Il 23
Dicembre del 1984, 34 anni
fa, un nuovo attentato, nei pressi del punto in cui poco più di dieci anni
prima, nell’estate del 1974, la cellula neofascista di Mario Tuti compì la
famosa “strage dell’Italicus”, una
carica di esplosivo radiocomandata distrusse la 9ª carrozza di II° classe del Rapido n. 904
proveniente da Napoli e diretto a Milano. Al contrario del caso dell’Italicus,
l’esplosione, avvenuta all’interno della grande galleria dell’Appennino, in
Loc. Vernio, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro (BO), provocò un
violento spostamento d’aria, che frantumò tutti i finestrini e le porte,
causando 17 morti e 267 feriti.
L’ordigno si
trovava all’interno di una valigia, caricata a Firenze e posta su una griglia
portabagagli del corridoio della stessa carrozza, a centro convoglio. Questo attentato è stato indicato dalla
“Commissione Parlamentare Stragi” come l’inizio dell’epoca della “guerra di
mafia” dei primi anni novanta del XX° secolo.
Dalle
successive indagini e dai molti processi, vennero a galla diverse linee di
collegamento tra mafia, camorra napoletana, gli ambienti del terrorismo
neofascista, la Loggia P2, e persino con la “Banda della Magliana”: questi
rapporti vennero chiariti da diversi personaggi vicini a questi ambienti, tra
cui Cristiano e Valerio Fioravanti, Massimo Carminati e Walter Sordi. Le
deposizioni che spiegavano i legami tra questi diversi ambienti della
criminalità emersero anche al maxiprocesso dell’8 novembre 1985, di fronte al
giudice istruttore Giovanni Falcone.
Per la “Strage
di Natale”, come fu definita in seguito, sono stati condannati, con sentenza
divenuta definitiva nel 1992, l’ex capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova,
Pippo Calò, Guido Cercola (suicida in carcere nel 2005), Franco Di Agostino e
Friedrich Schaudinn, esperto di elettronica e artefice del congegno che fece
esplodere la bomba mentre il treno correva in galleria.
Il 18 Febbraio
1994 la Corte di Assise di Appello di Firenze concluse il giudizio anche per il
parlamentare dell’MSI, il noto fascista Massimo Abbatangelo, il quale, assolto
dal reato di strage, venne condannato a sei anni di reclusione per aver
consegnato dell’esplosivo a Giuseppe Misso nella primavera del 1984. Le
famiglie delle vittime fecero ricorso in Cassazione contro quest’ultima sentenza,
ma persero e dovettero rifondere perfino le spese processuali. “Nella sentenza
non c’è scritto mafia”, questa la motivazione addotta dal “Comitato di
solidarietà per le vittime dei reati mafiosi” per respingere le richieste dell’”Associazione
Feriti e Familiari delle Vittime della Strage sul Treno 904 del 23 Dicembre
1984″.
Il 27 Aprile
2011 la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli emise un’ordinanza di
custodia cautelare nei confronti del boss mafioso Totò Riina ritenuto il
mandante della strage, sulla base di dichiarazioni di nuovi pentiti, tra i
quali Giovanni Brusca.
Il quadro
emerso nelle varie indagini, in cui elementi provenienti dall’eversione nera si
sono rivelati come legati a doppio filo alla manovalanza mafiosa e
camorristica, viene giustamente inserito in quel progetto destabilizzante
riconducibile alla cosiddetta “strategia della tensione”, senza però riuscire
mai ad individuare un più ampio ambito di responsabilità, e senza chiarirne in
alcun modo il disegno criminale complessivo e a quali “eventuali” funzionalità
più grandi le stragi sono collocate. La cosa certa, dalla Strage del 12
Dicembre ’69 (Piazza Fontana a Milano) in poi, è che si lavorò ad accreditare la sciagurata tesi degli
“opposti estremismi”, cercando di accreditare anche compagni della “estrema
sinistra” come possibili autori di “fatti di sangue” indirizzati a “colpire nel
mucchio”, per spingere così “l’opinione pubblica” verso le forze politiche del
cosiddetto “arco costituzionale”, in primis la D.C., tese a
difendere la “convivenza civile”.
Il lavoro della
Commissione Parlamentare Stragi, all’epoca presieduta dal Senatore Gualtieri,
nel 1994 aveva puntato il dito sulla “distrazione e assenza” dei servizi
segreti italiani, Sismi e Sisde, che avrebbero dovuto cogliere e segnalare ogni
attività di tipo terroristico; inoltre aveva evidenziato atti e dichiarazioni
compiuti allo “scopo di turbare e condizionare lo svolgimento della vita
democratica del Paese”, mettendo in luce un’opera
sistematica di disinformazione, che si è avvalsa di un supporto informativo e
logistico che va certamente oltre il semplice supporto criminale. Insomma,
hanno accertato che il disegno, volto a generare terrore, “c’è sicuramente
stato”, ma ciò è stato funzionale a condizionare la libera
espressione politica “dei cittadini”, usando sangue di malcapitati, e questo è
un filo rosso che unisce stragi e/o uccisioni irrisolte nel nostro Paese.
I molti episodi
stragisti negli anni ’70 (Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a
Brescia, Italicus) e ’80 (Stazione di Bologna e Rapido 904), per arrivare
all’omicidio dei cronisti Alpi e Hrovatin, comprendendo le stragi di Capaci,
Via D’Amelio, di Roma, Milano e Firenze, videro, molto probabilmente tutte, un
incontro criminale e silenzioso di strutture parallele e segrete, il cui comune
interesse era quello di mantenere “la particolarità italiana” ancorata ad
interessi specifici.
Molti documenti
relativi agli atti dell’organizzazione Gladio
(organizzazione della quale il cugino di Berlinguer, Senatore Francesco
Cossiga, se ne attribuì, addirittura, direttamente la paternità, affermandone
la “legittimità”) continuano a rimanere in gran parte coperti dal segreto,
chiusi negli archivi di Forte Braschi, tutelati dalle bocche cucite dei
militari che condussero l’operazione “stay-behind”, promossa dalla NATO, per
alcuni decenni, tenendo all’oscuro lo stesso Parlamento.
Il senatore Giovanni
Pellegrino, altro presidente della Commissione stragi, spiegò in un libro
intervista (“Segreto di Stato, la verità da Gladio al caso Moro”, scritto con
Giovanni Fasanella e Claudio Sestieri, per le Edizioni Einaudi) che la stessa
Commissione non ravvisò alcun elemento per provare responsabilità di Gladio
nella strategia della tensione; tuttavia, vi si legge: “….non vorrei violare
segreti istruttori, tuttavia posso dire che da un’indagine giudiziaria sta
emergendo un’ipotesi clamorosa: cioè che quando Andreotti parlò per la prima
volta di Gladio volesse in realtà gettare in qualche modo un osso all’opinione
pubblica per coprire qualcosa di più segreto, di più occulto e probabilmente
anche di più antico rispetto a Gladio”.
Questa storia
di sangue è (stata?) troppo lunga e piena di “lati oscuri”; il riferimento ad
“una struttura sovranazionale e al di sopra delle parti” ricorre
incessantemente nella lettura che investigatori, storici o inchieste
giornalistiche hanno dato nell’approfondire questi avvenimenti.
Le prime
dichiarazioni in proposito erano state pubblicate dall’Europeo il 17 ottobre
1974, con l’intervista a Roberto Cavallaro, arrestato per cospirazione politica
su ordine di cattura della Procura di Padova: “…L’organizzazione esiste di per
sé in una struttura legittima, con lo scopo di impedire turbative alle
istituzioni. Quando queste turbative si diffondono nel Paese (disordini,
tensioni sindacali, violenze e così via) l’organizzazione si mette in moto per
cercare di ristabilire l’ordine. E’ successo questo: che, se le turbative non
si verificavano, venivano create ad arte dall’organizzazione attraverso tutti
gli organi di estrema destra (ma guardi che ce ne sono altri di “estrema
sinistra”…)”. Sentito dal giudice Tamburino, Cavallaro ripeterà le stesse
considerazioni, specificando che, ai vertici dell’organizzazione, vi erano “i
servizi segreti italiani ed americani, ma anche alcune potenti società
multinazionali…”.
Si trattò di
rivelazioni prorompenti che, seppur prese con le pinze, indussero il giudice a
chiederne conto al Tenente colonnello Amos Spiazzi, che, per la sua lunga
permanenza all’ufficio “I” (Informazioni) del Sid (Servizio Informazioni
Difesa), non poteva essere all’oscuro dell’esistenza di un eventuale Sid
parallelo o Supersid: “… Ricevetti
ordini dal mio superiore militare, appartenente all’Organizzazione di sicurezza
delle Forze armate, che non ha finalità eversive ma che si propone di difendere
le istituzioni contro il marxismo”.
Una celebre
citazione dello scrittore Hans Enzensberger dice : “… il segreto di Stato è
diventato uno strumento di dominio di prim’ordine (…). Il numero dei segreti di
Stato che uno conosce diventa la misura del suo rango e dei suoi privilegi in
una gerarchia sottilmente graduata. La massa dei dominati è senza segreti: non
ha, cioè, nessun diritto di partecipare al potere, di criticarlo e di
sorvegliarlo”. E’ la sintesi dell’essenza politica della democrazia
capitalistica.
Per la sentenza
che ha messo fine a questo lungo processo, nella decisione, organizzazione ed
esecuzione della strage "non può escludersi che abbia trovato coagulo un coacervo di interessi convergenti di diversa
natura". Per i giudici nessuno dei pentiti "ha avuto
conoscenza che la strage fosse riconducibile a un mandato, istigazione o
consenso di Riina".
Nella sentenza
giudici ricordano che per la strage sono già stati condannati il cassiere della
mafia, Pippo Calò, i suoi collaboratori Guido Cercola e Francesco Di Agostino,
e un artificiere tedesco, Friedrich Schaudinn. Per la detenzione di esplosivo
sono stati invece condannati l'ex parlamentare del Msi Massimo Abbatangelo e
quattro camorristi: Giuseppe Missi,
Giulio Pirozzi, Alfonso Galeota e Lucio Luongo.
"Missi
vantava spiccate simpatie neofasciste e coltivava progetti politico eversivi -
scrivono i giudici - mentre i legami con esponenti della banda della Magliana
già ponevano Calò come tramite tra il potere mafioso ed ambienti eversivi di
destra". Quindi secondo i giudici Calò, considerato il maggiore
responsabile della strage, intratteneva con un certo grado di autonomia delle
relazioni collaterali alla mafia e questo, concludono i giudici, avvalora il
dubbio che per la strage del Rapido 904 "non abbia avuto la necessità di
avere impulso, autorizzazione o consenso di Riina".
Un’altra strage
senza mandanti quindi?
Affatto, i
mandanti li conosciamo eccome, come pure gli esecutori. C’era uno slogan che si
gridava sempre in quegli anni e che oggi dovremmo sparare in faccia ai
populisti: “le stragi nelle piazze, le bombe sui vagoni le hanno messe i
fascisti e pagate i padroni”. E il loro grado di mafiosità si misura con la
loro impunità, con la loro internità
allo Stato, alle istituzioni, al potere politico ed economico.
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