Governo trova soldi per le
missioni all’estero. Briciole all’emergenza immigrati
Staccato un assegno da 226 milioni per il
rifinanziamento di 25 spedizioni internazionali. Deluso chi si aspettava un
diverso riparto delle risorse per rispondere subito al problema immigrazione
dopo la tragedia di Lampedusa
Mentre le
immagini della tragedia di Lampedusa facevano il giro del mondo, il
Consiglio dei ministri staccava un assegno da 226 milioni per le
missioni internazionali delle Forze armate e di polizia. E l’emergenza
immigrazione dalla Libia e dalle coste del Nord Africa, a quanto
pare, ha raccolto ancora le briciole. I ministri si sono riuniti venerdì,
giorno del lutto nazionale, rispettando un minuto di silenzio per le vittime
del naufragio
a mezzo miglio dall’Isola dei Conigli. Ore 14.20. Un minuto dopo approvavano su richiesta
del ministro della Difesa Mario Mauro e del ministro degli Esteri Emma
Bonino il rifinanziamento di 25 missioni per due mesi, dal 1 ottobre al 31
dicembre 2013. Chi si aspettava un diverso riparto delle risorse per dare una
risposta immediata all’emergenza rimane deluso. Nessun cambio in corsa, anche
se nel
frattempo la cronaca della tragedia a Lampedusa si intrecciava con la questione
dei fondi per il pattugliamento delle coste e il contrasto alla tratta di
esseri umani nel Canale di Sicilia.
Una
questione emersa subito, quando ci si è chiesti come sia stato possibile che il
barcone arrivasse a 800 metri dalla costa senza essere intercettato dai servizi
di pattuglia e motovedetta. A porla, senza veli e filtri, è stato proprio il
sindaco di Lampedusa accogliendo il ministro degli Interni, Angelino Alfano:
“Anche noi siamo l’Italia”, ha scandito Giusi Nicoli. E ancora: “Caro
Letta, venga con me a contare i morti”. Ma la politica, scossa dalle immagini,
ha reagito ributtando la questione nel campo dell’Europa, rea di aver lesinato
fondi. E quella è la linea al momento. Così non stupisce che mentre tutto
questo accadeva il Consiglio dei ministri desse il via libera al
rifinanziamento delle missioni militari, ormai scadute, senza modificare il
riparto.
Le missioni: 17 uomini in Libia, 500 nei Balcani
Ancora in prima linea l’Afghanistan con 124 milioni per la missione Isaf/Eupol che ci vede impegnati con oltre 3mila militari. A seguire la Unifil in Libano per 40 milioni, altri 11 per la compartecipazione alle missione Nato contro la pirateria negli oceani. Alla Libia, invece, sono andati 2,8 milioni per garantire la partecipazione del Corpo della Guardia di Finanza, la manutenzione delle unità navali cedute dal governo italiano al governo libico e lo svolgimento di attività di addestramento del personale della Guardia costiera libica. Altri 91.430 euro sono stanziati come contributo di partecipazione del personale della Polizia di Stato alla missione europea Eubam Libya. Del resto a Tripoli, secondo l’ultimo report del ministero della Difesa (settembre 2013) abbiamo 17 soldati in tutto, al seguito della missione Cirene, mentre secondo i dati forniti dalle autorità libiche sulle coste ci sarebbero 20mila profughi in attesa di partire. Per fare un confronto: nei Balcani siamo presenti con 554 militari, solo all’aeroporto di Dakovica dal 1999 abbiamo impegnati 150 uomini dell’aeronautica.
“A Lampedusa
il Nobel, i soldi all’Afghanistan”, lamentano le associazioni impegnate nei
soccorsi e nell’accoglienza di profughi e richiedenti asilo che si chiedono
perché non c’erano motovedette italiane. E la risposta che arriva da più
parti è che l’Italia ha speso sì una barca di soldi per far fronte
all’emergenza, ma nei muri dei Cie. Tra il 2005 e il 2012 il Viminale ha speso
quasi 1,6 miliardi di euro, tra i fondi europei Rimpatri e Frontiere esterne e
il Programma nazionale (Pon) Sicurezza. Gran parte dei soldi messi a
disposizione (quasi 200 milioni di euro l’anno) sono serviti per costruire,
ristrutturare e gestire i 29 Centri di identificazione ed espulsione
(Cie) sul territorio.
L’emergenza Nord Africa finita sulla carta
Sotto accusa anche il mancato rifinanziamento del piano straordinario di accoglienza terminato per esaurimento fondi il 31 dicembre 2012. Gli sbarchi continuavano ma quel giorno si è ufficialmente concluso il piano nazionale “Emergenza Nord Africa”, avviato nel 2011 per far fronte all’ondata di profughi messa in moto dalla rivoluzione tunisina a dalla guerra in Libia. Un miliardo e 300 milioni i soldi stanziati dallo Stato, distribuiti al ministero dell’Interno e alla Protezione civile dal 2011 ad oggi, 20mila euro per ogni persona, circa 46 euro giornalieri versati alle strutture di accoglienza per ciascun rifugiato.
Ogni regione
ha accolto un numero di profughi proporzionale ai suoi abitanti. La Protezione
civile ha coordinato il piano, Roma ha incaricato le prefetture locali o gli
assessorati regionali come responsabili della gestione. Ma nonostante numerosi
appelli dal mondo della cooperazione e dai settori più sensibili delle
istituzioni non è stato rifinanziato. Ancora il 16 settembre, il
sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Beretta chiedeva un
ripensamento: “Negli ultimi tre mesi sono sbarcati in Sicilia oltre 3mila
migranti, soprattutto siriani ed egiziani, e le previsioni dicono che entro
l’anno ne arriveranno 10mila, la maggior parte siriani. Sarebbe forse opportuno
soprassedere sulla decisione di smantellare il sistema dell’emergenza Nord
Africa perché i nuovi enti gestori diffusi sul territorio e la
sperimentazione di nuove modalità di fare accoglienza rappresentano un patrimonio
che non va disperso”.
Due mesi
prima era stato il garante dei diritti per l’infanzia a chiedere risorse
aggiuntive: “Non si può passare dai fondi per l’Emergenza Nord Africa, ormai
conclusa da quasi un anno, a un’ordinarietà che non lo è”, diceva Vincenzo
Spadafora in un vertice alla Prefettura di Palermo per discutere dello
sbarco in quei giorni di mille immigrati sulle coste dell’isola delle Pelagie.
“Bisogna affrettarsi, non si possono vedere ogni anno le stesse terribili
immagini”. E invece se ne sono viste anche di peggiori.
La polemica sui fondi con l’Europa
Intanto c’è chi chiama in causa l’Europa e chiede più fondi. Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sollecitato un maggior impegno di Frontex, l’agenzia fondata nel 2004 dal Consiglio europeo per gestire il pattugliamento e intervenire nelle operazioni di salvataggio in mare. Per l’emergenza del 2011, con l’operazione Hermes, l’agenzia aveva inviato nelle acque della Sicilia quattro aerei, due navi e due elicotteri militari, per un costo preventivato di 2 milioni di euro a carico dell’Ue. Ma giovedì all’alba non c’era nessuno nella scia di mare tra il porto libico di Zuwarah e Lampedusa. A rispondere a stretto giro è stato il commissario per l’Integrazione Cecilia Malstrom sottolineando come l’Italia sia stata tra i principali beneficiari di finanziamenti europei, con 230 milioni di euro tra il 2010 e il 2012 e altri 137 nel 2013. Si è poi assunta l’impegno a dirottare nel Mediterraneo il piano Eurosur da 340 milioni entro il 2020. Come dire l’Europa c’è. Ora tocca al governo fare la sua parte per rivendicare risorse e investirne di proprie.
L’intervista all’ammiraglio Accame: “F35 e portaerei? Servono motovedette
per vigilare le coste” di Franz Baraggino
Nessun commento:
Posta un commento