Il
risultato, secondo il Rapporto Censis-Rbm, è che la spesa sanitaria privata è
lievitata a 35,2 miliardi di euro, con un aumento del 4,2 per cento in tre anni
(2013-2016)
Nel 2016 12,2 milioni di italiani hanno
rinunciato o rinviato le cure sanitarie per motivi economici. Una fetta
di emarginati che è notevolmente cresciuta rispetto al 2015 (più 1,2 milioni).
E’ quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm. Considerando anche i
cittadini che hanno avuto difficoltà economiche e si sono impoveriti per
sostenere di tasca propria le spese mediche (intramoenia o in strutture
private), la cifra sale a 13 milioni. Di questi, 7,8 milioni sono stati
costretti ad attingere ai risparmi di una vita o addirittura a indebitarsi con
parenti e amici, fino ad aprire un mutuo in banca. E 1,8 milioni sono
precipitati nella fascia di povertà. Il risultato, si legge nel Rapporto, è che
la spesa sanitaria privata è lievitata a 35,2 miliardi di euro, con un
aumento del 4,2 per cento in tre anni (2013-2016). In assoluto, secondo il
sondaggio
Rbm, l’impegno più oneroso è per le visite specialistiche (74,7 per cento), seguito dall’acquisto dei farmaci o dal pagamento del ticket (53,2), dagli accertamenti diagnostici (41,1), prestazioni odontoiatriche (40,2), analisi del sangue (31), lenti e occhiali da vista (26,6), riabilitazione (14,2), protesi, tutori e ausili vari (8,9) e spese di assistenza sociosanitaria.
Rbm, l’impegno più oneroso è per le visite specialistiche (74,7 per cento), seguito dall’acquisto dei farmaci o dal pagamento del ticket (53,2), dagli accertamenti diagnostici (41,1), prestazioni odontoiatriche (40,2), analisi del sangue (31), lenti e occhiali da vista (26,6), riabilitazione (14,2), protesi, tutori e ausili vari (8,9) e spese di assistenza sociosanitaria.
Il motivo principale per cui si ricorre sempre più
spesso al privato sono le liste di attesa troppo lunghe nel pubblico.
Queste in parte dipendono dal sott’organico cronico di personale e dall’impatto
dell’invecchiamento della popolazione sull’organizzazione socio-sanitaria. Con
evidenti disomogeneità locali. Qualche esempio: “Per una mammografia si
attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa
arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni (più 6
giorni rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una
risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (6 giorni in più), ma al
Sud ne sono necessari 111. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67
giorni (più 8 giorni), ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita
ginecologica si attendono in media 47 giorni (nel 2014 erano otto in meno), ma
ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (18 giorni in
più), con un picco di 77 giorni al Sud”. La spending review in sanità, si
ricorda nel Rapporto che cita la Corte dei Conti, ha fatto ridurre la
spesa sanitaria pubblica pro-capite dell’1,1 per cento l’anno in termini reali
dal 2009 al 2015. Diversamente da quanto è accaduto nello stesso periodo in
Francia, dove è cresciuta dello 0,8 per cento l’anno, e in Germania (più 2 per
cento annuo). La differenza è lampante anche se si osserva l’incidenza della
spesa sanitaria rispetto al Pil: il 6,8 per cento da noi, l’8,6 in Francia e il
9,4 in Germania.
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