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Alcune info sui processi per amianto a cura della Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio bastamortesullavoro@gmail.com
RavennaPetrolchimico, testimonianza choc: “Sotterravo l’amianto in pialassa”
Ravenna, 7 novembre 2014 - «Nella pialassa Baiona dietro il cementificio abbiamo buttato di tutto. Il mio capo reparto dava l’ordine e noi andavamo, scavavamo una buca con la ruspa e gettavamo tutto dentro, anche l’amianto. E quando la buca era piena, coprivamo tutto e ne scavavamo un’altra».
La testimonianza choc è arrivata ieri mattina al termine della terza udienza per il maxi processo sui presunti effetti dell’amianto all’interno del petrolchimico. Incalzato dalle domande del pm Monica Gargiulo, Luciano Laghi, coibentatore del polo chimico dal 1971 al 1988, delinea senza tanti giri di parole un panorama che, fino a ora, nessuno aveva ancora raccontato. Nell’aula d’assise del tribunale di Ravenna cala il silenzio, e lo stupore dei presenti si mescola all’incredulità. Il giudice Milena Zavatti interviene chiedendo precisazioni e Laghi parla con la franchezza di chi sente di avere un peso sullo stomaco da doversi togliere. «Nella pialassa abbiamo scaricato di tutto» sono parole che riecheggiano con forza dentro l’aula. Lo sviluppo potrebbe infatti avvalorare l’ipotesi di disastro già chiesta dalla pubblica accusa, che ha coordinato la complessa indagine sull’amianto svolta dal personale dell’Arma, della Medicina del lavoro e dell’Arpa.
Sotto quegli strati di terra che compongono una delle oasi più amate dagli appassionati della natura, ma anche dagli sportivi in cerca di una corsa all’aria aperta, si cela un segreto fatto di ruspe che scavavano buche per ‘accogliere’ amianto e chissà quanti altri materiali. Si cela l’ipotesi di un ambiente naturale utilizzato come discarica. Risvolti che pongono un quesito che andrà ora appurato: l’amianto si trova ancora sotto terra nella Baiona?
E tra le mura del petrolchimico? Dalle parole degli undici ex lavoratori saliti ieri sul banco dei testimoni emerge un quadro tremendo della vita di operai che hanno trascorso anni a contatto con l’amianto, senza conoscerne gli effettivi rischi e, di conseguenza, senza adottare alcuna precauzione per difendere il proprio organismo dall’intrusione delle polveri killer. Tanto che la miscela di cemento e amianto per effettuare le coibentazioni, come riportato dai testimoni, veniva effettuata spesso a mani nude. E poi le vibrazioni costanti delle tubazioni, soprattutto nella centrale termoelettrica, dove le temperature erano più elevate, i colpi di arietino quotidiani e colpi d’ariete almeno due volte alla settimana, come riferito da Gianluca Mancini, dell’avvocatura dell’Inail. Quando avveniva un repentino cambio di temperatura nelle condutture si generava come uno scoppio, il cosiddetto colpo d’ariete. Questo faceva sgretolare la coibentazione in amianto, che dopo numerose sollecitazioni terminava per spaccarsi del tutto, contribuendo a trasportare il killer nell’aria del petrolchimico.
di Alessandro Cicognani
Amianto, per il polo chimico di Ravenna rinviate a giudizio ventuno persone
Ventuno persone sono state rinviate a giudizio a vario titolo per lesioni colpose, disastro colposo e omicidio colposo nell'ambito dell'inchiesta sull' amianto killer al polo chimico di Ravenna. Il giudice Pier Vittorio Farinella, accogliendo le richiesta del pubblico ministero Guido Ceroni, che ha condotto l'inchiesta che coinvolge diversi ex dirigenti del petrolchimico di Ravenna ha deciso di mirare alto formulando reati molto gravi. Inizialmente erano 25 gli indagati, ma quattro sono deceduti durante la fase dell'indagine preliminare. Una settantina le parti civili ammesse, tra cui l'Inail e familiari di operai morti a causa dell'amianto. Sono stati presi in esame 28 anni della storia del petrolchimico ravennate, dal 1957 al 1985.
Vertici implicati anche a Torino dove nel 2006 un operaio mori' per un carcinoma polmonare legato, secondo la procura di Torino, al contatto con l'amianto sul posto di lavoro. Ora i due dirigenti svizzeri delle Fonderie Ghisa Rosta, dove l'uomo lavorava, sono a processo con l'accusa di omicidio colposo. Secondo l'accusa, sostenuta dal pm Gianfranco Colace, durante gli anni di lavoro l'uomo sarebbe stato esposto all'amianto e ad altre sostanze nocive.
In Emilia Romagna infine, quello che si sta prospettando è un massiccio ricorso al tribunale civile dei lavoratori delle officine ferroviarie Ogr. "Vinte le prime cinque cause pilota, ne abbiamo gia' pronte alcune decine che partiranno nelle prossime settimane", annuncia Alberto Ballotti, segretario della Filt-Cgil di Bologna. L’obiettivo è ottenere il riconoscimento dei benefici previdenziali in favore dei lavoratori dell'Ogr esposti all'amianto. Le Ogr hanno provocato finora 200 vittime e i giudici hanno già emesso condanne penali dei responsabili aziendali. Ora si tratta di veder riconosciuti i benefici previdenziali.
Turbigo (Milano)
Expo, denuncia ambientalista in Procura
«Mai fatte analisi sul materiale scavato» «Amianto nella terra delle Vie d'Acqua» . È finito in Procura il fascicolo che riguarda la richiesta di verifiche ambientali sull'area tra le vie Castellanza, Parabiago e Bolla, dove la ditta Maltauro sta realizzando, per conto di Expo, un pezzo delle Vie d'acqua che porteranno l'acqua fuori dal sito espositivo. Enrico Fedrighini, presidente della commissione Ambiente del Consiglio di Zona 8, ha prima spedito la denuncia al Corpo forestale dello Stato, «dal momento che non avevamo ricevuto risposte esaurienti da Comune, Arpa e Metropolitana milanese». E il Corpo forestale, i cui componenti agiscono come ufficiali di Polizia giudiziaria, hanno depositato copia del documento in Procura. Il problema? L'area vicina a quella interessata dal cantiere delle Vie d'Acqua, nota come My Bonola, era stata a suo tempo oggetto di importanti scavi e operazioni di bonifica da fibre di amianto disperse nel sottosuolo. Fedrighini circostanzia la vicenda: «A noi risulta che, prima di avviare i lavori per le Vie d'acqua, non sia stata fatta alcuna verifica, non sono stati fatti esami al terreno e non si è cercato in alcun modo di verificare se quelle tracce d'amianto fossero anche in questa porzione di terreno. Una situazione, insiste Fedrighini, che preoccupa molto gli abitanti della zona, anche perché la terra è stata movimentata e sistemata in cumuli». Il consigliere ambientalista è convinto che «se la ditta non ha svolto analisi prima di movimentare terra in una zona adiacente ad un'area contaminata da amianto, si sono contrastate le leggi vigenti».
Soglio Elisabetta Pagina 06 (12 ottobre 2014) - Corriere della Sera
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