Come ogni venerdì mattina gli algerini si sono dati appuntamento nelle piazze delle principali città. Ad Algeri l’appuntamento è sempre davanti il palazzo delle Grandi Poste, anche il venerdì in cui abbiamo avuto la possibilità di presenziare, tutto il centro di Algeri è stato letteralmente “invaso” da un tappeto di persone.
Le prime decine si sono posizionate sulle scalinate della Grande Posta intorno le 10:00, ma il grosso dei manifestanti arriverà verso il mezzogiorno. Difficile quantificare esattamente la partecipazione, in ogni caso siamo nell’ordine delle decine di migliaia che formano “il corteo”, se così si può chiamare, in quanto non ha un percorso definito, i manifestanti semplicemente si muovono avanti e indietro lungo un perimetro che grosso modo è quello delimitato dalle Grandi Poste, risalendo dal “tunnel universitario” (una galleria scavata sotto le facoltà universitarie) dall’inizio di Boulevard Mohamed V grazie al quale ci si dirige verso la parte alta della città in cui sorge il palazzo presidenziale, infatti lì vi era uno sbarramento di polizia in antisommossa, allora il corteo completava il perimetro svoltando
a sinistra in rue Didouch ritornando quindi alle grandi Poste. Anche le zone limitrofe a questo grande perimetro erano interessate da gruppi di manifestanti che a volte si fermavano in piazze inscenando dei sit-in collaterali alla manifestazione per poi immergersi nuovamente nel grande fiume umano. Verso le 14:00 una parte dei manifestanti fa pressioni sul cordone di polizia chiedendo di poter passare, non c’è stato un tentativo di sfondamento ma una continua insistenza da parte delle prime file che dopo un’ora ha fatto raggiungere l’obiettivo facendo aprire un varco da cui sono passati i manifestanti. In ogni caso alla sommità di Mohamed V vi era uno sbarramento ben più massiccio di blindati (tra cui dei mezzi simili a ruspe e altri con idranti) e di poliziotti in antisommossa, stavolta non si sono spostati anche perché solo una piccola parte del corteo e arrivata in cima (circa 300 persone) principalmente giovani e giovanissimi dei quartieri popolari.
La manifestazione ha visto una partecipazione composita ed eterogenea per età e classi sociali, vi erano famiglie al completo (genitori e nonni con figli e nipoti) ovviamente giovani (dato che circa l’80% della popolazione rientra in una classe di età compresa tra gli 0 e i 35 anni), gruppi ultras, studenti, tante donne e ragazze. Quest’ultime hanno dato vita ad un “sit-in permanente” (che ogni venerdì si darà appuntamento alle 13:00 di fronte l’ingresso dell’università) per portare in piazza la specificità della lotta delle donne algerine e in particolare la richiesta dell’abolizione del Codice della Famiglia che prevede diverse discriminazioni di genere tra cui la poligamia e la discriminazione nella successione.
Non erano visibili gruppi di lavoratori organizzati, complice anche il ruolo nefasto del sindacato, Unione Generale dei Lavoratori Algerini su cui torneremo dopo, salvo un piccolo gruppo di pompieri. A differenza della “prima ondata” delle rivolte arabe (se cosi possiamo chiamarle in maniera “ottimista”), non vi erano slogan di rivendicazioni economiche ma più “politici” anche se vaghi: “dégagé” (“via”) all’indirizzo del presidente Bouteflika e del principale partito di governo FLN ma anche verso gli altri. È pressoché unanime l’idea di non accettare la presenza di Bouteflika un sol giorno oltre la fine del suo mandato (18 aprile 2019).
La parola d’ordine generale è “sistema dégagé”. Un piccolo gruppo di 6-7 persone si rendeva visibile nella massa agitando uno striscione e gridando slogan inneggianti ad una fantomatica Assemblea Costituente (proposta tra l’altro avanzata da Bouteflika stesso) al contrario uno striscione più coerente con la fase attuale, portato da un gruppo di giovani, recitava “
Voi prolungate la vostra permanenza, noi prolunghiamo la nostra lotta
”. Molto positiva la presenza di più cartelli e striscioni contro le principali potenze imperialiste
che hanno espresso per motivi diversi ma speculari appoggio al governo (Francia, Russia) o un finto
appoggio ai manifestanti (USA) speso in inglese: “USA, France and Russia stay away”o ancora
“Macronthink to your own business
” (mancavano cartelli su Cina e Italia nonostante abbiano un grande peso nei rapporti commerciali e di investimento nel paese). Non erano presenti bandiere di partito ma era predominante quella algerina, molte bandiere Amazigh (berbere) e qualche bandiera palestinese. Solo una
bandiera rossa del Partito Comunista Turco marxista-leninista (MLKP) portata da due compagni insieme ad un cartello recitante “contro l’intervento imperialista in Algeria”.
Sicuramente è positivo il fatto che vi siano rivendicazioni generali “contro la caduta del sistema”, ma è negativo che sembra che sia un rifiuto più o meno esplicito di esprimere una leadership che si prenda le proprie responsabilità e quindi rimane tutto vago e generico sbilanciato sulla categoria del popolo (“chebb”, popolo in arabo per l’appunto è la parola ricorrente nelle interviste e negli slogan) con il rischio che il popolo rimanga una massa informe e non invece quello che è realmente: composto da varie classi sociali ognuna con i rispettivi interessi che in alcune fasi (come quelle attuale) possono convergere ma nella fase successiva (esempio quando il trait d’union del dégagé Bouteflika sarà superato) vi saranno divergenze e contrapposizioni proprie delle contraddizioni specifiche della fase differente. Ciò comporta il rischio già visto in Tunisia ed Egitto che il grande movimento popolare di protesta, sia capitalizzato da rappresentanti di diverse fazioni della borghesia compradora, rappresentata dai principali partiti al potere in cui molti esponenti di essi stanno già abbandonando la nave di Bouteflika che affonda, (in Tunisia dagli ex RCD di Ben Ali e dai Fratelli Musulmani di Ennadha e in Egitto dai Mubarakiani rappresentati da Al Sisi, in
entrambi i casi restaurazioni del vecchio in forme diverse).
In Algeria, sembra che si possa delineare una situazione più simile a quella egiziana in cui sia l’esercito il principale soggetto che operi una restaurazione, con un pericolo minore di un rigurgito islamista.
Affermiamo ciò con cautela ma alla luce del fatto che le piazze tanto composite ed eterogenee, in ogni caso non hanno visto una presenza organizzata di islamisti così come i manifestanti in alcuni cartelli e slogan sono stati netti su questo, al contrario denunciando una sorta di riconciliazione tra regime ed islamisti del FIS come una sorta di “tradimento” e quindi come ulteriore motivo per “degager” il sistema. La dichiarazione del generale dell’esercito algerino Ahmed Gaid Slah di pochi giorni dopo il corteo in questione (il lunedì) da forza alla nostra ipotesi. Non bisogna farsi ingannare dall’applicazione dall’alto dell’articolo 102 della costituzione che prevede la destituzione del presidente se non è in grado di svolgere le proprie funzioni per motivi di salute prevedendo 45 giorni di transizione in cui i poteri sono esercitati da altre istituzioni che devono organizzare nuove elezioni. Innanzitutto Bouteflika si trova in questa condizione dal 2013 dopo che è stato colpito dal famigerato ictus, quindi si tratta di un modo con cui il potere prende tempo vista l’ostinata determinazione degli algerini a scendere in piazza in tutto il paese ogni settimana non facendosi abbindolare da false soluzioni (come quella proposta da Bouteflikha o da chi per lui dopo il suo rientro dalla Svizzera di non candidarsi per un quinto mandato ma di prolungare il quarto!), in ogni caso già
molti attivisti e intellettuali hanno giudicato come eccessivo e negativamente questa eventualità agitata dal generale e, come volevasi dimostrare, il venerdì successivo i manifestanti sono scesi in piazza respingendo la proposta del capo dell’esercito.
È interessante come il movimento ogni settimana cresca e accumuli forze (per noi e interessante nell’ottica della lotta di lunga durata) è anche interessante come sia in Francia che in Algeria ciò avvenga per cadenze settimanali e non con manifestazioni ad oltranza quotidiane non facendo fiaccare il movimento. Ciò però va visto in termini dialettici e non assoluti, per esempio in Algeria negli altri giorni della settimana tra un venerdì e l’altro, i lavoratori organizzano scioperi e sit-in davanti le sedi di lavoro o delle amministrazioni, spesso organizzati in forma autonoma e in aperta contrapposizione e critica con l’UGTA come il caso di operai, membri della protezione civile e impiegati pubblici, studenti ecc. nelle diverse città del paese.
Addirittura nella città di Bejaia, capoluogo della regione berbera della Kabilya, l’UGTA in occasione
dell’anniversario della nazionalizzazione degli idrocarburi ha diffuso un comunicato rivoltante a totale sostegno dello Stato e del governo rammaricandosi che “ tale ricorrenza che ha contribuito allo sviluppoeconomico del paese sia perturbata dal malessere e dalle manifestazioni di queste settimane”!
Un salto di qualità necessario potrebbe essere rappresentato da uno sciopero generale con l’obiettivo di paralizzare il paese superando il leitmotiv inflazionato da stampa interna ed estera delle “manifestazioni pacifiche”. In realtà venerdì scorso ci sono stati scontri tra manifestanti che volevano oltrepassare il cordone di polizia sbarrante la strada per il palazzo presidenziale e polizia che ha usato gas lacrimogeni, idranti e fermato dei giovani; lo stesso giorno si è verificata anche una grave aggressione da parte di alcuni giovani manifestanti uomini contro il sit-in permanente delle donne a cui sono state strappati i cartelli e strattonate.
Nei giorni immediatamente successivi queste donne hanno dichiarato chiaramente che non è possibile
costruire una nuova Algeria senza la parità uomo-donna, respingendo tutte le accuse opportuniste e
maschiliste di voler dividere la piazza e il popolo con questioni secondarie mentre l’obbiettivo principale è la “caduta del sistema”, un sistema per l’appunto discriminatorio che si basa anche sullo sfruttamento delle donne, hanno ribadito le femministe algerine. Durante la permanenza nel paese abbiamo notato come dalvillaggio più sperduto alla capitale, vi siano tanti monumenti, strade e musei dedicati ai martiri del colonialismo e alla lotta di liberazione nazionale contro la Francia una sorta di “culto statale della rivoluzione ’” come viene definita la lotta di liberazione nazionale dagli algerini. Ciò ha un carattere ambivalente: da un lato serve al potere stesso per autolegittimare il clan al potere che vanta “discendenze” più o meno dirette con i combattenti anticoloniali; dall’altro ha il ruolo positivo di educare la coscienza collettiva alla necessità della lotta per la propria liberazione ciò è presente (a quanto ci è sembrato) con una intensità superiore rispetto ad altri paesi vicini
come la Tunisia. In piazza molti giovani manifestanti scendono con cartelli dei martiri della lotta di
liberazione nazionale non in maniera stereotipata ma contrapponendo i martiri a chi ne sfrutta l’immagine e la gloria (il clan al potere) tra gli slogan infatti è presente uno che recita “il simbolo dello FLN al museo, lo FLN degage!” come una sorta di riconoscimento storico che ha avuto lo FLN con la consapevolezza che lo FLN di oggi ha totalmente mutato la propria natura. In occasione di una conversazione con un lavoratore del settore della funzione pubblica quest’ultimo ci ha detto: “
Il nostro paese è nato dal sacrificio e dalla rivoluzione, purtroppo chi ha gestito il potere subito dopo l’indipendenza non fa parte dei rivoluzionari
”.
Conclusioni
L’Algeria è una potenza regionale nel Nord Africa in contrasto con il Marocco soprattutto per la questione del Sahara Occidentale, sostiene apertamente la “stabilità” della piccola Tunisia che recentemente ha ricambiato soffocando tentativi di manifestazioni di protesta di algerini in Tunisia che volevano solidarizzare con i propri connazionali e manifestare contro il proprio governo. Al di là della retorica rivoluzionaria di palazzo e di sostegno (strumentale alle dinamiche geopolitiche regionali) della causa saharawi, l’Algeria, come tutti i paesi dell’area MENA è un regime reazionario e antipopolare il paese è di tipo semifeudale e semicoloniale legato principalmente all’imperialismo russo e cinese ma anche a quello francese e italiano (l’Italia è il primo paese esportatore in Algeria), con un’economia principalmente orientata verso l’esportazione di idrocarburi e quindi generatrice di clientele e di rapporti compradori tra tale borghesia parassitaria al potere e potenze straniere.
La strategia di liberazione non può che essere quella della Guerra Popolare di Lunga Durata in seguito alla costruzione dei 3 strumenti (il Partito rivoluzionario, il Fronte Unito e l’Esercito Popolare) tenendo conto della situazione specifica del paese, del ruolo crescente del tessuto urbano e del proletariato in un paese come l’Algeria.
La mobilitazione proletaria, delle donne, degli amazigh, degli studenti di queste settimane in
chiave progressista e anti-regime, nonché anti-islamista, pur con tutte le contraddizioni del caso, ci mostra che il terreno è fertile.
Nessun commento:
Posta un commento