Riportiamo un
interessante articolo pubblicato ieri dal quotidiano ItaliaOggi, dal
titolo “La Francia è ancora coloniale”,
che analizza il dominio della Francia, appunto, su quei paesi africani che
facevano parte del suo impero coloniale, attraverso il controllo della moneta e
delle riserve d’oro. Spiega, inoltre, il perché della ferocia militare della
Francia in quei paesi che tiene di fatto in guerra permanente per avere sempre la scusa dell’intervento, e
quindi del controllo, militare per garantire spaventosi profitti ai propri
capitalisti. E perché ad ogni tentativo di quei
paesi di liberarsi dalla stretta mortale risponde con l’organizzazione e il sostegno di colpi di stato reazionari.
Rende evidente il grande inganno e l’estrema ipocrisia quando “piange” i morti francesi
causati da quegli stessi terroristi che arma e finanzia. Quante “generazioni
Bataclan” hanno visto quei paesi? La “visione del mondo” che parte dai paesi
imperialisti, e qui si ferma, con la creazione ad arte di una “opinione pubblica”
stordita, non permette una visione corretta, scientifica, proletaria dei
rapporti tra paesi e classi nel mondo.
Più in generale, questo
articolo, conferma anche il fatto che spesso l’indipendenza delle ex colonie
inglesi, francesi, spagnole, italiane… sia stata solo formale con la
trasformazione dei vecchi legami in nuovi legami fondamentalmente economici,
politici e militari.
(le sottolineature sono
nostre)
***
Ma quale euro? Il franco
esiste, in Africa e Pacifico. Lo gestisce Parigi, in barba alla Bce
La Francia è ancora
coloniale - Parigi detiene le riserve
auree di 14 stati africani
Quella che state per
leggere non dovrebbe essere una notizia. Perché è una cosa che accade da molto tempo, esattamente dal 6 dicembre 1945.
Cioè da quando la Francia ratificò gli accordi di Bretton Woods. Eppure lo è,
perché nonostante spieghi molte cose è un dato che le opinioni pubbliche del
mondo occidentale ignorano.
Veniamo al punto: 14 paesi africani ancora oggi hanno come
valuta il franco francese. Sì, avete capito bene: nonostante non esista
più, perché sostituita dall'euro, la moneta di questi 14 stati è il franco
francese, come ai tempi delle colonie. Di
più: a garantire agli stati africani la convertibilità con l'euro di questa
valuta non è la Banca centrale europea, no è il ministero del Tesoro francese.
Stupiti? Beh, adesso viene il meglio: almeno
il 65% delle riserve nazionali di questi 14 paesi sapete dove sono depositate?
Sempre presso il dicastero del Tesoro transalpino, che, proprio in tal
modo, si fa garante del cambio monetario. In
sostanza, la Francia ha a sua disposizione le riserve nazionali delle sue ex
colonie. Che, per essere sbloccate su richiesta dei legittimi proprietari,
necessitano del preventivo via libera di Parigi.
Spieghiamoci meglio: la
moneta di cui stiamo parlando è il cosiddetto franco Cfa. La sigla indica semplicemente il franco delle colonie
francesi africane (Colonies françaises d'Afrique). I 14 stati che lo utilizzano
si sono riuniti in due famiglie: l'Unione economica e monetaria dell'Africa
occidentale (Uemoa) e la Comunità economica e monetaria dell'Africa centrale
(Cemac). Della prima fanno parte: Benin,
Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo.
Della seconda: Camerun, Repubblica
Centrafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Ciad. Poi,
nell'Oceano indiano, le Isole Comore
(anche queste ex colonie francesi) utilizzano il franco Cfa, nell'ambito della
cosiddetta «zona franco» (franco-comorano).
"La scandalosa confessione: il ministro della difesa è ministro per l'Africa"
Il franco Cfa, però, non
è il solo figlio del fu franco francese. Questa
valuta ha un gemello: il franco Cfp,
che sta per Colonie francesi del
Pacifico (Colonies françaises du Pacifique). Si tratta di una moneta
utilizzata nei territori d'Oltremare: Polinesia
Francese, Wallis e Futuna, Nuova Caledonia. Inizialmente, il franco Cfp era
adottato anche nelle Nuove Ebridi, ma poi qui il franco si separò dal franco
Cfp e successivamente, nel 1982, fu sostituito dal vatu di Vanuatu. Si tratta
dell'unico caso di abbandono del franco Cfa-Cfp verificatosi in una ex colonia.
Ma tornando al franco francese africano, questi cambiò nome nel 1958, sdoppiandosi in
«franco della Comunità francese dell'Africa» per i paesi dell'Uemoa, e in «franco
della Cooperazione finanziaria dell'Africa Centrale» per il Cemac. La
differenza serve solo a marcare i due diversi istituti di emissione: per il
primo franco Cfa l'istituto centrale è il Bceao (Banco centrale degli stati
dell'Africa Occidentale), per il secondo franco Cfa l'istituto di emissione è
il Beac (Banco degli stati dell'Africa Centrale). Ah, le due valute non sono intercambiabili; non sia mai che nasca un mercato unico valutario in grado di fare massa
critica e mettere, così, in difficoltà il controllo di Parigi. I due
istituti centrali soggiacciono però a vincoli
identici, imposti dalle autorità francesi. E cioè: un tipo di cambio fissato alla divisa europea; piena convertibilità
delle valute con l'euro garantita dal Tesoro francese; fondo comune di
riserva di moneta estera a cui partecipano tutti i paesi del Cfa (con almeno il
65% delle posizioni depositate presso il Tesoro francese, garante del cambio
monetario); partecipazione delle
autorità francesi nella definizione della politica monetaria della zona Cfa.
Nel corso dei decenni, salvo in rari casi, il
franco Cfa ha sempre mantenuto la parità con il franco francese. Cosa che
diversi economisti hanno considerato sfavorevole per i paesi africani,
nonostante alcune svalutazioni.
Con l'avvento dell'euro,
il Franco Cfa non è scomparso, ma il suo valore è stato fissato alla valuta
europea (100 Cfa = 0,15 euro). Come detto, però, è sempre il Tesoro francese e non la Bce che continua a garantirne la
convertibilità. Come sia possibile tutto ciò ancora non è dato sapere.
Le
implicazioni geopolitiche. La prima cosa da notare
è che una simile dipendenza monetaria su
larga scala dall'ex colonizzatore è un unicum. Neanche la Gran Bretagna,
che pure ha sovranità monetaria e vanta ancora un cimelio dell'impero
britannico come il Commonwealth, vede la sua sterlina così gettonata nelle ex
colonie. Molte di esse sono liberamente uscite dal circuito della valuta di Sua
Maestà, preferendo altre strade. Il primo paese ad abbandonare Londra fu
l'Egitto nel 1947, l'ultimo Brunei nel 2001. Nel mezzo, altre 54 ex colonie
hanno mollato gli ormeggi.
La seconda cosa da notare
è che, di tanto in tanto, i governi
africani che hanno il franco Cfa come corso legale, avanzano a Parigi richieste
di recupero della loro integrale sovranità monetaria. L'ultimo della serie
è stato il Ciad, con una escalation impressionante. Il 4 marzo 2015, il ministro ciadiano delle
comunicazioni, Hassan Sylla Ben Bakari, diramò
un comunicato ufficiale in cui si affermò che il 40% delle armi confiscate
dall'esercito ciadiano impegnato nelle operazioni militari contro il gruppo
terroristico nigeriano Boko Haram era
di fabbricazione francese. L'accusa alla Francia di fornire direttamente
armi a Boko Haram venne smentita senza troppa convinzione dall'ambasciatore
francese. La cosa non finì lì. Ad agosto, il presidente ciadiano Idriss Déby
chiese l'uscita del suo paese dalla zona del franco Cfa entro il 2018, per poi
iniziare a battere moneta propria legata a tre circuiti finanziari
internazionali: dollaro Usa, euro e yuan cinese. Nello stesso mese, il governo di N'Djamena rifiutò apertamente di
ritrattare le accuse mosse a Parigi di fornitura d'armi a Boko Haram, snobbando
una richiesta ufficiale in tal senso mossa dall'Eliseo.
A motivare il gran
rifiuto dei ciadiani l'intercettazione in quegli stessi giorni, di tre sospette
forniture di armi a Boko Haram da parte dei servizi segreti francesi. A beccare
l'armamentario furono l'intelligence e le forze dell'ordine del Camerun. Di più: nel luglio precedente venne
intercettato un elicottero francese nel nord del Camerun, vicino alla frontiera
con la Nigeria. Aveva appena depositato al suolo armi, munizioni e molti
dollari; nei paraggi l'esercito camerunense scovò una colonna di Boko
Haram, che stava dirigendosi con ritardo nel luogo in cui erano stati
depositati armi e denaro. Non solo. Al
porto di Douala (sempre in Camerun), nei giorni precedenti, venne confiscato un
container di armi da guerra proveniente dalla Francia con destinazione Nigeria.
E sempre a Douala, due cittadini francesi furono arrestati dai reparti speciali
antiterrorismo camerunensi, dopo essere stati sorpresi con esplosivi ad alto
potenziale distruttivo.
L'Eliseo,
su queste notizie, ha risposto sempre con un secco no comment.
Peraltro, si tratta di news mai comparse
sulla stampa transalpina, nonostante le foto di uno dei due presunti agenti
arrestati fossero pubblicate sui media nazionali camerunensi e sul web. Sia come
sia, a ottobre 2015 (due mesi dopo il niet del Ciad alle scuse chieste da
Parigi e dopo la contestuale esternazione di voler uscire dal regime del franco
coloniale) Boko Haram ha attaccato per la prima volta un villaggio nel paese
centrafricano, causando dieci morti. Ma questa è solo una tendenziosa
coincidenza. Come, del resto, è una curiosa coincidenza che Boko Haram,
movimento radicale islamista recentemente affiliatosi al Daesh, sia un fenomeno
che colpisce solo le ex colonie francesi dotate di franco coloniale. Più la
potente e ricca Nigeria che ambisce al ruolo di player geopolitico nell'area.
Il
caso Costa d'Avorio. Non è dato sapere con certezza se
esista davvero una strategia coloniale. Quel che è possibile fare è mettere
assieme i pezzi del domino. Ci limitiamo a segnalare il primo tassello. La Costa d'Avorio fu colpita nel 2011 da
nuovi disordini, dopo le elezioni del 31 ottobre 2010, che videro vincitore
Alassane Ouattara (con il 54,10% dei voti), contro l'ex presidente Laurent
Gbagbo. Ma quest'ultimo non accettò il risultato e non lasciò la presidenza. La Francia intervenne su mandato Onu. In
una intervista alla rivista di geopolitica Limes, del 19 giugno 2014, Emmanuel
Altit avvocato difensore del deposto presidente Gbagbo presso la Corte penale
internazionale, spiegava come l'intervento
internazionale fu «fortemente voluto dalla Francia. I caschi blu e i parà
francesi attaccarono il palazzo presidenziale dove era asserragliato Gbagbo,
consegnando l'ormai ex presidente ai fedelissimi di Ouattara». Secondo
l'accusa dell'Aia, gli uomini di Gbagbo, per consentirgli di rimanere con ogni
mezzo al potere, avrebbero ucciso tra le 706 e le 1.059 persone e violentato
più di 35 donne, tra il novembre del 2008 e il maggio del 2011. Ma l'avvocato
dell'ex presidente ivoriano insisteva: «Laurent
Gbagbo è un prigioniero politico della Francia che, prima con Chirac e poi con
Sarkozy, ha fatto di tutto per rovesciare il suo governo e tutelare i propri
interessi economici. La vittoria di Ouattara ha riportato il paese indietro
di cinquant'anni, ai tempi dell'Unione francese. Gli interventi in Costa
d'Avorio, Mali, Repubblica Centrafricana sono la prova che la Françafrique è
tuttora viva e vegeta». E ancora: «Nei
paesi della regione i francesi tengono le redini dell'economia. Sono i primi
fornitori e primi clienti dello stato ivoriano, con 240 filiali e 600 società a
capitale francese in tutti i settori strategici. France télécom e Orange controllano le comunicazioni, Bnp Paribas e
Crédit lyonnaise le banche. La convertibilità della moneta è garantita
dal Tesoro francese. Bouygues ha il monopolio dell'acqua potabile e
dell'elettricità, oltreché forti interessi nell'edilizia. Bolloré ha sei sedi
in Costa d'Avorio e controlla tutti i trasporti e il porto di Abidjan. Prima
dell'arrivo di Gbagbo, France télécom controllava il 51% di Citelcom, la
compagnia telefonica ivoriana, e Orange era la più grande società di telefonia
cellulare in Costa d'Avorio; il gruppo Bolloré deteneva il 67% di Sitrail che
gestisce la ferrovia tra Abidjan e Ouagadougou, ed era in posizione quasi
monopolistica nel settore dei trasporti, del tabacco e in molti altri settori
strategici tra cui il petrolio, la nuova risorsa della Costa d'Avorio. Il presidente Gbagbo si oppose alle
ulteriori privatizzazioni colpendo gli interessi di Parigi».
ItaliaOggi 11/12/15
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