Quando il lavoro uccide- di Pasquale
Notargiacomo
Infortuni sul lavoro, controlli inadeguati. Pochi ispettori
e leggi inapplicate.
Un sistema pieno di difetti, contraddizioni e
scontri tra poteri. Parla Beniamino Deidda, uno dei magistrati più esperti
nella materia: "Lo Stato ha praticamente rinunciato alla potestà punitiva".
Eppure si tratta di reati anche gravi, omicidio compreso. Un'azienda può
sperare di non essere mai controllata in tutta la sua
esistenza.
"Controlli irrisori,
affidati a personale numericamente esiguo. Ritardi nell'applicazione della
normativa, spesso per una convivenza difficile tra le istituzioni affidatarie
della materia. Un apparato repressivo inadeguato
all'entità del fenomeno.
Si
possono riassumere così, le mancanze principali del sistema della vigilanza
in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. La competenza in materia
spetta, dall'avvento della riforma sanitaria del 1978 (applicata a partire
dal 1982), ai servizi di prevenzione delle Asl a cui sono state affidate le
funzioni prima appartenenti agli Ispettorati provinciali del Lavoro. Il
ministero è tornato nuovamente organo di vigilanza, con una deroga soltanto
per il settore dell'edilizia, dal 1997.
Questo passaggio di consegne, che ha
instaurato di fatto un sistema duale, non è avvenuto senza strascichi e
ancora oggi non sempre la collaborazione è delle migliori. "I controlli sono
sempre stati percepiti più come un potere che come un servizio. Per questo il
ministero non si è mai rassegnato a questa perdita di competenze - commenta
Beniamino Deidda, già Procuratore Generale di Firenze e tra i massimi esperti
di sicurezza sul lavoro - e ha sempre cercato di rosicchiare competenze alle
Regioni. Così ci troviamo di fronte a ricorrenti tentazioni del Ministero di
creare un corpo di vigilantes, non saprei come altro chiamarli, staccati
dalla prevenzione".
"Comitati pletorici"
Per
migliorare la situazione, il D.Lgs.81/08 ha previsto, tra le occasioni di
coordinamento, (all'articolo 5) il "Comitato per l'indirizzo e la valutazione
delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di
vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro", a cui spetta un ruolo
di cabina di regia nazionale presso il Ministero della Salute. A dispetto del
nome altisonante la sua attività finora non è stata così intensa. "Diciamo
che non lo vediamo così dinamico." - sottolinea Oreste Tofani, presidente
della Commissione d'inchiesta sugli infortuni del Senato - che a riguardo,
come si dirà più avanti, ha elaborato una sua proposta. A questo primo organo
fa da contraltare la "Commissione Consultiva permanente per la Salute e la
Sicurezza sul lavoro", che si trova invece presso il Ministero del Lavoro.
Anche in questo caso la partenza non è stata fulminante. Tra i compiti che il
Testo Unico del 2008 aveva assegnato a quest'altra commissione figurava la
redazione, entro e non oltre il 31 dicembre 2010, delle procedure
standardizzate per la valutazione dei rischi delle imprese. Un compito il cui
completamento effettivo è avvenuto con un decreto interministeriale del 30
novembre 2012.
Regioni in ritardo
Oltre a queste
due strutture nazionali, un'altra delle novità principali del TU 61/2008
riguardava l'istituzione di Comitati regionali. Un processo che però non è
stato lineare. Anzi, spesso, è partito a macchia di leopardo. Tra regione e
regione, come riportato dall'ultimo rapporto della Conferenza delle Regioni e
delle province autonome, relativo all'anno 2010, l'insediamento è avvenuto
anche ad anni di distanza. Gli ultimi partiti, in
Sardegna a gennaio 2011 e
in Calabria a settembre 2011, al momento della pubblicazione del rapporto non
avevano ancora tenuto riunioni né fatto attività di pianificazione. Mentre,
ad esempio, la struttura omologa in
Lombardia risultava attiva dal 20/04/08 e
si era già riunita 12 volte. "Sono comitati pletorici, caratterizzati da
forti tensioni e disaccordi e non producono un programma di prevenzione a cui
tutti si attengono" - è il giudizio netto di Deidda. Difficoltà di cui
riferisce anche la Commissione d'inchiesta del Senato. "Come noto si tratta
di una materia concorrente tra Stato e Regioni. Ma questa dualità non
favorisce e crea sicuramente dei problemi" - è il pensiero del presidente
Oreste Tofani (Pdl) - "Abbiamo regioni che procedono con una certa dinamicità
e altre che non hanno lo stesso ritmo".
Controlli
irrisori
Il Patto Stato Regioni ha fissato al 5% la soglia minima
delle aziende da ispezionare. Un obiettivo raggiunto (secondo il rapporto
citato) soltanto in 14 regioni, con una percentuale media dell'intero Paese
che si attesta al 6,6%. In totale, nel 2010, sono state 162.525 le aziende
(sommando tutti i comparti produttivi) visitate dalle Asl, con un numero di
violazioni di 53.939, pari a circa un terzo. Non si può dimenticare che
l'intera platea in Italia conta oltre due milioni di imprese con dipendenti.
Una sproporzione che diventa ancora più evidente in determinati settori: la
percentuale di aziende agricole ispezionate è di appena lo 0,37%, con la
punta massima in Lombardia del 2,67%.
Pochi
ispettori
Va da sé che la missione dei 4.730 operatori della Asl
(di cui soltanto 2.851 con qualifica di polizia giudiziaria, e quindi in
grado di prendere notizie di reato, applicare le prescrizioni e svolgere, se
necessario,
indagini) è quantomeno proibitiva. Pur sommando a questi, per il
settore dell'edilizia, i circa 300 ispettori tecnici del Ministero del Lavoro
(gli altri 3mila hanno soltanto funzioni amministrative) più le 423
unità dell'Arma dei Carabinieri (che li affiancano in alcune operazioni)
la sproporzione resta evidente. Così come non appaiono motivate le critiche
di chi denuncia una frequente sovrapposizione tra i due organi di
vigilanza
(peraltro possibile soltanto in edilizia). "In alcune regioni i
colleghi sono davvero quattro gatti", - ammette Vincenzo Di Nucci,
presidente dell'Aitep (associazione italiana tecnici della prevenzione) e in
servizio presso la Asl Roma G - "Con questi numeri le imprese hanno la quasi
certezza di non ricevere mai un controllo durante la loro intera esistenza".
Chi invece lo riceve ed eventualmente incorre nelle sanzioni, può
beneficiare
dell'istituto della prescrizione obbligatoria, prevista dal
D.Lgs.758/94: un atto di polizia giudiziaria per il quale il contravventore
può estinguere il reato adempiendo alle prescrizioni e pagando un quarto
dell'ammenda massima.
"E' l'unico caso in cui lo Stato rinuncia alla potestà
punitiva." - spiega Deidda - "Non avviene neanche per il furto di una mela.
In questo caso viene sacrificata in vista del raggiungimento di un bene
giuridico nobile: la
salute e la sicurezza dei lavoratori". Uno scambio
particolarmente vantaggioso per il contravventore, che infatti nella quali
totalità dei casi (più del 90%, secondo i dati delle Asl) provvede a mettersi
in regola.
Norme non applicate
Resta il fatto che
95 aziende su 100 (nella peggiore delle ipotesi) hanno la ragionevole
speranza di non essere visitate dagli organi di vigilanza. Una mancanza che
finisce per aggravare un'altra distorsione cronica del sistema. "Nel nostro
paese" - spiega Deidda - "la legislazione non è mai stata più indietro degli
altri paesi. Ma un conto è fare buone leggi, un conto è tradurle in vita
vissuta. Soltanto qui da noi si è assistito per quasi
cinquant'anni a una
sistematica disapplicazione della medesima norma. I testi sono rimasti a
lungo intonsi". E' il caso dei D.P.R. del 1955/56. La prima
"rivoluzione" è avvenuta con il D.Lgs.626/94 (che ha recepito le
direttive comunitarie in materia) e successivamente con il Testo
Unico D.Lgs.81/08 approvato dal già dimissionario governo Prodi (anche se
a cambiarne l'impianto sono intervenute le modifiche
all'apparato
sanzionatorio apportate dal D.Lgs.106/09, per le quali è stata
aperta una procedura d'infrazione europea ai danni
dell'Italia).
Magistratura impreparata
Nella
mancata efficacia del processo repressivo pesano anche le responsabilità
degli uffici giudiziari. "La magistratura tradizionalmente si è accostata con
una certa indifferenza ai reati in materia della sicurezza dei lavoratori" -
ammette Deidda -. "Ancora oggi stenta ad attrezzarsi: sono pochi i tribunali
con gruppetti specializzati". Il risultato è un quadro preoccupante, messo in
luce anche dal Csm in una ricerca del 2009 sulle 165 Procure e tribunali
italiani. In base alle risposte pervenute, solo 18 Procure hanno gruppi
specializzati mentre 49 hanno specializzazioni in capo a un singolo
magistrato. Situazione anche peggiore tra i tribunali: solo uno ha giudici
specialisti cui vengono assegnati i processi per infortunio o malattia professionale. "Io stesso ho fatto un esperimento: chiedere ai Procuratori di
varie zone d'Italia, di dirmi quanti infortuni, quante decisioni, quante
assoluzioni registrassero. La risposta generalizzata è stata: non siamo in
grado di saperlo, perché spesso non siamo in grado di distinguere a registro
generale tra i numeri degli incidenti sul lavoro e gli altri tipi di lesioni
colpose. In quale altro settore accade? Ecco La magistratura è in queste
condizioni". Una situazione che si ripercuote sui procedimenti: "Mediamente
circa il 10% degli infortuni è perseguibile d'ufficio. Le Procure perseguono
appena un quarto di questo 10%.
Personalmente ritengo che ci vorrebbe un
gruppo di magistrati specializzati in ogni parte d'Italia, invece di correre
dietro alla Superprocura, come sento fare da alcuni". Appare necessario anche
migliorare l'interazione tra tutti i soggetti interessati per la gestione
delle notizie di reato che spesso sfuggono agli uffici giudiziari. "In
Toscana abbiamo inaugurato un apposito protocollo con tutti gli attori del
settore (percorso simile a quello seguito in Piemonte, non a caso le due
regioni più all'avanguardia su questo terreno ndr)".
Il DDL
Tofani
Tra chi invece sostiene l'istituzione di un ufficio
giudiziario centrale per questo tipo di reati c'è il senatore Tofani.
Un'ipotesi vagliata dalla Commissione d'inchiesta, che ha ascoltato tra gli
altri i Procuratori di Torino Guariniello e Caselli (per la loro esperienza
nel processo Thyssen, ritenuto una svolta fondamentale nella materia).
Superprocura a parte, il 21 novembre scorso, il senatore del Pdl ha
presentato un ddl per l'istituzione di un'agenzia Nazionale per la sicurezza
sul Lavoro: "Ci vuole un soggetto che abbia una missione specifica. Al
sistema manca un tassello. E noi lo l'abbiamo immaginato in quest'organo.
Pensiamo di trasformare il Coordinamento nazionale in un'agenzia con il
tandem dei ministeri e la rappresentanza delle regioni". Un tentativo che
sembra rientrare nell'ottica di riavvicinare al livello statale la competenza
sulla materia e di cui non sembra dispiaciuto il ministero del Lavoro. "Lo
sdoppiamento attuale fa sì che dobbiamo avere una serie di strutture di
coordinamento che a volte non funzionano al meglio" - spiega Giuseppe
Piegari, responsabile Coordinamento vigilanza tecnica del Ministero del
Lavoro, - "perché farle funzionare non è semplice. Per il ministero è molto
più facile coordinare i nostri ispettori.
Mentre il sistema delle regioni è
più difficile da governare: non abbiamo nemmeno una uniformità da un punto di
vista di nomenclatura". Insomma un'altra puntata della querelle tra Ministero
e Regioni.
Proroga nel silenzio
In tutto questo, è
passata, invece, sotto silenzio l'ennesima proroga, decisa nell'ultima Legge
di Stabilità (uno degli atti finali del Governo Monti), per
l'autocertificazione della valutazione dei rischi delle imprese che occupano
fino a 10 lavoratori. Una norma che doveva decadere in origine il 30 giugno
2012, successivamente il 31 dicembre 2012 ed è stata ora prolungata fino al
30 giugno 2013. Lo strumento, pensato per il tessuto sociale delle aziende
italiane (con il 95% che ha, appunto, meno di 10 dipendenti), era nato per
agevolare i datori di lavoro, consentendogli una procedura più snella per
autocertificare le prassi della propria impresa in materia di sicurezza. Il
risultato è stato però un altro. "Nella maggior parte dei casi, ci trovo
scritto: nel mio posto di lavoro ho valutato i rischi ed è tutto a posto",
spiega Di Nucci, "Spesso si compilano in maniera superficiale, con i
consulenti a cui ci si rivolge, che per alcune centinaia di euro, fanno al
massimo le fotocopie di lavori fatti in precedenza".
Un'anomalia che non può
essere sottovalutata, visto che si calcola che nel 2010 circa l'80% degli
infortuni mortali sia avvenuto proprio nelle aziende medio
piccole.
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/01/07/news/infortuni_controlli-49858270/
Nessun commento:
Posta un commento