Dopo la preghiera del venerdì, sostenitori dei Fratelli Musulmani hanno protestato contro la repressione del governo, impegnato da oltre un anno nella distruzione dei movimenti islamisti fuori e dentro il paese.
Roma, 8 novembre 2014, Nena News – Si riaccende la tensione in Egitto tra autorità e sostenitori dei Fratelli Musulmani: è di quattro morti il bilancio delle vittime di ieri, in scontri scoppiati durante manifestazioni anti-governative nella provincia di Fayoum, a sud del Cairo, e in altre comunità a nord. Dopo la preghiera del venerdì sostenitori del deposto presidente Morsi hanno lanciato nuove proteste contro le politiche repressive messe in atto da oltre un anno – dal 3 luglio 2013, giorno del colpo di Stato – dal nuovo presidente al-Sisi.
Tra le vittime anche un ragazzo di 17 anni, fanno sapere fonti mediche. Un morto anche a Ain Shams, a nord est della capitale, e due a Ismailia (un civile e un poliziotto). La polizia ha arrestato almeno 13 manifestanti. Dal 3 luglio di un anno fa, sono 1.400 i morti in scontri tra islamisti e forze militari, 15mila gli arrestati e quasi mille i condannati a morte.
La dura repressione del Cairo contro i movimenti islamisti continua a mietere vittime e a destabilizzare il paese. Una repressione che si è tradotta nel bando del movimento della Fratellanza Musulmana, considerata organizzazione terroristica, e nelle operazioni militari nella Penisola del Sinai contro gruppi ritenuti legati all’Isis. Il prezzo, al confine, lo pagano la Striscia di Gaza e i residenti egiziani della zona: la scorsa settimana il governo ha evacuato quasi mille famiglie e demolito con le bombe le loro case per creare – come Israele – una zona cuscinetto con Gaza. Il Cairo si muove anche fuori, in Libia, dove nelle scorse settimane ha ufficiosamente bombardato Bengasi a sostegno del parlamento di Tobruk e delle milizie dell’ex generale Haftar.
Dietro, la volontà di al-Sisi di ripulire il paese dalla presenza di islamisti, obiettivo per il quale ha ricevuto pieno sostegno da parte statunitense. Inserendosi così nella cosiddetta guerra al terrore, al-Sisi ha ricevuto aerei da guerra da Washington e lo sblocco degli aiuti militari, 1,3 miliardi di dollari che la Casa Bianca era inizialmente restia a inviare per le politiche anti-democratiche del nuovo esecutivo. Ma si sa, gli interessi strategici vengono prima di tutto e al-Sisi è ora il migliore degli alleati.
di Barbara Ciolli
Le cronache raccontano dei jihadisti in Siria e in Iraq, della guerra tra bande in Libia. Degli attentati in Sinai e dell'allarme terrorismo scaturito dalle rivolte del 2011.
Non si parla mai della resistenza degli studenti egiziani contro i generali del Cairo, Primavera araba che andrebbe invece ancora raccontata.
Non è infatti più una lotta per i diritti e per la democrazia la deriva nell'ex regime di Hosni Mubarak. E, ancora prima, erano degenerate le manifestazioni pacifiche che, tre anni e mezzo fa, con la eco di piazza Tahrir aprirono in Siria la lotta contro il regime di Bashar al Assad.
LA STRAGE DI RABAA. In Egitto, dove è partita l'onda lunga dopo la scintilla della Tunisia, i militari hanno estromesso il presidente democraticamente eletto Mohammed Morsi, leader dei Fratelli musulmani. Al golpe soft del 3 luglio 2013 è seguita la lunga e dura repressione dei moderati islamici e dei loro sostenitori.
Tra gli almeno 600 morti nelle stragi di piazza Rabaa e al Nahda, al Cairo, dell'agosto successivo, la Fratellanza ha contato molti giovani. Tanti studenti che non volevano abbandonare le loro tendopoli, sgomberate dalla polizia.
ARRESTI DI MASSA. Da allora gli scontri si ripetono, nei quartieri universitari della capitale e di altre città egiziane. Un anno di proteste, guerriglia, arresti di massa e anche attentati. Fino all'ultimo autunno caldo, con gli atenei presidiati dai tank e infiltrati dall'intelligence.
Dall'inaugurazione dell'anno accademico, l'11 ottobre 2014, quasi 200 studenti sono stati arrestati e la polizia ha fatto irruzione in almeno cinque università.
Almeno 14 studenti morti nell'anno accademico 2013/2014
Non c'erano disordini sanguinosi. Solo accese proteste contro il «governo militare» del generale Abdel Fattah al Sisi. Ma il nuovo presidente che dialoga con gli Usa e con l'Europa ha inviato «soldati al fianco degli agenti per garantire la sicurezza di istituzioni e luoghi pubblici». Incluse le scuole e gli atenei, diventate enclave di dissenso.
L'università di al Azhar, Mecca per l'insegnamento dell'Islam sunnita, è la fiamma più viva di resistenza.
Sei dei 14 morti negli scontri dello scorso anno accademico frequentavano l'ateneo che richiama nella capitale un quinto di tutti gli studenti del Paese. Altre cinque vittime, secondo gli attivisti egiziani della Association for Freedom of Thought and Expression (Afte), l'Università del Cairo. Altri ancora l'università di Ain Shams, sempre al Cairo, quella di Alessandria e diversi campus per studenti.
PALLOTTOLE CONTRO MOLOTOV. Alle manifestazioni volano pallottole, oltre ai manganelli e ai gas lacrimogeni contro sassi e molotov. Al Sisi e gli altri gerarchi lo hanno sempre negato, ma quei morti sono evidenti e dovrebbero pesare, anche per la comunità internazionale che, a parole, esalta lo spirito originario della Primavera araba.
Invece, in nome della stabilità in Medio Oriente, ha finito per appoggiare la controrivoluzione egiziana dell'erede di Hosni Mubarak.
Tra il luglio 2013 e il maggio 2014, Wiki thawra, il database egiziano della «rivoluzione», ha denunciato 4.768 studenti tra oltre 40 mila detenuti: i compagni di studi, in strada, chiedevano anche il loro rilascio.
Arresti di massa a ottobre all'apertura del nuovo anno
In oltre 150 sono stati fermati negli atenei, altri 41 studenti sono stati prelevati a casa, sei arrestati nei licei, due addirittura nelle scuole medie.
I ragazzi che non si rassegnano al «golpe» vengono processati dalla corte marziale.
Nominato presidente, al Sisi ha introdotto il potere di nomina di rettori e presidi di facoltà, per eliminare anche i professori scomodi. All'ingresso delle cittadelle universitarie, guardie della security private perquisiscono con metal detector. E, al primo picchetto, arrivano agenti e militari a compiere retate. «Siamo studenti, non possiamo accettare di essere trattati come criminali», ha lamentato il gruppo Students against coup (Sac), dopo gli ultimi tafferugli. Esplosi proprio per le code ai metal detector.
ISTRUZIONE VIETATA. Centinaia di studenti che hanno manifestato sono stati espulsi e, per le nuove disposizioni dell'Alto Consiglio delle Università, non possono iscriversi neppure ad atenei privati.
Gli accessi sono blindati e i campus costantemente presidiati con telecamere a circuito chiuso e da società di contractor vicine all'intelligence. In caso di «minacce alla sicurezza» i rettori possono chiamare le forze dell'ordine.
«Quando vengo all'università mi sembra una zona di guerra. Ci guardano come fossimo potenziali terroristi», raccontano gli studenti di Filosofia dell'Università del Cairo. E, in effetti, tanto i Fratelli musulmani che il Movimento giovanile 6 aprile, anima laica delle contestazioni, sono stati dichiarati illegali dal nuovo regime: gli oppositori islamici addirittura con il marchio di «terroristi».
Il bavaglio ai leader studenteschi del ceto medio emergente
Nel 2013, la sinistra e i liberali appoggiarono i militari, per far cadere un governo islamista. Ma, dopo gli arresti e il bavaglio di al Sisi anche agli attivisti laici, l'opposizione si è ricompattata contro i generali.
La maggioranza dei movimenti studenteschi è vicina alla Fratellanza. Ma anche supporter del Movimento 6 aprile e di gruppi laici e di sinistra partecipano alle proteste degli ultimi mesi. Non sono d'accordo sul ritorno di Morsi, ma intanto chiedono democrazia. «Le università stanno diventando l'ultimo bastione per i gruppi d'opposizione», commentano i professori.
Tra loro, Laila Soueif, dell'Università del Cairo, solidarizza contro «l'attacco senza precedenti all'indipendenza degli atenei».
Al Sisi - che dopo i manifestanti punta a reprimere gli ideologhi del dissenso - ha annunciato che «nei campus non saranno tollerate più violenze».
LA FORZA DEGLI STUDENTI. Dalle università, in Egitto, partirono le rivolte contro l'occupazione inglese. Diversi politici egiziani hanno un passato da leader studenteschi e, nel Terzo millennio, il milione e mezzo di studenti è figlio del crescente ceto medio egiziano.
L'obiettivo del regime è dividerli, anche attraverso la delazione interna. Ma, con le minacce e i controlli, la protesta si è gonfiata ancora di più. Gli studenti di al Azhar hanno bloccato strade e lanciato razzi contro la polizia. Ad Alessandria c'è scappato un altro morto.
Ma neanche gli 11 feriti della seconda bomba in sei mesi, esplosa il 22 ottobre fuori dall'Università del Cairo, fermano la resistenza.
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