martedì 13 dicembre 2011

pc 13 dicembre - Gli operai cinesi si autorganizzano fuori e contro i sindacati ufficiali



Cina, quarto stato in rivolta
Gli operai lottano da soli per i salari

dal quotidiano online http://www.lettera43.it

Operai cinesi.
È un gigante con le idee chiare, ma con mille sfaccettature la Cina contemporanea. Un Paese che viaggia a ritmi impensabili per la vecchia Europa ma che si sta preparando a eventualità meno rosee.
Se le previsioni saranno confermate, di fronte a una diminuzione dell'inflazione, per la Cina potrebbe registrarsi anche una lieve flessione nella crescita del Prodotto interno lordo (previsioni per il 2012 al 7,5%), cui vanno aggiunte le diminuzioni delle esportazioni a causa della crisi europea e americana.
In questa situazione, con molte aziende che chiudono o piccoli imprenditori che fuggono, si fanno sentire gli operai. Al di fuori dei sindacati ufficiali, i lavoratori cinesi sperimentano forme spontanee di organizzazione, con rivendicazioni molto chiare: «Vogliamo i soldi», hanno urlato gli operai di un'azienda di Shenzhen, rompendo le trattative con i dirigenti.
LOTTE PER I SALARI. Il cuore degli scioperi è il Guangdong, che da solo costituisce un quarto delle esportazioni cinesi. L'area è turbolenta perché da tempo, nelle tante fabbriche straniere che producono a basso costo in Cina, gli operai sono in lotta per aumenti salariali. Le proteste del 2010 avevano portato a lievi aumenti negli stipendi, ma il rallentamento delle esportazioni ha costretto molte aziende a tagliare gli straordinari. Lo stipendio medio di un lavoratore cinese nel settore dell'elettronica è di 200 euro: troppo poco per un Paese in cui l'inflazione, seppure in frenata a novembre, viaggia a ritmi alti.
ZHEJIANG, CATTIVO ESEMPIO. La paura di molti “padroncini” del Guangdong è quella di fare la fine dei loro colleghi del Zhejiang, altra regione “fabbrica del mondo”, nella quale i piccoli e medi imprenditori sono rimasti senza un soldo per pagare gli operai, o nelle mani di strozzini locali, finendo per chiudere o fuggire (tanto che la Cina ha ultimamente cominciato la ricerca di chi è scappato, chiedendo anche l'estradizione a Paesi vicini).
Per placare l'inflazione le banche hanno chiuso i rubinetti dei prestiti, le aziende si sono rivolte a “banche ombra” e si sono ritrovati a dover gestire interessi anche del 180%. A quel punto in molti hanno chiuso, altri sono scappati, altri hanno protestato insieme ai propri lavoratori, creando notevoli grattacapi ai governi locali.
UN MODELLO LIBERALE. Il Guangdong è la regione esempio della Cina per quanto riguarda un modello da sempre liberale: molti imprenditori privati, sostegni alle aziende e produzione di massa a costi molto bassi. Ma la situazione generale del paese ha portato gli operai a chiedere aumenti salariali e compensazioni per chi è stato escluso dai processi produttivi: non sono pochi, infatti, gli imprenditori che hanno deciso di lasciare la zona alla ricerca di costi più bassi (all'interno o all'ovest del paese).
Due terzi dei lavoratori cinesi appartengono alla generazione dei migranti

Le recenti proteste hanno creato un'insolita unione tra vecchie e nuove generazioni di operai. In particolare i giovani costituiscono un nuovo soggetto sociale, destinato a incidere profondamente sui rapporti di lavoro in Cina.
Per descriverli è stato coniato anche un nuovo termine, Xinshengdai nongmingong, ovvero «la nuova generazione di lavoratori migranti», i nati dopo il 1980. Con i suicidi di giovani lavoratori alla Foxconn e l'ondata di scioperi in tutta la Cina il fenomeno, già conosciuto, ha avuto una ribalta internazionale già nel 2010 e oggi ha trovato una sua consacrazione.
LIVELLO DI ISTRUZIONE PIÙ ALTO. «Si stima che circa due terzi dei lavoratori cinesi appartengano a questa nuova generazione», hanno spiegato gli attivisti del China Labour Bullettin, una ong di Hong Kong, «nel marzo 2010, secondo l'Ufficio nazionale erano il 61,6% del totale. Un'indagine effettuata dall'Acftu (All-China Federation of Trade Unions) su 1000 imprese e oltre 4 mila lavoratori in 25 città in tutta la Cina, ha rivelato alcune delle principali differenze tra la nuova e la vecchia generazione: i livelli di istruzione sono più alti. Il 67,2% dei lavoratori di nuova generazione ha il diploma (si tratta del 18,2% in più rispetto alla precedente generazione)».
FUORI DAI SINDACATI. Un'altra caratteristica delle nuove lotte è lo «spontaneismo organizzativo», al di fuori dei legami con i sindacati ufficiali, da sempre più vicini ai padroni che non ai lavoratori, in Cina. Secondo un attivista del lavoro nel Paese, intervistato da Lettera43.it, la novità delle lotte consiste anche in questo: «I lavoratori cercano e sperimentano forme autonome di organizzazione, si tratta di un elemento di discontinuità rispetto a un sindacato ufficiale che viene ormai visto come superato».

Martedì, 13 Dicembre 2011

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