Pubblichiamo
stralci da un articolo apparso ieri su Il Manifesto sull'incontro di
Paestum (che quest'anno ha visto quasi la metà delle partecipanti
dell'anno scorso) che mostra uno spaccato esemplificativo di come
questo, rituale, "incontro di donne" è tutt'altra cosa
della battaglia delle donne, anche se quest'anno hanno (ma solo pro
forma) detto che lo consegnavano alle giovani generazioni, che però
appena hanno tentato di "alzare la testa" sono state messe
subito a tacere, senza tanti complimenti.
Chiaramente
questo articolo è anche un pò fuori tono, visto che altri commenti,
e ieri stesso in un altro articolo sempre nella stessa pagina de Il
Manifesto, cantano le lodi di Paestum 2013: "...uno
straordinario incontro di pratiche femministe..." (!?) - solo un
piccolo neo "E' invece mancata ancora la presenza delle donne
migranti...". E che ci sarebbero venute a fare, visto che in
questo "incontro" le "matrone" hanno persino
impedito di esprimere una denuncia e una solidarietà, una vicinanza
con le donne immigrate, la maggiorparte morte, a Lampedusa?
Torneremo sulla filosofia delle "egregie signore" di Paestum, che porta con sè un'aria pesante che sa di borghesia.
ABBIAMO BISOGNO DELL'ARIA FRESCA DELLO SCIOPERO DELLE DONNE!!
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Femminismo,
la sfida giovane - Scritto da LUISA BETTI
Martedì
08 Ottobre 2013
"È stato all'insegna dello scontro generazionale l'incontro di Paestum che quest'anno è dedicato alla libertà... Divise su femminicidio e sulla legge Bossi-Fini...
... sono curiosa di vedere come va dopo che tra le giovani femministe e le storiche si è dato avvio a un confronto che è proseguito fino a qui con l'incip «andate avanti voi». Le belle speranze che ripongo in questo Paestum partono dal fatto che sono le nuove leve ad aver organizzato tutto, giovani che dovrebbe essere le protagoniste assolute, con le più anziane soprattutto in ascolto.
(MA)
Sabato mattina... Verso le 11 sul palco salgono le F9 (femministe
nove)... per leggere il loro manifesto dove ci sono frasi come «Non
siamo ereditiere, siamo precarie», o «Il tempo presente ci fa
orrore. Vogliamo agire per cambiarlo». Un piano d'azione che sembra
una iniezione di vitalità per la maggior parte delle presenti in
sala che con scrosci di applausi gridano «brave! siete tutte noi!».
Un entusiasmo che però non dura perché subito dopo un intervento
ci tiene a precisare che quella non è la modalità, che non si
tratta di spettacolarizzare l'incontro e che qui si parla a partire
da sé. Così, dopo la bacchettata della madre simbolica, la
riunione prosegue con interventi che camminano cauti in un campo
minato, perché qui una scintilla potrebbe diventare una bomba.
Certo,
ognuna parla come vuole, dice quello che vuole, all'insegna della
vera libertà di parola e di pensiero ma sempre all'interno della
scolastica del femminismo...
Arrivano
le tre del pomeriggio e ci si divide in gruppi, anche quest'anno
nove... Il nostro è il gruppo su «Sesso, amore e violenza»...
...Poi,
tra le altre Oria Gargano, ricorda come «nefasto» il decreto
femminicidio, e si dichiara stufa di sentir dire che la donna è la
vittima: «Non ne posso più di questa narrazione non solo nella
sfera pubblica ma anche dentro il centro antiviolenza. Non c'è
bisogno di far sentire la donne vittime, perché è come considerarle
come lebbrose, delle poverette, che è lo zoccolo duro del
pregiudizio di chi vive la violenza».
Un
dialogo ricco, che s'incardina anche su sessualità e stereotipi, in
cui mi inserisco per ricordare che martedì approda in aula alla
camera il decreto sul femminicidio per la conversione in legge, e su
cui, oltre i 700 emendamenti di cui 300 da esaminare in aula, la
commissione giustizia, pur avendo fatto alcuni cambiamenti al testo,
permane nel presentare il pacchetto sicurezza con un concetto di
fondo che vede la donna come «soggetto debole»... Una negazione
dell'autodeterminazione delle donne esplicita nella irrevocabilità
della querela la cui remissione, secondo il DL, può avvenire solo in
fase processuale e comunque rimane «irrevocabile se il fatto è
stato commesso mediante minacce reiterate», una messa in discussione
della libertà della donna a decidere il proprio percorso anche dalla
liberazione dalla violenza, e su cui forse le donne che sono qui a
Paestum, potrebbero pronunciarsi.
Ma
come se avessi tirato una bestemmia in chiesa, un'avvocata di Bologna
che si presenta come Teresa, mi intima con un tono perentorio, che
questo non è il luogo, che qui non si parla del decreto, e che qui
si parla di altro e in un altro modo. Scolastica femminista
docet. Una strana maniera di intendere il dialogo, soprattutto tra
donne, ma anche la libertà del titolo di questo Paestum: piccoli
particolari che faccio notare andando avanti nel discorso, che alla
fine trova l'appoggio di un certo numero di donne che sono lì e che
vogliono far arrivare una dichiarazione, anche generica ma convinta,
su questo decreto, chiedendo di riportarlo in plenaria il giorno
dopo.
Ma
la mattina seguente, a Paestum, l'aria è tesa, troppo tesa...
E come due filoni separati, ci sono le proposte delle giovani e le
dichiarazioni delle storiche: la voglia di agire e quella di
rifletterci sopra. Poi arriva il turno mio e con Gabriella facciamo
il report del gruppo che abbiamo seguito, ma non a tutte va bene.
Quando poi qualcuna chiede di appoggiare la sindaca di Lampedusa che
ha chiesto la
cancellazione
della Bossi-Fini, e quando Maria Luisa Boccia sostiene questa
proposta e dice che sul decreto femminicidio si può semplicemente
dire «Non nel mio nome», ovvero non nel nome delle donne, scoppia
il caos.
A
quel punto una giovane mi dà il microfono, e anch'io cerco di
spiegare che può essere un'adesione libera a un concetto di massima,
generico, ma mi rendo conto che è quasi impossibile esporre
qualcosa di sensato in quel momento, perché l'aria è densa. E
allora parto da me, dichiarando un indicibile disagio di fronte alla
mancanza di una reale relazione positiva tra donne e con una
resistenza così totale su questioni che qui, proprio qui, dovrebbero
essere quasi scontate. E mentre dichiaro questo mio sconcerto, ecco
che si realizza la rottura, si spezza l'incantesimo, si squarcia il
velo: la Teresa del giorno prima, prende le scale, scende vicino
il palco e mi strappa il microfono dalle mani. Si realizza il
conflitto, lì, davanti a tutte noi, sul mio di corpo questa volta, e
quello che non si può dire viene finalmente agito.
A
quel punto me ne vado, dicendo che «se le giovani non vi danno
retta, fanno bene». Ma ormai è troppo tardi, chi urla, chi
inveisce, chi mi abbraccia...
Poi
qualcuna della mia età ma con più esperienza, mi spiega... Dire che
la pratica femminista è solo la presa di coscienza è un gesto
ingeneroso... noi dobbiamo avere a che fare con quanto accade nel
mondo...".
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