«Penso solo che le gabbie non vadano bene, né per i cani né per gli esseri umani». E ancora: «L’unico carcere buono è un carcere liberato».
Così, Libero De Rienzo si esprimeva, nel 2015, su quei maledetti dispositivi di contenzione, sorveglianza, disciplina, repressione, coercizione e normalizzazione sociale che sono le galere.
Dispositivi attraverso cui il consesso civile si libera delle proprie responsabilità e colpe, dei propri scarti produttivi, per gettarli dietro mura fatte di sbarre. Sbarre che non educano, ma addomesticano. Annientando l’umano sentire. A perfezionamento dell’iniquo sistema di classe su cui si regge l’intera architettura del potere borghese, che vige fuori dagli istituti di pena.
Era questo, Libero De Rienzo.
Attore, sceneggiatore, regista deceduto ieri. Stroncato a soli 44 anni da un infarto fulminante.
Libero – Picchio per gli amici e per chi gli ha voluto bene – sul carcere e la repressione aveva una
cultura che sembrava provenire direttamente dai movimenti rivoluzionari comunisti e dalle pratiche di contropotere sperimentate negli anni ’70.Anni in cui le carceri le si voleva distruggere o liberare.
Rileggendo o ascoltando le parole di Picchio – lettore e studioso di Foucault – sembra di risentire e rileggere quelle contenute nel libro, edito da Lotta Continua, “Liberare tutti i dannati della terra”.
O in quel fondamentale volume per la cultura antagonista, che è stato “Col sangue agli occhi”, di George Jackson.
Parole che risuonavano durante le rivolte carcerarie, compiute dal proletariato detenuto. Parole che condussero alla chiusura di un lager come L’Asinara.
A modo suo, Libero una “rivolta carceraria” la portò a termine. Ridando vita, nel 2015, all’ex Penitenziario dell’isola di Procida. La più piccola delle isole del golfo di Partenope, cui era molto legato.
«Un luogo di dolore che ha una certa affinità con Auschwitz», come ebbe a dire lo stesso De Rienzo, «che abbiamo voluto trasformare in un posto pieno di cultura e bellezza».
Proiezioni di film girati sull’isola o di opere a tema carcerario costituirono il fulcro di una rassegna importante per la stessa Isola di Arturo; ma soprattutto per l’eco sociale che ebbe, suscitando interesse su argomenti, di solito, poco appetibili per media di regime e classe politica.
D’altronde, Picchio si dichiarava orgogliosamente comunista.
Durante un’intervista rilasciata a Vanity Fair – pubblicata indecorosamente solo dopo la sua morte – al giornalista che gli chiedeva se fosse anarchico, De Rienzo rispose, con una certa fierezza, «No, sono un comunista».
Per poi proseguire: «Se si votasse domani voterei Potere al popolo».
E ai compagni di Potere al Popolo, Libero De Rienzo mandò un messaggio, offrendo la sua collaborazione militante.
Un rapporto che, purtroppo, non ha trovato concretezza. Forse perché alla cultura, dalle nostre parti – quelle delle organizzazioni comuniste – non si presta mai troppa attenzione.
O semplicemente perché le cose sono andate così…
Interprete di pellicole come Santa Maradona, Fortapàsc, La via degli Angeli, Le ultime 56 ore, Smetto quando voglio, La kriptonite nella borsa, A/R Andata + Ritorno, Libero De Rienzo ha alternato film di impegno a prodotti dalle caratteristiche più commerciali e leggere.
Sempre connotando, però, i suoi personaggi con uno stile recitativo anomalo, seppur visivamente seducente, all’interno di un panorama cinematografico italiano alquanto mediocre e asfittico.
Anticonformista, sagace provocatore ma dotato di un’umanità sensibile e profonda, Libero De Rienzo era un tipico figlio di Napoli.
E come questa inemendabile e contraddittoria città, amava forse sedere dalla parte del torto.
Attore riflessivo e intelligente, volitivo e ironico, colto e minuzioso nella costruzione del personaggio, Picchio è stato un interprete dal tratto – corporeo e vocale – decisamente originale.
Quasi, mi verrebbe da dire, antropologicamente determinato.
Tanto che sembrava portarsi dietro quella che noi napoletani chiamiamo ‘a pucundria.
Stato d’animo, tutto partenopeo, improntato ad una insondabile tristezza dolorosa che si avvicina alla melanconia greca.
Caratterizzata anche da noia, insoddisfazione, senso di solitudine.
Il disegno dei suoi personaggi sembrava riflettere questa inclinazione; questa indole tutta latino-partenopea.
Mai enfatico, mai retorico, Libero era schivo e poco attratto dalle luci della ribalta spettacolarizzata.
A due giorni dalla sua scomparsa, si cominciano a rincorrere voci su una presunta morte dovuta ad uso di sostanze stupefacenti.
Il giornalismo mainstream e la stampa di regime stanno già diffondendo la notizia, pregustando forse scoop e ignobili retroscena gossippari. Da dare in pasto, come da costume ormai italico, ad un pubblico di haters e di disgustosi moralisti borghesi.
O per solleticare l’idiozia di quell’anticonvenzionalismo qualunquista e intriso di intollerabile perbenismo inconscio che è patrimonio di un sinistrame culturalmente subalterno al paradigma reazionario.
Ebbene, da ex tossicodipendenti, vogliamo dire a costoro, con chiarezza, non ci provate!
Ogni uomo è Libero – sembra proprio il caso di dirlo – di vivere la propria vita nel modo che più gli aggrada.
E, a volte, anche di scegliersi la propria stronza morte.
Soprattutto in un sistema in cui, quella stessa morte, è dispensata con crudele noncuranza. Ma, allo stesso tempo, rifugita con orrore.
Ciao Picchio. Ci mancherai!
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