In arrivo altri tagli alle pensioni
Nell’assoluto
ed ormai sistematico silenzio mediatico è iniziata da qualche
settimana, nella Commissione Affari Costituzionali della Camera dei
Deputati, l’iter di due proposte di legge per modificare il quarto comma
dell’articolo 38 della Costituzione, una a firma del suo presidente,
Andrea Mazziotti, e l’altra del piddino Ernesto Preziosi, membro della
Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione.
L’articolo
in oggetto, dopo aver sancito i diritti dei cittadini con le frasi
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per
vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori
hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle
loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e
vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno
diritto all’educazione e
all’avviamento professionale” prevede: “Ai
compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti
predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.”
Le
due proposte in discussione sono molto simili tra loro, la proposta
Mazziotti, sottoscritta da oggi 35 parlamentari tra Civici Innovatori,
PD, FI e AP e dai quali si sono sfilati quelli di FdI dopo una prima
adesione, chiede la sostituzione integrale del comma con le parole « Ai
compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti
predisposti o integrati dallo Stato secondo principi di equità,
ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni », di fatto
aggiungendo però solo la parte “secondo principi di equità,
ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni”.
Nella
proposta Preziosi, invece, dopo il secondo comma dovrebbe esserne
inserito uno disponente che “il sistema previdenziale debba essere
improntato ad assicurare l’adeguatezza dei trattamenti, la solidarietà e
l’equità tra le generazioni, nonché la sostenibilità finanziaria”.
Sebbene
non citata direttamente da Mazziotti, Le ragioni di questo cambiamento
risiederebbero proprio nella sua “sostenibilità finanziaria” infatti nel
suo sito web afferma che “Il rapporto Pensions at Glance 2015, diffuso
dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)
il 1° dicembre 2015, mette in luce in maniera molto netta alcune
difficoltà del sistema previdenziale italiano.”
In
particolare “Nel quinquennio 2010-2015 la spesa per le pensioni
pubbliche ha in media assorbito il 15,7 per cento del prodotto interno
lordo (PIL). Si tratta del secondo valore più alto tra i Paesi dell’OCSE
dopo la Grecia, una percentuale che sicuramente diminuirà all’aumentare
del PIL italiano, ma che va comunque abbassata con una rimodulazione
della spesa pensionistica nella direzione di una maggiore
sostenibilità.”
E poiché “L’ISTAT ha poi reso noto che il 70 per cento della spesa pensionistica totale è assorbito da pensioni di vecchiaia” e che “Nonostante un incremento graduale dell’età dovuto alle recenti modifiche normative, una percentuale rilevante di pensionamenti avviene prima dei 60 anni”, il pericolo sarebbe che “il nostro sistema pensionistico non è in grado di reggere il peso di tre fattori concomitanti: la bassa età effettiva di uscita dal mercato del lavoro (la quarta più bassa dell’OCSE), il bassissimo tasso di occupazione per i lavoratori tra i 60 e i 64 anni (il 26%, contro una media OCSE del 45%) e il fatto che ancora oggi molti pensionati ricevano pensioni generose, nonostante un basso livello di contributi versati.”
Sono proprio queste ragioni, secondo i proponenti, che sarebbero alla base dell’avvertimento dell’OCSE che “i lavoratori più esposti al rischio di una carriera instabile, a una bassa remunerazione in lavori precari non riescano a maturare i requisiti minimi per la pensione contributiva anche dopo anni di contributi elevati.”
E poiché “L’ISTAT ha poi reso noto che il 70 per cento della spesa pensionistica totale è assorbito da pensioni di vecchiaia” e che “Nonostante un incremento graduale dell’età dovuto alle recenti modifiche normative, una percentuale rilevante di pensionamenti avviene prima dei 60 anni”, il pericolo sarebbe che “il nostro sistema pensionistico non è in grado di reggere il peso di tre fattori concomitanti: la bassa età effettiva di uscita dal mercato del lavoro (la quarta più bassa dell’OCSE), il bassissimo tasso di occupazione per i lavoratori tra i 60 e i 64 anni (il 26%, contro una media OCSE del 45%) e il fatto che ancora oggi molti pensionati ricevano pensioni generose, nonostante un basso livello di contributi versati.”
Sono proprio queste ragioni, secondo i proponenti, che sarebbero alla base dell’avvertimento dell’OCSE che “i lavoratori più esposti al rischio di una carriera instabile, a una bassa remunerazione in lavori precari non riescano a maturare i requisiti minimi per la pensione contributiva anche dopo anni di contributi elevati.”
Insomma
se vogliamo la pensione da vivi dovremmo abbassare immediatamente i
costi della previdenza di oggi per permettere ai pensionati di domani di
poter continuare a ricevere, od almeno ricevere, una pensione.
“Se si va avanti così – continua Mazziotti – le generazioni future avranno pensioni enormemente più basse di quelle di chi in pensione ci è già andato, se le avranno.” E poiché “qualsiasi
intervento normativo non può ignorare le discriminazioni e le
situazioni di privilegio, che già oggi sottraggono risorse alle pensioni
più basse e che, soprattutto, si scaricheranno sulle spalle delle
generazioni future. La presente proposta di legge costituzionale intende
dunque introdurre nella Costituzione nuovi principi cardine ai quali
devono conformarsi gli istituti previdenziali e assistenziali previsti
dalla Carta.”
Quindi,
il risultato sembra essere che per abbassare ancora le pensioni di oggi
ci si appella nientemeno che alla Costituzione stessa, affermando, “non
si può considerare equo un Paese nel quale il sistema pensionistico
discrimina fra pensionati di generazioni diverse. Viene meno un
caposaldo della Costituzione, il principio di uguaglianza. Per questo,
nella proposta si prevede che gli istituti, previsti dall’art. 38 e
predisposti o integrati dallo Stato, devono essere informati ai principi
di equità, ragionevolezza e non discriminazione tra le generazioni.”
La
conseguenza è che dopo aver aumentato l’età pensionabile più volte,
modificati i criteri di erogazione, tagliata sanità e welfare in nome
del pareggio di bilancio, invece di rilanciare e difendere l’industria
ed il lavoro, si cerca di raggranellare ancora qualche soldo facendo
sempre leva sulle categorie più deboli, i pensionati, addirittura in
nome di una ipotetica equità futura.
Ma
se è già stupefacente che per difendere le banche si trovino miliardi e
per il lavoro si spremono anche quelli che lo hanno più, quello che
maggiormente incuriosisce è che ad una proposta del centro destra in
tale direzione fa eco una proposta del PD che, se possibile, è ancora
più dura e sprezzante nei suoi termini, infatti se a destra si parla
solo di equità generazionale, nascondendosi dietro gli allarmi
dell’OCSE, a sinistra, se il PD lo è ancora, per lo stesso scopo si
vorrebbe introdurre addirittura nella Costituzione la “sostenibilità
finanziaria“ dello stato, cioè che se per qualsiasi altra ragione,
scelte sbagliate e sprechi compresi, la sostenibilità fosse dubbia, i
già poveri pensionati sarebbero comunque in prima linea a farne le
spese.
Vogliamo
la pensione da vivi, ma anche che sia adeguata e dignitosa per chi la
riceve e non solo sostenibile per il bilancio dello stato a favore di
banche e finanzieri, il lavoro, la pensione, la salute, la libertà, il
welfare state, sono valori irrinunciabili: si può vivere senza una
cassaforte piena, non lo si può fare senza una società solidale.
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