A
che punto siano oggi i rapporti interni alla NATO, lo testimonia il
fatto che per il 70° anniversario della fondazione si siano riuniti a
Washington non i capi di Stato e di governo dei paesi membri, ma i
Ministri degli esteri.
L’osservatore della Tass, Andrej Šitov rileva come, di fronte al Congresso USA, il Segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, si sia sforzato di richiamare l’attenzione dei suoi superiori yankee sulle prove di “amicizia” tra Bruxelles e Washington, sul “vantaggio reciproco” della “collaborazione” USA-NATO. Stoltenberg ha citato l’Afghanistan, il “contenimento” dell’URSS durante la guerra fredda, l’aver “fermato guerre e atrocità nei Balcani”(!), la “lotta al terrorismo”, l’ammissione nella NATO dei “paesi di nuova libertà d’Europa centrale e orientale”. Per tutti questi compiti,
ha detto, era necessaria la forza, poiché i “nemici della libertà”, del tipo “Hitler, Stalin e ISIS”, non hanno mai capito e non capiscono le ammonizioni verbali.
Come a voler accontentare le due sponde dell’Atlantico, Stoltenberg, se da un lato ha giurato che “Tendiamo al miglioramento delle relazioni con la Russia”, dall’altro ha spaventato i suoi ascoltatori con un “massiccio incremento di potere militare” di Mosca, “dall’Artico al Mediterraneo e dal mar Nero al Baltico”, cui “in risposta”, la NATO incrementa la propria forza. D’altronde, ha detto, anche se Mosca viola il trattato sui missili a medio e a corto raggio (ovvio, chiosa Šitov, che nella cerchia degli alleati nessuno dubiti della responsabilità russa) la NATO “non risponderà allo stesso modo alle azioni russe” e “non intende schierare missili nucleari a terra in Europa”. Resta da vedere se anche Washington lo intenderà.
E se Donald Trump, a chi gli chiedeva quanto forte sia a suo parere la minaccia russa alla sicurezza della NATO, rispondeva che “spero che non ci saranno minacce alla sicurezza” e “penso che andremo d’accordo con la Russia”, il suo vice, Mike Pence ha invece dichiarato che la minaccia viene proprio dal dispiegamento dei missili a medio e corto raggio in Europa da parte di Mosca e su questo punto, ha detto, nella NATO “non ci possono essere due opinioni”. Ma, pur d’accordo con Washington sulla “minaccia” russa, gli europei sono invece abbastanza restii a nuovi missili nucleari americani sul vecchio continente.
La NATO, sostiene Andrej Polunin su Svobodnaja Pressa, ha “gonfiato” il Cremlino fino a trasformarlo in una “minaccia strategica” ed è per questo che Washington, attraverso il Consiglio atlantico, pretende dagli “alleati” l’aumento delle spese militari, il rafforzamento delle posizioni nel Baltico, mar Nero e nelle aree nordatlantiche e il ripristino di una “mentalità combattiva”, rispondente alla “minaccia incrementata” rappresentata da una Russia che sta “agendo da classica potenza revisionista”. Il Consiglio atlantico segnala anche un sensibile divario nelle potenzialità USA e degli “alleati” europei, che può influire negativamente sulle capacità difensive della NATO. Dunque, posti di fronte ai tre diversi scenari ipotizzati dal recente documento del NATO Defense College, i membri dell’Alleanza devono non solo difendere i propri confini, ma prepararsi anche a scontri al di fuori dell’Europa, come a suo tempo pronosticato dall’ex Segretario generale NATO, Fogh Rasmussen.
Quindi, ecco Mike Pence prendersela non solo con Mosca, quanto e soprattutto contro Berlino, per il “North Stream 2”, e Ankara, per i complessi missilistici S-400; e nonostante si riferisca a “problemi di sicurezza”, è chiaro come siano in gioco gli interessi commerciali USA nei settori energetico e militare-industriale.
E infatti, Trump, in risposta al sostegno finanziario UE al consorzio “Airbus”, introduce dazi per 11 miliardi di dollari su merci francesi, tedesche, spagnole e britanniche. Mentre Bruxelles, da parte sua, non rinuncia alla collaborazione con la cinese “Huawei” per la realizzazione della rete 5G, come invece preteso da Washington, sempre col pretesto di “minacce alla sicurezza informatica”. In proposito, mentre lo scorso 4 aprile The National Interest aveva pubblicato un lungo servizio di Daniel Wagner, CEO del “Country Risk Solutions”), sulla “minaccia cinese”, Vladimir Pavlenko scrive su iarex.ru che la UE sta cercando di destreggiarsi tra Washington e Pechino, sperando di unire “l’ombrello difensivo” USA agli investimenti cinesi.
Insomma, si è arrivati al punto che il capo del comando congiunto delle forze armate NATO in Europa, Curtis Scaparotti, ha minacciato di interrompere i contatti con i colleghi tedeschi, e l’ambasciatore USA, Richard Grenell, minaccia di limitare lo scambio di informazioni di intelligence, se la Germania non rinuncerà all’utilizzo dei prodotti cinesi. In risposta, UE e Cina ribadiscono l’impegno per l’accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA).
Non a caso, sempre all’incontro di Washington per il 70° della NATO, il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva menzionato, tra le altre minacce, quella cibernetica, per “la rivalità strategica con la Cina, inclusa la tecnologia 5G”.
Sarebbe più semplice, osserva il politologo Vladimir Petrovskij su Meždunarodnaja Žizn, dire chiaramente che gli Stati Uniti, con il pretesto della “minaccia alla sicurezza”, stanno cercando di far fuori un “concorrente dal mercato mondiale delle tecnologie comunicative di nuova generazione. Ma, penso, la situazione sia ancora più seria. Sembra che, mentre celebra il suo anniversario, la NATO non cessi la ricerca di nuovi “potenziali avversari” per giustificare la propria esistenza. E, in questa “ricerca”, si sta già spostando dalla regione euro-atlantica all’Asia-Pacifico. Tant’è che Foreign Policy, titolando “Trump vuole che la NATO si occupi della Cina”, valuta questo come un ribaltamento delle priorità strategiche di Washington: dalla lotta contro il terrorismo islamista alla cosiddetta “era della competizione tra le grandi potenze”.
In sostanza, l’opinionista della Tass, Denis Dubrovin, ricorda come la NATO abbia opposto diniego a ben quattro richieste di Mosca (nel 1954, 1983, 1991 e 2002) di unirsi all’Alleanza atlantica e cita le parole del suo primo Segretario generale, il generale britannico barone Ismay, secondo cui la NATO esiste per tenere gli americani in Europa, i sovietici fuori dall’Europa e i tedeschi sotto l’Europa. Ma, settant’anni più tardi, Dmitrij Rodionov, su Svobodnaja Pressa, conclude che i tedeschi sono diventati oggi per la NATO una minaccia più seria della Russia, dimostrandosi l’anello debole che rischia di far spezzare la catena in ogni momento: la ragione? Spende troppo poco per la difesa. E, a sostenerlo non è Washington, ma il deputato tedesco di origine iraniana del Freie Demokratische Partei, Bijan Djir-Sarai, secondo il quale la Germania non rispetterebbe il volume di investimento previsto dagli accordi e ciò, a suo dire, lede la NATO.
Secondo le previsioni di bilancio, infatti, nel 2024 la Germania non raggiungerà nemmeno l’1,5% del PIL per la difesa (1,37% nel 2020 e 1,25% nel 2023) mentre Trump chiede agli “alleati” di arrivare al 2%. La dichiarazione del deputato di centro-destra ha d’altra parte fatto seguito a quella del deputato di “Die Linke”, Alexander Noah, che, al contrario, ha chiesto lo scioglimento della NATO, mentre un mese fa Der Spiegel aveva parlato di crisi sistemica della NATO, scrivendo che si sono accumulati “gravi disaccordi tra i membri dell’alleanza”, che la Germania è stata accusata di avarizia e mancato rispetto delle promesse finanziarie e che tutto ciò rischia di “disgregare il blocco”.
Per quanto possa valere, una recente indagine dell’Istituto “Charles Koch”, svolta negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Turchia e Francia, alla domanda se la NATO rafforzi la sicurezza dei loro paesi, ha risposto sì il 52% degli inglesi, ma solo il 36% degli americani e dei francesi e il 40% di tedeschi e turchi. Alla domanda se in caso di “serio conflitto armato” tra la Russia e un paese confinante al proprio, membro della NATO, si debbano inviare forze di terra per aiutare tale paese, ha risposto sì ¼ di tedeschi e francesi, 1/3 di americani e britannici; ha risposto no circa il 50% dei tedeschi, oltre 1/3 dei francesi e poco meno di 1/3 di americani e inglesi. Oltre ai pareri della cosiddetta “opinione pubblica”, alcuni ex alti papaveri, politici e militari, della NATO hanno dichiarato che nei prossimi dieci anni l’Alleanza sarà occupata soprattutto da problemi interni, mentre ci sarà una pausa nel processo di espansione, a eccezione, forse, dell’ingresso di Svezia e Finlandia.
In fin dei conti, ieri il Segretario di Stato, Mike Pompeo, è stato costretto ad ammettere che Washington non è riuscita a convincere gli europei, e soprattutto la Germania, a non realizzare il “North Stream 2” e ha detto che gli USA faranno di tutto per “aiutare i propri amici nella diversificazione” delle fonti di approvvigionamento energetico, avendo in mente l’incremento dell’export di gas di scisto verso la Polonia da parte di compagnie statunitensi. Il nocciolo della questione.
contropiano
L’osservatore della Tass, Andrej Šitov rileva come, di fronte al Congresso USA, il Segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, si sia sforzato di richiamare l’attenzione dei suoi superiori yankee sulle prove di “amicizia” tra Bruxelles e Washington, sul “vantaggio reciproco” della “collaborazione” USA-NATO. Stoltenberg ha citato l’Afghanistan, il “contenimento” dell’URSS durante la guerra fredda, l’aver “fermato guerre e atrocità nei Balcani”(!), la “lotta al terrorismo”, l’ammissione nella NATO dei “paesi di nuova libertà d’Europa centrale e orientale”. Per tutti questi compiti,
ha detto, era necessaria la forza, poiché i “nemici della libertà”, del tipo “Hitler, Stalin e ISIS”, non hanno mai capito e non capiscono le ammonizioni verbali.
Come a voler accontentare le due sponde dell’Atlantico, Stoltenberg, se da un lato ha giurato che “Tendiamo al miglioramento delle relazioni con la Russia”, dall’altro ha spaventato i suoi ascoltatori con un “massiccio incremento di potere militare” di Mosca, “dall’Artico al Mediterraneo e dal mar Nero al Baltico”, cui “in risposta”, la NATO incrementa la propria forza. D’altronde, ha detto, anche se Mosca viola il trattato sui missili a medio e a corto raggio (ovvio, chiosa Šitov, che nella cerchia degli alleati nessuno dubiti della responsabilità russa) la NATO “non risponderà allo stesso modo alle azioni russe” e “non intende schierare missili nucleari a terra in Europa”. Resta da vedere se anche Washington lo intenderà.
E se Donald Trump, a chi gli chiedeva quanto forte sia a suo parere la minaccia russa alla sicurezza della NATO, rispondeva che “spero che non ci saranno minacce alla sicurezza” e “penso che andremo d’accordo con la Russia”, il suo vice, Mike Pence ha invece dichiarato che la minaccia viene proprio dal dispiegamento dei missili a medio e corto raggio in Europa da parte di Mosca e su questo punto, ha detto, nella NATO “non ci possono essere due opinioni”. Ma, pur d’accordo con Washington sulla “minaccia” russa, gli europei sono invece abbastanza restii a nuovi missili nucleari americani sul vecchio continente.
La NATO, sostiene Andrej Polunin su Svobodnaja Pressa, ha “gonfiato” il Cremlino fino a trasformarlo in una “minaccia strategica” ed è per questo che Washington, attraverso il Consiglio atlantico, pretende dagli “alleati” l’aumento delle spese militari, il rafforzamento delle posizioni nel Baltico, mar Nero e nelle aree nordatlantiche e il ripristino di una “mentalità combattiva”, rispondente alla “minaccia incrementata” rappresentata da una Russia che sta “agendo da classica potenza revisionista”. Il Consiglio atlantico segnala anche un sensibile divario nelle potenzialità USA e degli “alleati” europei, che può influire negativamente sulle capacità difensive della NATO. Dunque, posti di fronte ai tre diversi scenari ipotizzati dal recente documento del NATO Defense College, i membri dell’Alleanza devono non solo difendere i propri confini, ma prepararsi anche a scontri al di fuori dell’Europa, come a suo tempo pronosticato dall’ex Segretario generale NATO, Fogh Rasmussen.
Quindi, ecco Mike Pence prendersela non solo con Mosca, quanto e soprattutto contro Berlino, per il “North Stream 2”, e Ankara, per i complessi missilistici S-400; e nonostante si riferisca a “problemi di sicurezza”, è chiaro come siano in gioco gli interessi commerciali USA nei settori energetico e militare-industriale.
E infatti, Trump, in risposta al sostegno finanziario UE al consorzio “Airbus”, introduce dazi per 11 miliardi di dollari su merci francesi, tedesche, spagnole e britanniche. Mentre Bruxelles, da parte sua, non rinuncia alla collaborazione con la cinese “Huawei” per la realizzazione della rete 5G, come invece preteso da Washington, sempre col pretesto di “minacce alla sicurezza informatica”. In proposito, mentre lo scorso 4 aprile The National Interest aveva pubblicato un lungo servizio di Daniel Wagner, CEO del “Country Risk Solutions”), sulla “minaccia cinese”, Vladimir Pavlenko scrive su iarex.ru che la UE sta cercando di destreggiarsi tra Washington e Pechino, sperando di unire “l’ombrello difensivo” USA agli investimenti cinesi.
Insomma, si è arrivati al punto che il capo del comando congiunto delle forze armate NATO in Europa, Curtis Scaparotti, ha minacciato di interrompere i contatti con i colleghi tedeschi, e l’ambasciatore USA, Richard Grenell, minaccia di limitare lo scambio di informazioni di intelligence, se la Germania non rinuncerà all’utilizzo dei prodotti cinesi. In risposta, UE e Cina ribadiscono l’impegno per l’accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA).
Non a caso, sempre all’incontro di Washington per il 70° della NATO, il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva menzionato, tra le altre minacce, quella cibernetica, per “la rivalità strategica con la Cina, inclusa la tecnologia 5G”.
Sarebbe più semplice, osserva il politologo Vladimir Petrovskij su Meždunarodnaja Žizn, dire chiaramente che gli Stati Uniti, con il pretesto della “minaccia alla sicurezza”, stanno cercando di far fuori un “concorrente dal mercato mondiale delle tecnologie comunicative di nuova generazione. Ma, penso, la situazione sia ancora più seria. Sembra che, mentre celebra il suo anniversario, la NATO non cessi la ricerca di nuovi “potenziali avversari” per giustificare la propria esistenza. E, in questa “ricerca”, si sta già spostando dalla regione euro-atlantica all’Asia-Pacifico. Tant’è che Foreign Policy, titolando “Trump vuole che la NATO si occupi della Cina”, valuta questo come un ribaltamento delle priorità strategiche di Washington: dalla lotta contro il terrorismo islamista alla cosiddetta “era della competizione tra le grandi potenze”.
In sostanza, l’opinionista della Tass, Denis Dubrovin, ricorda come la NATO abbia opposto diniego a ben quattro richieste di Mosca (nel 1954, 1983, 1991 e 2002) di unirsi all’Alleanza atlantica e cita le parole del suo primo Segretario generale, il generale britannico barone Ismay, secondo cui la NATO esiste per tenere gli americani in Europa, i sovietici fuori dall’Europa e i tedeschi sotto l’Europa. Ma, settant’anni più tardi, Dmitrij Rodionov, su Svobodnaja Pressa, conclude che i tedeschi sono diventati oggi per la NATO una minaccia più seria della Russia, dimostrandosi l’anello debole che rischia di far spezzare la catena in ogni momento: la ragione? Spende troppo poco per la difesa. E, a sostenerlo non è Washington, ma il deputato tedesco di origine iraniana del Freie Demokratische Partei, Bijan Djir-Sarai, secondo il quale la Germania non rispetterebbe il volume di investimento previsto dagli accordi e ciò, a suo dire, lede la NATO.
Secondo le previsioni di bilancio, infatti, nel 2024 la Germania non raggiungerà nemmeno l’1,5% del PIL per la difesa (1,37% nel 2020 e 1,25% nel 2023) mentre Trump chiede agli “alleati” di arrivare al 2%. La dichiarazione del deputato di centro-destra ha d’altra parte fatto seguito a quella del deputato di “Die Linke”, Alexander Noah, che, al contrario, ha chiesto lo scioglimento della NATO, mentre un mese fa Der Spiegel aveva parlato di crisi sistemica della NATO, scrivendo che si sono accumulati “gravi disaccordi tra i membri dell’alleanza”, che la Germania è stata accusata di avarizia e mancato rispetto delle promesse finanziarie e che tutto ciò rischia di “disgregare il blocco”.
Per quanto possa valere, una recente indagine dell’Istituto “Charles Koch”, svolta negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Turchia e Francia, alla domanda se la NATO rafforzi la sicurezza dei loro paesi, ha risposto sì il 52% degli inglesi, ma solo il 36% degli americani e dei francesi e il 40% di tedeschi e turchi. Alla domanda se in caso di “serio conflitto armato” tra la Russia e un paese confinante al proprio, membro della NATO, si debbano inviare forze di terra per aiutare tale paese, ha risposto sì ¼ di tedeschi e francesi, 1/3 di americani e britannici; ha risposto no circa il 50% dei tedeschi, oltre 1/3 dei francesi e poco meno di 1/3 di americani e inglesi. Oltre ai pareri della cosiddetta “opinione pubblica”, alcuni ex alti papaveri, politici e militari, della NATO hanno dichiarato che nei prossimi dieci anni l’Alleanza sarà occupata soprattutto da problemi interni, mentre ci sarà una pausa nel processo di espansione, a eccezione, forse, dell’ingresso di Svezia e Finlandia.
In fin dei conti, ieri il Segretario di Stato, Mike Pompeo, è stato costretto ad ammettere che Washington non è riuscita a convincere gli europei, e soprattutto la Germania, a non realizzare il “North Stream 2” e ha detto che gli USA faranno di tutto per “aiutare i propri amici nella diversificazione” delle fonti di approvvigionamento energetico, avendo in mente l’incremento dell’export di gas di scisto verso la Polonia da parte di compagnie statunitensi. Il nocciolo della questione.
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