Tornano i De
Gennaro boys. Il Viminale festeggia l’anniversario del G8
18 luglio
2017
Scade l’interdizione dai
pubblici uffici per alcuni poliziotti condannati dopo i fatti della Diaz
di Genova durante il G8 del 2001
di Checchino Antonini
Scadrà tra pochi giorni l’interdizione dai pubblici
uffici scattata con le pene inflitte cinque anni fa ad alcuni poliziotti
condannati dopo i fatti della scuola Diaz di Genova e la vicenda
dell’introduzione nell’edificio delle false molotov durante il G8 del 2001. La
notizia è stata anticipata da Secolo XIX e Repubblica a poche ore dall’inizio
delle iniziative per gli
anniversari di quel luglio. Alcuni sono già in età pensionabile, mentre altri
potranno essere reintegrati. Tra questi l’ex capo dello Sco Gilberto
Caldarozzi, l’ex dirigente della Digos genovese Spartaco Mortola e il
funzionario di polizia Pietro Troiani mentre Massimo Nucera, il poliziotto che
raccontò di aver ricevuto una coltellata, è già stato reintegrato. Scaduti i
cinque anni di interdizione anche per Filippo Ferri, il più giovane dei
dirigenti condannati, figlio dell’ex ministro e fratello del sottosegretario
alla giustizia, capo della squadra mobile di Firenze al momento in cui scattò
l’interdizione. Ferri ora è responsabile della sicurezza del Milan, non si sa
se mollerà l’incarico, ma è tornato sui giornali sia come angelo custode di
Balotelli sia, nel 2015, per essere stato scortato allo stadio del capoluogo
toscano da una pattuglia della locale Digos. Suo fratello Cosimo,
sottosegretario (berlusconiano) ininterrottamente da Letta a Gentiloni passando
per Renzi, è quello che in parlamento prova a togliere le castagne dal fuoco
alla penitenziaria quando ci sono interrogazioni su presunte violenze in
carcere.
Le condanne scattarono solo per il reato di falso,
relativo alla firma sotto al verbale in cui si dichiarava che all’interno della
scuola erano presenti alcune molotov, in realtà introdotte da alcuni agenti di
polizia. A sedici imputati sono state inflitte pene tra i 2 e i 14 anni, la
gran parte per 3 anni e 8 mesi. Vennero colpiti anche alcuni tra i massimi
dirigenti di allora finiti per un certo tempo ai domiciliari, come Francesco
Gratteri e Giovanni Luperi. Dei 16 condannati la metà ha potuto andare in
pensione, mentre per gli altri è concreta la possibilità di rientrare in
servizio. E’ lo strascico di tutte le strategie messe in atto dai piani
alti del Viminale durante e dopo l’immenso cumulo di crimini commessi da
centinaia di uomini in divisa nelle giornate del luglio del 2001. Con la
copertura del governo di centrodestra e dell’allora Ds, antenato del Pd, De
Gennaro e i suoi sono riusciti a sottrarre la maggior parte dei colpevoli
all’eventualità di un processo (erano travisati, mascherati come nei film
western all’assalto della diligenza), hanno ostacolato le inchieste come hanno lamentato
spesso i pm della Diaz e Bolzaneto, sono riusciti a dilatare i tempi dei
processi “inevitabili”. Insomma non solo hanno limitato i danni ma sono
riusciti a impedire che venissero messe in atto due-tre cose banali in una
democrazia avanzata: il codice alfanumerico (ma siamo impazziti? dicono, ci
volete marchiare come le bestie?!), una vera commissione d’inchiesta su quei
fatti che Amnesty definì come la più grave violazione dei diritti umani in
Occidente dopo la seconda guerra mondiale, una legge decente contro la tortura
incassando, anzi, una norma che pare suggerire modalità di supplizio tali da
non incappare nella definizione di tortura alla faccia della convenzione per i
diritti umani che l’Italia firmò quasi trent’anni fa. Di contro, la polizia ha
“solo” dovuto sacrificare un pezzo della catena di comando preparata da De
Gennaro per succedergli al Viminale. Da parte loro anche per i carabinieri il
bilancio post G8 è più che positivo: nessun processo pubblico per chi si accusò
di aver ucciso Carlo Giuliani, un’archiviazione che lasciò sconcertato il
popolo di Genova con l’invenzione del sasso che avrebbe deviato il proiettile e
tanti buchi neri che Giuliano Giuliani, il papà di Carlo, ha messo in fila in
un video che resta una pietra miliare. Per De Gennaro una brillante carriera da
manager di Stato dopo un passaggio alla guida delle barbe finte. Per le forze
dell’ordine il solito tran tran di opacità, abusi e cariche contro lavoratori,
studenti, attivisti sociali e migranti. «Non siamo sorpresi – dicono Lorenzo
Guadagnuccie Vittorio Agnoletto – semmai avviliti
per lo stato di salute della democrazia italiana. Il possibile rientro in
polizia di alcuni agenti e funzionari condannati per le violenze e i falsi
nella scuola Diaz, ci fa venire in mente due passaggi della sentenza con la
quale la Corte europea per i diritti umani ha condannato l’Italia nel 2015,
qualificando le operazioni di polizia alla scuola Diaz come un caso di tortura:
1) “Per quanto riguarda le misure disciplinari, la
Corte ha dichiarato più volte che, quando degli agenti dello Stato sono
imputati per reati che implicano dei maltrattamenti, è importante che siano
sospesi dalle loro funzioni durante l’istruzione o il processo e che, in caso
di condanna, ne siano rimossi”;
2) “La Corte si rammarica che la polizia italiana si
sia potuta rifiutare impunemente di fornire alle autorità competenti la
collaborazione necessaria all’identificazione degli agenti che potevano essere
coinvolti negli atti di tortura”».
Nel 2001 Agnoletto era portavoce del Genoa social
forum e Lorenzo Guadagnucci dormiva alla Diaz al momento dell’irruzione. Da
allora è attivo nel comitato Verità e giustizia per Genova. Insieme hanno
scritto “L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste del G8 2001 a Genova”. «La
rimozione da parte dei vertici della polizia degli agenti condannati non c’è
stata – continuano – infatti oggi è possibile il loro rientro in servizio, ma
non possiamo sorprenderci di questo, visto che stiamo parlando di un corpo di
polizia che si è “rifiutato impunemente” di collaborare con i magistrati.
Le ferita aperta col G8 di Genova è dunque ancora aperta e la notizia di oggi
non aiuta certo la polizia di stato a recuperare la credibilità perduta.
I responsabili politici di questa penosa condizione sono ben conosciuti:
portano i nomi e cognomi dei ministri degli Interni e dei capi di governo che
si sono succeduti dal 2001 a oggi. Lavorare in polizia ed in particolare in
ruoli dirigenti è cosa completamente diversa dal prestare la propria opera ad
un’azienda privata; significa lavorare per garantire il rispetto dei valori
previsti dalla Costituzione e dalle nostre leggi. Considerando che i dirigenti
di polizia condannati non hanno mai riconosciuto le proprie responsabilità e
chiesto pubblicamente scusa per i loro comportamenti e che diverse delle
condanne sono relative al reato di falso ci chiediamo come i cittadini possano
sentirsi tutelati nei loro diritti costituzionali da chi ha commesso tali reati
e non ha mai riconosciuto le proprie responsabilità». Che le ferite di Genova
siano tali solo nella società e non dentro caserme, carceri e commissariati, è
testimoniato da una pletora di fatti di cronaca nera che hanno punteggiato la
storia recente. È stato condannato, pochissimi giorni fa, a due anni e quattro
mesi Dario Pinchera, 31 anni, agente di polizia penitenziaria accusato di avere
picchiato a Marassi un detenuto e di avere mentito sulla vicenda. Pinchera è
accusato di falso, lesioni gravi e abuso di autorità. L’inchiesta, coordinata
dal pm Giuseppe Longo, era partita lo scorso anno dopo la denuncia dello stesso
detenuto, un genovese di 37 anni, che aveva raccontato di essere stato
aggredito e picchiato da un agente che aveva usato anche un manganello. Le
indagini avevano portato all’iscrizione nel registro degli indagati di altre 11
persone, tra agenti e medici che operano all’interno della casa circondariale
genovese. A finire nei guai anche la dottoressa Marilena Zaccardi, medico della
Asl genovese, già condannata per le torture alla caserma di Bolzaneto durante
il G8 del 2001 di Genova. Per i cinque medici, il pm ha chiesto e ottenuto
l’archiviazione mentre sono ancora indagati quattro agenti penitenziari (tra i
quali anche Massimo Di Bisceglie, comandante delle guardie di Marassi) a cui
sono contestati, a vario titolo, l’omessa denuncia, favoreggiamento e falso.
Pinchera in un primo momento raccontò che il detenuto si era fatto male
cadendo, poi di essere stato aggredito e di averlo colpito per quello. La
vittima disse anche di essere stato visitato dal personale medico ma che
nessuno denunciò l’accaduto. L’agente era stato arrestato nel 2007 a Cassino
perché aveva gambizzato due persone. I feriti erano due suoi amici che erano
stati sospettati insieme a Pinchera di avere lanciato un masso di 41 chili
sull’autostrada A1, in provincia di Frosinone, uccidendo una persona.
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