Lamezia Terme, Calabria. Settanta dipendenti sottopagati. Buste paga in fotocopia: mille e duecento euro, tutto compreso. Niente straordinari e ferie.
“Qual è la novità?”, chiederete voi. Sono le ordinarie condizioni di lavoro nel Sud Italia. La novità è che le due ditte che praticavano queste condizioni sono finite sotto amministrazione giudiziaria. E hanno subito, anche se per poco tempo, un sequestro preventivo per un valore di 3,5 milioni di euro.
Nell'”operazione Sheffield” sono coinvolte due società di trasporti e logistica con sede nell’area
industriale nel centro della regione. L’operazione risale allo scorso maggio. Le aziende operavano anche le settore del trasporto ortofrutticolo. Qualche giorno fa il tribunale del Riesame ha annullato il provvedimento di sequestro non ritenendo sussistente il “fumus” del reato. Il processo è in corso e apre un fronte del tutto nuovo.Per la prima volta esiste uno strumento che colpisce lo sfruttamento ordinario, quasi accettato con rassegnazioneÈ stata applicata una legge – la 199 del 2016 – nata per combattere il caporalato ma che mano mano si applicando per tutti i casi di sfruttamento, anche quelli che ormai consideravamo normali.Sempre più la giurisprudenza individua il reato nell'”approfittamento” dello stato di bisogno. In questo caso, “derivante anche dall’assenza di ulteriori opportunità occupazionali sul territorio”. Il pm ha rilevato “l’assenza di una reale e accettabile alternativa esistenziale”.
Come dire: non sono io lavoratore ad essere libero di andare via. Deve essere l’imprenditore a rispettare gli standard minimi senza approfittare del contesto ambientale a lui favorevole.
Nello stesso periodo, nella zona di Mondragone, la Procura ha sequestrato un’azienda dell’ortofrutticolo che utilizzava manodopera gravemente sfruttata. Gli investigatori hanno monitorato i percorsi nei campi tramite droni. E alla fine hanno scoperto un gran numero di donne straniere pagate quattro euro al giorno per turni che arrivavano a 12 ore. Lavoravano anche a Falciano del Massico, Castel Volturno, Grazzanise e Villa Literno. I luoghi di Jerry Masslo.
La cosa interessante è che le aziende in questione non erano costrette a sfruttare da una filiera iniqua, come vuole un luogo comune diffuso dalle organizzazioni padronali. Facendo da collettore per le altre imprese del territorio, hanno accumulato un patrimonio che vale due milioni di euro.
Non vediamo imprese povere costrette a sfruttare per stare sul mercato. Sfruttare il prossimo è sempre una scelta. Per troppi una scelta milionaria.
Anche le cinque aziende del foggiano sequestrate a metà giugno avevano accumulato un patrimonio importante: due milioni di giro d’affari e un milione di beni messo sotto sequestro. Eppure reclutavano 150 braccianti nei ghetti tra Rignano Garganico e Torretta Antonacci, pagati 4,50 euro a cassone riempito. Cinquanta centesimi era la “multa” per ogni pomodoro sporco o per una cassa sistemata male. I caporali riprendevano con gli smartphone le fasi di raccolta di pomodori e ortaggi per controllare che i braccianti fossero produttivi.
Questa inchiesta è partita dopo la denuncia di due braccianti africani. Anche in questo caso una delle aziende funzionava di fatto da agenzia interinale, procurando manodopera per le altre. Gli arrestati conoscevano molto bene la normativa. Infatti il meccanismo escogitato serviva a fare da “schermo” alle altre aziende, eludendo la legge.
Le tre inchieste offrono uno spaccato molto diverso dall’immaginario arcaico del caporalato al Sud. Patrimoni importanti (un totale di circa 7 milioni è finito sotto sequestro), aziende fittizie per coprire di legalità la somministrazione di manodopera sfruttata, consulenti del lavoro arruolati per eludere le leggi. Dall’altro lato, salari di pura sopravvivenza e condizioni limite.
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