In 10 anni la busta paga degli italiani ha perso in media 5mila euro
(se lo dice il giornale dei padroni 'Sole 24ore' allora sarà anche di più...)
La risposta degli industriali è il "patto per la fabbrica" - siglato con Cgil, Cisl, Uil - per avere più produttività e meno costi del lavoro.
La Cisl, invece di chiedere aumenti salariali, chiede ai lavoratori di sostenere i padroni in difficoltà e di ridurre il peso fiscale alle aziende.
I padroni, vedi Assolombarda, chiede che i fondi per reddito di cittadinanza e quota 100 vengano usati per investimenti pubblici e per ridurre il cuneo fiscale.
A questo si unisce anche il sindacato che chiede che dell'aumento della produttività - che per gli operai si traduce in più sfruttamento - per favore, qualcosa vada al salario operaio...
INVITIAMO SOPRATTUTTO I LAVORATORI A LEGGERE L'ARTICOLO SULLA QUESTIONE SALARIALE E DELLA BATTAGLIA ORA E SUBITO PER L'AUMENTO DEI SALARI, NEL NUOVO NUMERO DEL GIORNALE PROLETARI COMUNISTI.
richiederlo a pcro@gmail.com.
da Sole 24 ore
di Cristina Casadei 03 aprile 2019
La crescita zero ha creato il fronte comune di imprese e sindacati per chiedere al governo misure che possano incidere su lavoro e investimenti. Litigare è un lusso che ci si può permettere nelle fasi espansive, ha detto nei giorni scorsi il presidente degli industriali Vincenzo Boccia. Non certo in questa, in cui semmai bisogna agire con la consapevolezza che si tratta di un periodo delicato che chiede a tutti senso di responsabilità. Se è una certa idea di società che ha fatto sedere al tavolo Confindustria e Cgil, Cisl e Uil per siglare il patto per la fabbrica, questa
fase sta facendo ritrovare le parti sociali sul terreno di un confronto dove emerge con chiarezza che la questione salariale va risolta.
L’Isrf della Cgil ha calcolato che nell’ultimo decennio i salari netti hanno perso, in media, 5mila euro. Un dato significativo su tutti: prendendo come riferimento un salario netto medio mensile di 1.464 euro, l’Isrf calcola che, se il peso del fisco fosse stato quello degli anni ’80, questo salario sarebbe stato 1.695 euro: dagli anni ’80 ad oggi l’aumento della pressione fiscale ha quindi alleggerito i salari di ben 231 euro.
La complessità oggi è tale che le parti sociali «non sono autosufficienti», per dirla con gli industriali, e «non si può fare da soli», spiega il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan. La leva fiscale per sostenere il lavoro diventa così fondamentale. In questo contesto c’è chi, come il presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, si spinge a dire che serve una cura shock. Quindi via reddito di cittadinanza, 80 euro e quota cento e di tutto ciò si restituisca una quota per contrastare la povertà, una quota per gli investimenti pubblici e una per supportare un drastico taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori con redditi tra 0 e 35mila euro, ossia la fascia sociale che ha sofferto di più negli ultimi anni.
Tra il 2011 e il 2018, dice Nicola Cicala, direttore dell’Istituto, «l’Ipca cresce del 9,9%, mentre i salari reali del 9,4%: questo significa che i lavoratori si ritrovano in tasca una perdita netta del 4%».
Sembra sempre la stessa storia del gatto che si morde la coda. La produttività è più bassa perché più bassi sono gli investimenti, la crescita si ferma e si fermano i salari. Secondo quanto ha calcolato l’Isrf i salari netti, nell’ultimo decennio, hanno perso 5mila euro.
Come se ne esce? Intanto prendendo la consapevolezza, a partire dai numeri, che «nel paese esiste una questione salariale che ha due diramazioni -spiega Megale -. La prima è che la produttività deve crescere di più e anche i contratti nazionali devono cominciare a prevederne il recupero, redistribuendo anche una quota di produttività». La seconda, continua il sindacalista, è che «tutti gli eventuali investimenti pubblici su materie fiscali più che parlare di flat tax e reddito di cittadinanza dovrebbero avere come riferimento un imperativo che è quello di ridurre le tasse sul lavoro, sui lavoratori dipendenti e sui pensionati. Calcoliamo che servirebbe qualcosa come 100 euro al mese di tasse in meno per ridare ossigeno ai lavoratori dipendenti».
Sul tema della produttività vi è però stato un demando al secondo livello, soprattutto a partire dall’accordo interconfederale del ’93, che ha stabilito i due livelli di contrattazione. Anche per evitare sovrapposizioni del recupero. «Era però stato stabilito - precisa Megale - che la produttività non sarebbe stata usata solo da una parte». Sindacati e imprese si sono avvicinati sulla via che privilegia un intervento sui salari a partire dalla riduzione del cuneo fiscale aumentando per questa via i salari».
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