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I compagni hanno il merito di aver
fatto questo tipo di libro.
La prima cosa da sottolineare in
positivo è che questo libro è frutto di un lavoro dei compagni, non
solo di ricerca, di un lavoro complesso e dettagliato sui dati, ma
pure di attività militante verso alcune realtà di lavoratori, in
alcune lotte/vertenze in corso, dove sono andati anche con lo spirito
di capire, e con un giusto rapporto che vi deve essere tra giovani
intellettuali e operai, in cui – come noi abbiamo spesso detto –
il giovane intellettuale non va dagli operai, dai lavoratori né per
essere “uguale” e farsi “più lavoratore dei lavoratori”, né
per “dargli la linea” dall'”alto” della sua “scienza”, ma
va per imparare, fare inchiesta; in questo utilizza anche le fonti
borghesi, per restituire ai lavoratori, affinchè questi ne facciano
strumenti al servizio della battaglia politica - Vedremo in seguito
come la seconda parte di questo “rapporto” non venga e non possa
essere invece fatto dal CCW.
Quindi va molto apprezzata l'intenzione
e sottolineato lo spirito di lavoro di questi compagni.
Il libro ha il merito di mettere
insieme una mole di dati statistici sulla condizione dei lavoratori,
e di darne una lettura; e quindi già questo fatto è un esplicito
messaggio politico e anche ideologico per rimettere al centro la
questione dei lavoratori, della centralità sempre attuale nella
lotta di classe, nella battaglia politica rivoluzionaria, del
rapporto capitale/lavoro.
Nel movimento generale, nelle aree dei
compagni impegnati nelle varie lotte, già questo agisce da
controcorrente, richiamo a mettere i piedi per terra. In questo senso
si può capire la buona accoglienza che ha questo testo nelle aree di
movimento o genericamente impegnate, più attente alla condizione
proletaria. Mentre, al di là anche della stessa intenzione del CCW,
questo testo agisce invece oggettivamente in critica verso le aree di
compagni, le forze di movimento che non pongono, o dicono che non è
più attuale o sono contro la centralità del rapporto
capitale/lavoro.
In questo senso, invitiamo i compagni
del CCW a considerare il loro lavoro anche come un'arma di lotta,
critica verso le altre posizioni.
Noi, comunisti mlm, che, appunto come
mlm riteniamo costitutiva la questione della centralità della
classe, che la “classe operaia deve dirigere tutto”, che ci
basiamo sull'analisi marxista del capitale e dei rapporti di
produzione, sulla costruzione in senso leninista del partito
comunista come reparto d'avanguardia della classe operaia, sulla,
diremmo, “filosofia” maoista del ruolo della classe operaia e del
rapporto operai/masse popolari; noi che portiamo avanti il lavoro di
costruzione del partito nel fuoco della lotta di classe in stretto
legame con le masse, siamo contenti che sia stato fatto questo
lavoro. Per noi quei dati e analisi della condizione dei lavoratori
non sono una novità, per non parlare della “lettura” ed
esperienze dirette delle varie vertenze e lotte dei lavoratori fatte
o in corso, dove in varie realtà siamo non solo presenti, ma
organizzatori, tramite l'organizzazione di base sindacale slai cobas
per il sindacato di classe.
Potremmo dire, utilizzando il titolo
del libro, “Dove sono i nostri”... ditelo ai “Vostri”.
Perchè questo libro, nel bene e nel
male, di fatto ha i suoi effettivi interlocutori nella realtà di
compagni, movimenti, in cui grande è la confusione sotto il cielo,
in cui i “movimenti” hanno sostituito le classi.
Ma in questa realtà, la battaglia
principale non è per “l'unità” - altra cosa chiaramente è
l'unità dei lavoratori, il coordinamento delle lotte, la
socializzazione delle esperienze più avanzate – ma per la
chiarezza in teoria e in pratica; su questo non si tratta di “dispute
accademiche” ma di applicare ciò che Lenin scrive nel “Che
fare”: per unirsi occorre delimitarsi; definirsi, lottare contro le
posizioni opportuniste o anarco movimentiste.
Diversamente, il libro del CCW mostra
il suo lato debole, per cui può essere assunto indifferentemente da
realtà classiste, come da realtà opportuniste del movimento per cui
l'apparire è il tutto e il fine è nullo – come per esempio i
'Disobbedienti' che usano gli stessi dati del libro – che si
estendono a tutte le categorie del lavoro dipendente e indipendente -
per avvalorare le loro tesi sulla inesistenza della centralità
operaia.
I compagni del CCW, quindi, hanno il
merito di aver messo insieme tutti questi dati e di aver fornito un
quadro completo, statistico, del mondo del lavoro, ma, diremmo,
eccessivamente “orizzontale”, in cui le gerarchie e differenze di
classe rischiano di sparire.
Sulla lettura delle lotte il testo
sconta una superficialità e visione particolare frutto del fatto che
si basa sull'esperienza diretta, e ristretta, che i compagni del CCW
hanno potuto avere delle lotte dei lavoratori o delle realtà dei
lavoratori. Se questo da un lato sarebbe un merito perchè non si fa
i “ciucci e presuntuosi” e ci si basa su ciò che si conosce;
dall'altra è un limite, perchè non si può parlare di “intervento
politico” sulla base di questo ristretta esperienza.
A volte, i compagni del CCW sembrano
dei neofiti che da poco si sono approcciati al mondo del lavoro e si
accorgono ora di questioni su cui vi sono chili di materiali, di
denuncia, come delle stesse esperienze di lotte sindacali di base che
sono molto più ricche, che sono avvenute e sono presenti tutt'ora
anche in alcune importanti fabbriche, che hanno una storia a volte
anche di anni, e che sicuramente non sono avvenute da quando se ne
sono accorti questi compagni.
Così vi è sostanzialmente un
azzeramento della storia e che lo si voglia o no si esprime una
concezione anti materialistica storico dialettica, per cui la realtà
esiste da quando io né ho conoscenza.
Nelle conclusioni i compagni del CCW,
nel sintetizzare cosa hanno fatto: “descrivere la struttura sociale
italiana, osservare la realtà da un punto di vista di classe,
scendere fin nei dettagli della vita proletaria...”, fanno
riferimento all'inchiesta maoista. Ma l'inchiesta maoista è altro
dal mettere insieme e leggere dati statistici o dal basarsi sulla
conoscenza diretta di alcune realtà di lavoratori o di lotte. In
realtà il CCW chiama “inchiesta” la propria, oggettivamente
ristretta, esperienza, quindi l'inchiesta diventa un partire da sé
per tornare a sé. Riproponendo l'idea per cui “ciò che io conosco
è quello che c'è”.
Questa concezione è presente anche
sulla questione dei sindacati confederali, rispetto a cui il
movimento d'avanguardia dei lavoratori ha già segnato una critica di
non ritorno – da cui chi vuole guardare ai lavoratori deve partire.
Tornando all'analisi e alle conseguenze
che i compagni traggono dai dati delle varie realtà dei lavoratori,
il lavoro fatto in “Dove sono i nostri”, il mettere insieme di
fatto tutte le figure del mondo del lavoro dipendente e indipendente,
è fatto alla luce di una lettura quantomeno confusa di processi di
terziarizzazione dell'industria che esternalizzando una serie di
servizi prima interni alla fabbrica, con un'integrazione tra settori
produttivi e terziario, porterebbe ad una estensione al massimo della
figura del lavoratore produttivo – per i compagni, vi sono i
lavoratori che ufficialmente sono produttivi e quelli che lo sono
sostanzialmente.
Questi processi che avvengono su scala
non solo nazionale ma a livello internazionale da un lato non sono
affatto nuovi, ma hanno le loro radici nell'analisi dell'imperialismo
già fatta da Lenin e tuttora attuale (e qui gli stessi compagni la
ricordano, ma per poi allontanarsene), dall'altra sono frutto della
nuova gerarchia economica frutto della crisi che ha visto e vede
l'Italia scendere, con un ridimensionamento della sua potenza
industriale e relativamente, ma solo relativamente, un aumento del
terziario.
Ma tutto questo non porta al fatto che
farebbero parte di un unica classe proletaria sia gli operai
dell'industria che producono la merce sia le figure lavorative del
terziario che commercializzano la merce, i lavoratori addetti ai vari
servizi di cui si avvale il capitale (vedi per es. call center,
l'ampliamento dei settori della pubblicità dei prodotti, ecc). Così
di fatto si oscura chi produce il plusvalore; si annullano le
differenze di classe. E si confonde il processo del capitale di usare
ogni figura per sé, e di imporre le leggi dell'organizzazione del
lavoro industriale anche ai servizi, che comporta anche
l'impoverimento, la proletarizzazione di settori lavorativi non
proletari, con il fatto che “siamo tutti operai”.
E' con il pluslavoro operaio che il
capitalista paga tutte le figure che operano nei servizi connessi
all'industria (comunicazioni, ricerca e sviluppo, informatica,
trasporti, ecc.).
I compagni del CCW, invece, rovesciano
il discorso: siccome oggi il capitale per fare una merce utilizza
tante figure, se dentro la merce prodotta è cristallizzato il lavoro
di una pluralità di soggetti, il valore di quella merce è il
prodotto del lavoro non solo di “quelli che hanno la tuta blu”,
ma di tutti i soggetti che vi hanno contribuito, fino a quelli che
hanno progettato la merce, a chi ha prodotto il software su cui “gira
il robot azionato dall'operaio”, a quello che trasporta la merce,
ecc.
Ma una cosa è utilizzare il concetto
di “proletarizzazione” di settori non operai legato al
peggioramento delle loro condizioni di lavoro e salariale,
all'immiserimento di settori lavorativi prima privilegiati, che porta
materialmente questi strati di lavoratori ad avvicinarsi alla
condizione di vita degli operai e anche a modificare le loro
concezioni; altra cosa è assimilarli tout court ai lavoratori
produttivi, dire che la “classe oggi è molto più omogenea che in
passato”; fino ad applicare l'analisi marxista del capitale
costante e capitale variabile anche a settori come l'Unipol...
Da questa analisi del CCW la questione
quindi diventa di “lavorare per ricomporre da un punto di vista
soggettivo quello che oggettivamente è connesso”, sia dal processo
di terziarizzazione dell'industria che dal processo di
finanziarizzazione (“capitali che via via si concentrano o
diventando un'unica entità, o delineando grossi blocchi di interesse
che attraversano il mondo produttivo e quello improduttivo”).
Da questo i compagni ne fanno scaturire
la “possibilità materiale di fare la rivoluzione e instaurare un
diverso modo di produzione”.
Ma, questo è il classico economismo! E
che tale sia è poi confermato dal fatto che i compagni del CCW
aggiungono che poiché non si tratta di aspettare l'occasione, ora
dobbiamo preparare il terreno, accumulare le forze. Come? Prendendoci
le case, le merci, i trasporti e tutto ciò che noi abbiamo prodotto,
e portare avanti “la rivendicazione più forte e più centrale:
lavorare tutti, lavorare meno e a salari più alti”.
Sul che fare per ricomporre i diversi
fronti dei lavoratori, sul piano nazionale e internazionale, la
risposta che i compagni danno nel libro è quella di “cercare di
creare dei network che facciano girare informazioni sulle lotte, sui
metodi utilizzati, sugli obiettivi perseguiti, network che funzionino
non solo come scambio di esperienze e di sostegno ma come centri di
elaborazione”.
“...trasformarci in supporto per il
movimento autonomo della classe, essere l'hardware e la possibilità
di connessione di un programma elaborato dai proletari stessi, a
partire dalle necessità che la maggioranza esprime”
(dall'introduzione).
Non si parla di organizzazioni
rivoluzionarie, di partito. L'internazionalismo è ridotto a legami
degli operai dei vari paesi per elevare le stesse lotte economiche,
arretrando a pre movimento comunista.
Di fatto il CCW descrive ed esalta il
movimento reale, non lavora per trasformarlo.
E si potrebbe anche accettare che i
compagni parlino di “trasformarsi in supporto per il movimento
autonomo della classe”, se non guardassero in maniera basista
questo “movimento autonomo”, quindi solo economicista e il loro
“supporto” limitato al sostegno, elaborazione delle stesse lotte
economiche, chiamando questo lavoro politico.
Gli operai, i lavoratori non hanno
bisogno di intellettuali che li aiutino a fare meglio la lotta
sindacale o a portare meglio avanti rivendicazioni sociali – a
questo gli operai ci arrivano da “soli” attraverso le
organizzazioni sindacali che si danno; così come, soprattutto oggi
nell'epoca di facebook, blog (se vogliamo, eccessivamente usati dagli
operai), non hanno bisogno del “supporto esterno” solo per
un'attività di connessione, generalizzazione di piattaforme, lotte,
ecc.
Ciò che gli operai hanno bisogno e che
non possono trarre dalla loro esperienza di lotta economica, è la
lotta politica, è la conoscenza di quello che avviene nelle altre
classi, del ruolo dello Stato, dei governi e del loro ruolo per porre
fine alla condizione di lavoro salariato, e di un sistema, in tutte
le sue articolazioni al servizio del capitale.
Ci viene in mente quello che scriveva
Lenin nel Che fare? quando descrive gli operai che rivolgendosi agli
intellettuali che vogliono “aiutarli” nella lotta economica, gli
dicono: non ci venite a parlare di ciò che sappiamo già o possiamo
sapere da noi, parlateci di quello che non possiamo sapere attraverso
solo la nostra esperienza... “vogliamo conoscere
particolareggiatamente tutti gli aspetti della vita politica e
partecipare attivamente ad ogni avvenimento politico. Bisogna quindi
che gli intellettuali ci ripetano un po' meno ciò che sappiamo già
e ci diano un po' più di ciò che ignoriamo ancora, di ciò che la
nostra vita di fabbrica e la nostra esperienza “economica” non ci
permettono mai di imparare, le “cognizioni politiche”.
E qui si pone il problema che in ultima
analisi è la questione negativa delle conseguenze che dal lavoro di
“Dove sono i nostri” traggono i compagni del CCW: agire per
“elevare” la lotta economica. Si teorizza il passaggio dalla
pratica ad una pratica più vasta, restando, quindi, sempre
nell'economismo. Questo non aiuterà certo i proletari a costruire
un'organizzazione e una lotta che vada effettivamente oltre una
difesa migliore della loro condizione.
Lo “spettro”, anche per compagni
che hanno una concezione marxista, uno spirito classista, una pratica
che vuole mettere al centro il lavoro verso la classe, è sempre il
partito.
E loro sono la dimostrazione che non
mettendo al centro la costruzione del partito comunista, come reparto
d'avanguardia della classe operaia, che deve dirigere il processo
rivoluzionario, succede:
che pur dichiarandosi marxisti, si
contrappone di fatto Marx a Lenin e Mao;
che pur basandosi sull'analisi marxista
delle classi, la si abbandona, abbracciando altre teorie
interclassiste;
che ci si lascia scivolare
inevitabilmente nel movimentismo ideologico, nell'economicismo,
nell'”innovazione”; mentre su altri campi, conosciuti poco, si
riprendono superficiali analisi e luoghi comuni.
Si esprime una incomprensione del
concetto di “politico” di Marx, Lenin, Mao.
Infine, alcune altre questioni,
sicuramente importanti e da approfondire.
Nell'affrontare i nodi presenti nella
classe operaia, si dà una centralità a settori su cui puntare “come
condizione più universale”, quali donne e immigrati. Il CCW coglie
nodi reali ma dà una risposta sbagliata, che comunque resta sempre
sul terreno sempre dell'economicismo.
Per es. sulla contraddizione di
“genere” la evidenziano, ma non vanno alle sue conseguenze. Noi
diamo a questa contraddizione una risposta tattica – lo sciopero
delle donne – e una risposta strategica – la rivoluzione nella
rivoluzione. Su questo i compagni e le compagne del CCW, invece di
guardare alla nostra esperienza avanzata, si comportano da “ciucci
e presuntuosi”.
Su donne, immigrati svolgono un ruolo
di sopprimere le contraddizioni per realizzare l'unità; lì dove
invece l'unità deve essere frutto dell'evidenziare le contraddizioni
e della lotta all'interno della classe stesse (vedi la contraddizione
di genere all'interno della contraddizione di classe che deve eccome
prevedere ed essere portata avanti come lotta)
Sulla questione meridionale, i compagni
sembrano scoprire ora questioni vecchie, e restano su una visione
cristallizzata. A livello dei processi di industrializzazione, poi,
non si tiene conto che oggi vi sono realtà del meridione che sono
molto più industrializzate di realtà del nord, che vi è una nuova
geografia industriale che cambia le gerarchie (la Sata di Melfi è
oggi più importante della Fiat di Torino). L'analisi e la risposta
in termini sindacali/politici è quindi vecchia.
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