’ansia. Si viveva con la tensione di essere assaliti e caricati.
I funerali si svolsero in modo molto tranquillo se non per la paura che si ebbe quando qualcuno che seguiva i funerali urtò un bidone il quale rotolando a terra fece molto fracasso. Tra la folla si alzò la voce che si trattasse di una bomba. Ma in pochi minuti tutto svanì e il corteo che seguiva i due feretri riprese regolarmente.
Per l’intera giornata della polizia non si seppe nulla. In città, tra coloro che erano stati manifestanti regnava lo sdegno verso la PS. Fu per questo motivo che a Battipaglia fu eliminata la Polizia Stradale per un arco di tempo. Lo sdegno regnava non solo a Battipaglia, dove a causa della polizia vi erano stati due morti, ma anche in altre parti di Italia come ad esempio ad Avola (Sicilia), dove era stato richiesto il disarmo della polizia a seguito di ciò che era successo pochi mesi prima.
Lunedì 2 dicembre 1968, Avola, sciopero generale. Uffici, banche, negozi, scuole, poste, cantieri, bar, circoli, è tutto fermo a causa dello sciopero a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo del contratto di lavoro. Gli studenti in corteo raggiunsero la statale 115, dove i braccianti organizzarono blocchi stradali.
Il prefetto D’Urso comunicò al sindaco socialista di Avola, Giuseppe Denaro, l’imminente intervento della polizia da Catania, per rimuovere i blocchi, e verso le 11 il contingente della Celere catanese giunse nei pressi del bivio Lido di Avola. La situazione precipitò: inutile la mediazione del sindaco con il prefetto.
Ore 14, i commissari di polizia, con indosso la sciarpa tricolore, ordinarono la carica: tre squilli di tromba e iniziò il lancio dei lacrimogeni. I braccianti cercarono riparo; alcuni lanciarono sassi. Il vento spinse il fumo dei lacrimogeni contro la stessa polizia: fu allora che gli agenti aprirono il fuoco contro i braccianti. Un inferno che durò circa mezz’ora.
Alla fine, Piscitello, deputato comunista, raccolse sull’asfalto più di due chili di bossoli. Due braccianti, Giuseppe Scibilia, 47 anni, e Angelo Sigona, 25 anni, vennero uccisi. Scibilia, soccorso dai suoi compagni, disse: “Lasciatemi riposare un po’ perché sto soffocando”. Venne trasportato in ospedale su una 500 ma per lui non ci fu niente da fare.
Oltre ai due morti, si contarono tra i braccianti 48 feriti, tra cui alcuni gravi. Il ’68, anno della contestazione e della presa di parola, terminò nel sangue. Per la prima volta, dopo l’avvio della stagione dei governi di centro-sinistra, la polizia uccise dei lavoratori durante uno sciopero.
“In Italia non esiste la pena di morte: anche chi commette un omicidio sa che al massimo rischia l’ergastolo, ma mai la propria vita. Chi scende in agitazione può rischiare invece la vita finchè la polizia sarà armata e può sparare anche se in un momento di smarrimento. Purtroppo la storia degli ultimi venti anni – con i suoi ottanta e più morti negli scontri con la polizia – dimostra che la pena di morte che risparmiano agli assassini di via Gatteschi può essere inflitta, anche se involontariamente, ai braccianti di Avola”.
Così scriveva, il 23 Febbraio “Politica”, settimanale della sinistra democratica. “Dopo Avola, è venuta Battipaglia. La lotta per il disarmo della polizia in servizio di ordine pubblico deve entrare ora in una fase nuova, perché – come ha scritto ancora “Politica” – si tratta di raggiungere quelli che sono i diritti civili di uno Stato democratico avanzato”.
Dopo cinque anni di governo di centro sinistra questa era la realtà. Dopo Avola, Battipaglia e di nuovo spari, di nuovo fuoco, di nuovo morti innocenti. Questa era la realtà che i lavoratori non erano disposti ad accettare.
Durante la rivolta, Battipaglia divenne tristemente famosa tanto che a parlarne erano oltre ai giornali locali, anche quotidiani esteri. Tra questi ricordiamo “Le Monde” in Francia e “New York Times” in America.
* da https://www.ritornoabattipaglia.it
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