lunedì 8 dicembre 2014

pc 8 dicembre - UN PRIMO COMMENTO A UN LIBRO INTERESSANTE "DOVE SONO I NOSTRI" - CCW - da ultimo n. di proletari comunisti, giornale del PCm Italia - per richiederlo: pcro.red@gmail.com

Una brevissima premessa... - Il lavoro di Lenin su "Materialismo ed empiriocriticismo" rende in particolare anche chiaro perchè i principi del comunismo scientifico e non qualche "analisi concreta" delle condizioni odierne o addirittura solo le proprie esperienze debbano essere punto di partenza della linea e della politica, e perchè la lotta per la linea giusta e la politica debba essere condotta sulla base dei principi del comunismo scientifico.
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I compagni hanno il merito di aver fatto questo tipo di libro.
La prima cosa da sottolineare in positivo è che questo libro è frutto di un lavoro dei compagni, non solo di ricerca, di un lavoro complesso e dettagliato sui dati, ma pure di attività militante verso alcune realtà di lavoratori, in alcune lotte/vertenze in corso, dove sono andati anche con lo spirito di capire, e con un giusto rapporto che vi deve essere tra giovani intellettuali e operai, in cui – come noi abbiamo spesso detto – il giovane intellettuale non va dagli operai, dai lavoratori né per essere “uguale” e farsi “più lavoratore dei lavoratori”, né per “dargli la linea” dall'”alto” della sua “scienza”, ma va per imparare, fare inchiesta; in questo utilizza anche le fonti borghesi, per restituire ai lavoratori, affinchè questi ne facciano strumenti al servizio della battaglia politica - Vedremo in seguito come la seconda parte di questo “rapporto” non venga e non possa essere invece fatto dal CCW.
Quindi va molto apprezzata l'intenzione e sottolineato lo spirito di lavoro di questi compagni.
Il libro ha il merito di mettere insieme una mole di dati statistici sulla condizione dei lavoratori, e di darne una lettura; e quindi già questo fatto è un esplicito messaggio politico e anche ideologico per rimettere al centro la questione dei lavoratori, della centralità sempre attuale nella lotta di classe, nella battaglia politica rivoluzionaria, del rapporto capitale/lavoro.
Nel movimento generale, nelle aree dei compagni impegnati nelle varie lotte, già questo agisce da controcorrente, richiamo a mettere i piedi per terra. In questo senso si può capire la buona accoglienza che ha questo testo nelle aree di movimento o genericamente impegnate, più attente alla condizione proletaria. Mentre, al di là anche della stessa intenzione del CCW, questo testo agisce invece oggettivamente in critica verso le aree di compagni, le forze di movimento che non pongono, o dicono che non è più attuale o sono contro la centralità del rapporto capitale/lavoro.
In questo senso, invitiamo i compagni del CCW a considerare il loro lavoro anche come un'arma di lotta, critica verso le altre posizioni.

Noi, comunisti mlm, che, appunto come mlm riteniamo costitutiva la questione della centralità della classe, che la “classe operaia deve dirigere tutto”, che ci basiamo sull'analisi marxista del capitale e dei rapporti di produzione, sulla costruzione in senso leninista del partito comunista come reparto d'avanguardia della classe operaia, sulla, diremmo, “filosofia” maoista del ruolo della classe operaia e del rapporto operai/masse popolari; noi che portiamo avanti il lavoro di costruzione del partito nel fuoco della lotta di classe in stretto legame con le masse, siamo contenti che sia stato fatto questo lavoro. Per noi quei dati e analisi della condizione dei lavoratori non sono una novità, per non parlare della “lettura” ed esperienze dirette delle varie vertenze e lotte dei lavoratori fatte o in corso, dove in varie realtà siamo non solo presenti, ma organizzatori, tramite l'organizzazione di base sindacale slai cobas per il sindacato di classe.

Potremmo dire, utilizzando il titolo del libro, “Dove sono i nostri”... ditelo ai “Vostri”.
Perchè questo libro, nel bene e nel male, di fatto ha i suoi effettivi interlocutori nella realtà di compagni, movimenti, in cui grande è la confusione sotto il cielo, in cui i “movimenti” hanno sostituito le classi.
Ma in questa realtà, la battaglia principale non è per “l'unità” - altra cosa chiaramente è l'unità dei lavoratori, il coordinamento delle lotte, la socializzazione delle esperienze più avanzate – ma per la chiarezza in teoria e in pratica; su questo non si tratta di “dispute accademiche” ma di applicare ciò che Lenin scrive nel “Che fare”: per unirsi occorre delimitarsi; definirsi, lottare contro le posizioni opportuniste o anarco movimentiste.
Diversamente, il libro del CCW mostra il suo lato debole, per cui può essere assunto indifferentemente da realtà classiste, come da realtà opportuniste del movimento per cui l'apparire è il tutto e il fine è nullo – come per esempio i 'Disobbedienti' che usano gli stessi dati del libro – che si estendono a tutte le categorie del lavoro dipendente e indipendente - per avvalorare le loro tesi sulla inesistenza della centralità operaia.

I compagni del CCW, quindi, hanno il merito di aver messo insieme tutti questi dati e di aver fornito un quadro completo, statistico, del mondo del lavoro, ma, diremmo, eccessivamente “orizzontale”, in cui le gerarchie e differenze di classe rischiano di sparire.

Sulla lettura delle lotte il testo sconta una superficialità e visione particolare frutto del fatto che si basa sull'esperienza diretta, e ristretta, che i compagni del CCW hanno potuto avere delle lotte dei lavoratori o delle realtà dei lavoratori. Se questo da un lato sarebbe un merito perchè non si fa i “ciucci e presuntuosi” e ci si basa su ciò che si conosce; dall'altra è un limite, perchè non si può parlare di “intervento politico” sulla base di questo ristretta esperienza.
A volte, i compagni del CCW sembrano dei neofiti che da poco si sono approcciati al mondo del lavoro e si accorgono ora di questioni su cui vi sono chili di materiali, di denuncia, come delle stesse esperienze di lotte sindacali di base che sono molto più ricche, che sono avvenute e sono presenti tutt'ora anche in alcune importanti fabbriche, che hanno una storia a volte anche di anni, e che sicuramente non sono avvenute da quando se ne sono accorti questi compagni.
Così vi è sostanzialmente un azzeramento della storia e che lo si voglia o no si esprime una concezione anti materialistica storico dialettica, per cui la realtà esiste da quando io né ho conoscenza.
Nelle conclusioni i compagni del CCW, nel sintetizzare cosa hanno fatto: “descrivere la struttura sociale italiana, osservare la realtà da un punto di vista di classe, scendere fin nei dettagli della vita proletaria...”, fanno riferimento all'inchiesta maoista. Ma l'inchiesta maoista è altro dal mettere insieme e leggere dati statistici o dal basarsi sulla conoscenza diretta di alcune realtà di lavoratori o di lotte. In realtà il CCW chiama “inchiesta” la propria, oggettivamente ristretta, esperienza, quindi l'inchiesta diventa un partire da sé per tornare a sé. Riproponendo l'idea per cui “ciò che io conosco è quello che c'è”.
Questa concezione è presente anche sulla questione dei sindacati confederali, rispetto a cui il movimento d'avanguardia dei lavoratori ha già segnato una critica di non ritorno – da cui chi vuole guardare ai lavoratori deve partire.

Tornando all'analisi e alle conseguenze che i compagni traggono dai dati delle varie realtà dei lavoratori, il lavoro fatto in “Dove sono i nostri”, il mettere insieme di fatto tutte le figure del mondo del lavoro dipendente e indipendente, è fatto alla luce di una lettura quantomeno confusa di processi di terziarizzazione dell'industria che esternalizzando una serie di servizi prima interni alla fabbrica, con un'integrazione tra settori produttivi e terziario, porterebbe ad una estensione al massimo della figura del lavoratore produttivo – per i compagni, vi sono i lavoratori che ufficialmente sono produttivi e quelli che lo sono sostanzialmente.
Questi processi che avvengono su scala non solo nazionale ma a livello internazionale da un lato non sono affatto nuovi, ma hanno le loro radici nell'analisi dell'imperialismo già fatta da Lenin e tuttora attuale (e qui gli stessi compagni la ricordano, ma per poi allontanarsene), dall'altra sono frutto della nuova gerarchia economica frutto della crisi che ha visto e vede l'Italia scendere, con un ridimensionamento della sua potenza industriale e relativamente, ma solo relativamente, un aumento del terziario.
Ma tutto questo non porta al fatto che farebbero parte di un unica classe proletaria sia gli operai dell'industria che producono la merce sia le figure lavorative del terziario che commercializzano la merce, i lavoratori addetti ai vari servizi di cui si avvale il capitale (vedi per es. call center, l'ampliamento dei settori della pubblicità dei prodotti, ecc). Così di fatto si oscura chi produce il plusvalore; si annullano le differenze di classe. E si confonde il processo del capitale di usare ogni figura per sé, e di imporre le leggi dell'organizzazione del lavoro industriale anche ai servizi, che comporta anche l'impoverimento, la proletarizzazione di settori lavorativi non proletari, con il fatto che “siamo tutti operai”.
E' con il pluslavoro operaio che il capitalista paga tutte le figure che operano nei servizi connessi all'industria (comunicazioni, ricerca e sviluppo, informatica, trasporti, ecc.).
I compagni del CCW, invece, rovesciano il discorso: siccome oggi il capitale per fare una merce utilizza tante figure, se dentro la merce prodotta è cristallizzato il lavoro di una pluralità di soggetti, il valore di quella merce è il prodotto del lavoro non solo di “quelli che hanno la tuta blu”, ma di tutti i soggetti che vi hanno contribuito, fino a quelli che hanno progettato la merce, a chi ha prodotto il software su cui “gira il robot azionato dall'operaio”, a quello che trasporta la merce, ecc.
Ma una cosa è utilizzare il concetto di “proletarizzazione” di settori non operai legato al peggioramento delle loro condizioni di lavoro e salariale, all'immiserimento di settori lavorativi prima privilegiati, che porta materialmente questi strati di lavoratori ad avvicinarsi alla condizione di vita degli operai e anche a modificare le loro concezioni; altra cosa è assimilarli tout court ai lavoratori produttivi, dire che la “classe oggi è molto più omogenea che in passato”; fino ad applicare l'analisi marxista del capitale costante e capitale variabile anche a settori come l'Unipol...

Da questa analisi del CCW la questione quindi diventa di “lavorare per ricomporre da un punto di vista soggettivo quello che oggettivamente è connesso”, sia dal processo di terziarizzazione dell'industria che dal processo di finanziarizzazione (“capitali che via via si concentrano o diventando un'unica entità, o delineando grossi blocchi di interesse che attraversano il mondo produttivo e quello improduttivo”).
Da questo i compagni ne fanno scaturire la “possibilità materiale di fare la rivoluzione e instaurare un diverso modo di produzione”.
Ma, questo è il classico economismo! E che tale sia è poi confermato dal fatto che i compagni del CCW aggiungono che poiché non si tratta di aspettare l'occasione, ora dobbiamo preparare il terreno, accumulare le forze. Come? Prendendoci le case, le merci, i trasporti e tutto ciò che noi abbiamo prodotto, e portare avanti “la rivendicazione più forte e più centrale: lavorare tutti, lavorare meno e a salari più alti”.

Sul che fare per ricomporre i diversi fronti dei lavoratori, sul piano nazionale e internazionale, la risposta che i compagni danno nel libro è quella di “cercare di creare dei network che facciano girare informazioni sulle lotte, sui metodi utilizzati, sugli obiettivi perseguiti, network che funzionino non solo come scambio di esperienze e di sostegno ma come centri di elaborazione”.
“...trasformarci in supporto per il movimento autonomo della classe, essere l'hardware e la possibilità di connessione di un programma elaborato dai proletari stessi, a partire dalle necessità che la maggioranza esprime” (dall'introduzione).
Non si parla di organizzazioni rivoluzionarie, di partito. L'internazionalismo è ridotto a legami degli operai dei vari paesi per elevare le stesse lotte economiche, arretrando a pre movimento comunista.
Di fatto il CCW descrive ed esalta il movimento reale, non lavora per trasformarlo.

E si potrebbe anche accettare che i compagni parlino di “trasformarsi in supporto per il movimento autonomo della classe”, se non guardassero in maniera basista questo “movimento autonomo”, quindi solo economicista e il loro “supporto” limitato al sostegno, elaborazione delle stesse lotte economiche, chiamando questo lavoro politico.
Gli operai, i lavoratori non hanno bisogno di intellettuali che li aiutino a fare meglio la lotta sindacale o a portare meglio avanti rivendicazioni sociali – a questo gli operai ci arrivano da “soli” attraverso le organizzazioni sindacali che si danno; così come, soprattutto oggi nell'epoca di facebook, blog (se vogliamo, eccessivamente usati dagli operai), non hanno bisogno del “supporto esterno” solo per un'attività di connessione, generalizzazione di piattaforme, lotte, ecc.
Ciò che gli operai hanno bisogno e che non possono trarre dalla loro esperienza di lotta economica, è la lotta politica, è la conoscenza di quello che avviene nelle altre classi, del ruolo dello Stato, dei governi e del loro ruolo per porre fine alla condizione di lavoro salariato, e di un sistema, in tutte le sue articolazioni al servizio del capitale.
Ci viene in mente quello che scriveva Lenin nel Che fare? quando descrive gli operai che rivolgendosi agli intellettuali che vogliono “aiutarli” nella lotta economica, gli dicono: non ci venite a parlare di ciò che sappiamo già o possiamo sapere da noi, parlateci di quello che non possiamo sapere attraverso solo la nostra esperienza... “vogliamo conoscere particolareggiatamente tutti gli aspetti della vita politica e partecipare attivamente ad ogni avvenimento politico. Bisogna quindi che gli intellettuali ci ripetano un po' meno ciò che sappiamo già e ci diano un po' più di ciò che ignoriamo ancora, di ciò che la nostra vita di fabbrica e la nostra esperienza “economica” non ci permettono mai di imparare, le “cognizioni politiche”.

E qui si pone il problema che in ultima analisi è la questione negativa delle conseguenze che dal lavoro di “Dove sono i nostri” traggono i compagni del CCW: agire per “elevare” la lotta economica. Si teorizza il passaggio dalla pratica ad una pratica più vasta, restando, quindi, sempre nell'economismo. Questo non aiuterà certo i proletari a costruire un'organizzazione e una lotta che vada effettivamente oltre una difesa migliore della loro condizione.
Lo “spettro”, anche per compagni che hanno una concezione marxista, uno spirito classista, una pratica che vuole mettere al centro il lavoro verso la classe, è sempre il partito.
E loro sono la dimostrazione che non mettendo al centro la costruzione del partito comunista, come reparto d'avanguardia della classe operaia, che deve dirigere il processo rivoluzionario, succede:
che pur dichiarandosi marxisti, si contrappone di fatto Marx a Lenin e Mao;
che pur basandosi sull'analisi marxista delle classi, la si abbandona, abbracciando altre teorie interclassiste;
che ci si lascia scivolare inevitabilmente nel movimentismo ideologico, nell'economicismo, nell'”innovazione”; mentre su altri campi, conosciuti poco, si riprendono superficiali analisi e luoghi comuni.
Si esprime una incomprensione del concetto di “politico” di Marx, Lenin, Mao.

Infine, alcune altre questioni, sicuramente importanti e da approfondire.
Nell'affrontare i nodi presenti nella classe operaia, si dà una centralità a settori su cui puntare “come condizione più universale”, quali donne e immigrati. Il CCW coglie nodi reali ma dà una risposta sbagliata, che comunque resta sempre sul terreno sempre dell'economicismo.
Per es. sulla contraddizione di “genere” la evidenziano, ma non vanno alle sue conseguenze. Noi diamo a questa contraddizione una risposta tattica – lo sciopero delle donne – e una risposta strategica – la rivoluzione nella rivoluzione. Su questo i compagni e le compagne del CCW, invece di guardare alla nostra esperienza avanzata, si comportano da “ciucci e presuntuosi”.
Su donne, immigrati svolgono un ruolo di sopprimere le contraddizioni per realizzare l'unità; lì dove invece l'unità deve essere frutto dell'evidenziare le contraddizioni e della lotta all'interno della classe stesse (vedi la contraddizione di genere all'interno della contraddizione di classe che deve eccome prevedere ed essere portata avanti come lotta)
Sulla questione meridionale, i compagni sembrano scoprire ora questioni vecchie, e restano su una visione cristallizzata. A livello dei processi di industrializzazione, poi, non si tiene conto che oggi vi sono realtà del meridione che sono molto più industrializzate di realtà del nord, che vi è una nuova geografia industriale che cambia le gerarchie (la Sata di Melfi è oggi più importante della Fiat di Torino). L'analisi e la risposta in termini sindacali/politici è quindi vecchia.

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