L’articolo della Repubblica che
riportiamo è di Thomas Piketty (l’economista francese diventato famoso perché ha
messo in luce con il suo libro, Il Capitale nel XXI secolo, le terribili “disuguaglianze”
che il capitalismo crea); si tratta di un articolo che mettendo a confronto due
paesi di più di 1 miliardo di abitanti, Cina e India, da un lato critica pesantemente
il governo indiano sia dal punto di vista economico che politico (senza mai
citare però l’opposizione rappresentata dalla guerra popolare in corso!) e dall’altro
appunto dice che la sfida che deve affrontare questo governo è enorme e invita seriamente
a tenerne conto. Di fatto è un sostegno all’attuale governo Modi, travestito da
“analisi economica” che vuol sembrare neutra, e una concreta indicazione ad
investire per il suo governo, quello francese.
Ma molto di più in questo senso ha
fatto la Repubblica, che con il titolo dato all’articolo inganna chi legge non
solo perché definire l’India una “locomotiva” o addirittura “una realtà-chiave
del futuro” (questo semmai lo si può dire proprio guardando alla guerra
popolare!) è a dir poco esagerato, ma anche perché ne parla come di uno stato
dove regna la libertà di stampa e la democrazia! Mentre nel paese non solo è in
corso uno dei peggiori genocidi della storia, ma il fascismo indù del governo restringe
ogni giorno di più ogni “libertà democratica”.
(Grassetti e parentesi quadre
sono nostre.)
il "corridoio rosso" della guerra popolare
La scommessa dell'India nuova locomotiva dell'economia
IL CONTRASTO con la Cina, che ha
appena espulso una giornalista francese (senza che Francia ed Europa trovassero
nulla da ridire) e il cui modello politico autoritario appare tanto
indecifrabile
quanto imprevedibile nella sua evoluzione a lungo termine, è stridente. [Piketty non è di certo “informato” sul fatto che in India gli oppositori di ogni tipo riempiono le carceri a migliaia e alcune zone del paese sono interdette ad ogni “turismo” altro che espulsione di giornalista].
quanto imprevedibile nella sua evoluzione a lungo termine, è stridente. [Piketty non è di certo “informato” sul fatto che in India gli oppositori di ogni tipo riempiono le carceri a migliaia e alcune zone del paese sono interdette ad ogni “turismo” altro che espulsione di giornalista].
Le sfide che deve affrontare l'India restano però colossali, a
cominciare dal problema delle disuguaglianze.
Si fa molta fatica a ritrovare le cifre
della crescita nelle inchieste sui consumi tra le famiglie indiane,
probabilmente perché una parte
sproporzionata dell'arricchimento è intercettata da una ristrettissima élite
non adeguatamente coperta dalle inchieste. Dal momento che il governo indiano
ha interdetto l'accesso ai dati delle imposte sul reddito all'inizio degli anni
2000 (la Cina non li ha mai pubblicati, però gli introiti fiscali che raccoglie
sono superiori), è difficile dire
qualcosa di preciso.
Quel che è certo è che gli investimenti pubblici in scuola e
sanità rimangono nettamente insufficienti, e questo è un elemento che mina
alla base il suo modello di sviluppo. Un esempio emblematico è il sistema sanitario pubblico, che può
contare appena sullo 0,5% del Pil contro il 3% della Cina. La verità è che
il partito comunista cinese è riuscito, meglio delle élite democratiche e
parlamentari indiane, a mobilitare risorse significative per finanziare una
strategia di investimenti sociali e servizi pubblici.
Ma solo una politica di questo
tipo potrà permettere all'insieme della popolazione di beneficiare della
crescita e potrà assicurare uno sviluppo duraturo del paese. La mancanza di
trasparenza e l'autoritarismo del modello cinese lo condannano al fallimento,
se non ci sarà un'apertura. Ma il
modello democratico indiano deve ancora dimostrare la sua efficacia,
possibilmente senza passare per le crisi e gli scontri che sono stati
necessari, nel XX secolo, per imporre alle élite occidentali le riforme sociali
e fiscali indispensabili.
La sfida più importante, spesso
trascurata in Occidente, è legata al
lascito del sistema delle caste, a cui si aggiunge il rischio di scontri
identitari fra la maggioranza induista e la minoranza musulmana (il 14 % della
popolazione, 180 milioni di persone su 1,2 miliardi di abitanti), attualmente
rinfocolati dal partito nazionalista indù, il Bharatiya Janata Party (Bjp, al
potere dal 1998 al 2004 e poi di nuovo dal 2014).
Riassumiamo. Nel 1947, l'India
abolisce ufficialmente il sistema delle caste, e in particolare mette fine ai
censimenti per casta condotti dai colonialisti britannici, accusati di aver
cercato di dividere l'India e irrigidire le sue classi sociali per meglio
dominare e controllare il paese. Il governo sviluppa tuttavia un sistema di
discriminazione positiva, nelle università e nel pubblico impiego, per i
ragazzi provenienti dalle caste più basse (gli Sc/St, che sta per Scheduled
Castes/Scheduled Tribes, ex intoccabili discriminati, quasi il 30% della
popolazione). Ma queste misure suscitano crescente frustrazione tra i ragazzi
provenienti dalle caste intermedie (gli Obc, Other Backward Classes, circa il
40% della popolazione), schiacciati tra i gruppi più sfavoriti e le caste più
alte. A partire dagli anni Ottanta, diversi Stati indiani estendono le
politiche di discriminazione positiva a questi nuovi gruppi (a cui possono
unirsi i musulmani, esclusi dal sistema iniziale).
I conflitti intorno a questi
meccanismi sono tanto più vivi in quanto i vecchi confini tra le caste non sono
così netti, e non sempre (anzi) corrispondono alle gerarchie di reddito e
patrimonio. Il Governo federale alla fine decide di fare chiarezza su queste
complesse relazioni organizzando, nel
2011, un censimento socioeconomico delle caste (il primo dal 1931).
Il tema è incendiario e si attende ancora la pubblicazione completa
dei risultati. L'obbiettivo è di trasformare gradualmente queste politiche
di discriminazione positiva in regole fondate su criteri sociali universali
quali il reddito familiare o il territorio di provenienza, come i software di
accesso ai licei o alle università (o per certi aiuti alle imprese) che in
Francia cominciano timidamente ad accordare punti supplementari agli studenti
borsisti o a quelli provenienti da istituti o territori sfavoriti.
In un certo senso, l'India sta
tentando semplicemente di far fronte, con i mezzi dello Stato di diritto, al
problema dell'uguaglianza reale, in una situazione in cui la disuguaglianza di
status ereditata dalla vecchia società e dalle discriminazioni passate è
estrema e minaccia di degenerare in tensioni violente. Sbaglieremmo enormemente
se pensassimo che queste sfide non ci riguardano.
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