La crisi economica tocca tutti i paesi del mondo, chi più chi meno, dal 2008. Sono 8 anni adesso, più delle altre crisi del passato che portarono a loro volta a due guerre mondiali. Ma i capitalisti e i loro economisti/giornalisti non riescono a spiegarsi il perché di tutto questo, nonostante i “rimedi” adottati dai maggiori paesi del mondo: dagli Stati Uniti, all’Europa, al Giappone, alla Cina e cioè l’applicazione di quella che chiamano “politica monetaria”.
I dati ce li ricorda l’economista
che si dispera ed è costretto a dire inconsapevolmente tante “verità”, in un
articolo, che commentiamo, pubblicato il 6 dicembre scorso dal
titolo: “Liquidità record, investimenti al palo - Spesa -15% in sette anni nonostante nel mondo i gruppi industriali abbiano in cassa 4.400 miliardi”.
“Le banche centrali stampano denaro, i mercati finanziari vengono inondati
di liquidità, i tassi sono a zero in
mezzo mondo. La Bce ha appena
rincarato la dose. E le aziende sono
piene di soldi: la liquidità totale
nei bilanci dei gruppi industriali mondiali (stima Standard & Poor’s)
ammonta a 4.400 miliardi di dollari.” Eppure, continua il giornalista, “Eppure,
nonostante tale abbondanza di cash, sono scomparsi quelli che dovrebbero
essere i veri motori dell’economia: gli investimenti.”
E si lamenta: “Le aziende non investono,
gli Stati non investono. Mezzo mondo
non ha soldi e l’altra metà ne ha troppi: ma chi li ha, li usa col contagocce per creare business, lavoro, benessere sociale e prosperità collettiva.” Chissà dove avrà letto o visto che il capitalista pensa alla “prosperità collettiva”! e di quanto sono diminuiti questi investimenti? “I dati dell’Ocse parlano chiaro. Nell’area euro il Pil reale del 2008 è rimasto invariato (prima è sceso, poi ha un po’ recuperato), ma nello stesso periodo gli investimenti sono diminuiti quasi del 15%. Nell’intera Europa, stima Rbs, il calo è del 20%. In Giappone dal 2008 il Pil registra un lievissimo aumento, ma gli investimenti sono ancora negativi. Negli Stati Uniti il Pil è cresciuto del 10% circa, ma gli investimenti solo del 5% rispetto al 2008. Prima della crisi era invece il contrario: gli investimenti battevano sempre il Pil. Eppure le aziende oggi hanno una quantità di denaro record; in Europa (stima Moody’s) hanno 1.100 miliardi di dollari cash nei bilanci, il 40% in più del 2008. Negli Usa le oltre mille imprese censite sempre da Moody’s hanno 1.730 miliardi di dollari in cassa.” Quindi, le aziende e gli Stati i soldi contanti li hanno e in quantità impressionante!
non ha soldi e l’altra metà ne ha troppi: ma chi li ha, li usa col contagocce per creare business, lavoro, benessere sociale e prosperità collettiva.” Chissà dove avrà letto o visto che il capitalista pensa alla “prosperità collettiva”! e di quanto sono diminuiti questi investimenti? “I dati dell’Ocse parlano chiaro. Nell’area euro il Pil reale del 2008 è rimasto invariato (prima è sceso, poi ha un po’ recuperato), ma nello stesso periodo gli investimenti sono diminuiti quasi del 15%. Nell’intera Europa, stima Rbs, il calo è del 20%. In Giappone dal 2008 il Pil registra un lievissimo aumento, ma gli investimenti sono ancora negativi. Negli Stati Uniti il Pil è cresciuto del 10% circa, ma gli investimenti solo del 5% rispetto al 2008. Prima della crisi era invece il contrario: gli investimenti battevano sempre il Pil. Eppure le aziende oggi hanno una quantità di denaro record; in Europa (stima Moody’s) hanno 1.100 miliardi di dollari cash nei bilanci, il 40% in più del 2008. Negli Usa le oltre mille imprese censite sempre da Moody’s hanno 1.730 miliardi di dollari in cassa.” Quindi, le aziende e gli Stati i soldi contanti li hanno e in quantità impressionante!
E qui comincia la domanda cruciale: “Perché dunque chi ha soldi non li usa?”
si chiede il giornalista/economista, pensando che tutto ciò non sia logico.
Ma la “logica” del Capitale è proprio
questa, risponde Marx, perché “La vita dell’industria diventa quindi
una serie di periodi di vitalità media, di prosperità, di sovrapproduzione, di
crisi e stagnazione.” (vedi Formazione Operaia del 3 dicembre dove ci sono le
risposte anche alle altre domande che si fa il giornalista! Perché diminuiscono
i profitti; cosa succede agli operai quando vengono sostituiti dai robot, cioè
dalle macchine; il calo della “domanda” perché “calano” i salari delle “famiglie”;
il conseguente aumento della disoccupazione ecc. ecc., ma soprattutto quello
che il giornalista, e con lui i padroni e i governi pieni di soldi, non “capiscono”
è che tutto questo è dovuto all’USO CAPITALISTICO DELLE MACCHINE).
Oggi questa
fase della crisi/stagnazione sta durando moltissimo, ed è così profonda e
strutturale che alcuni economisti parlano di “stagnazione secolare”!
Mentre il giornalista/economista
si sforza di capire: “Visto dal punto di
vista europeo può sembrare ovvio: in
un clima tale di incertezza, [quale incertezza? politica, economica? sociale?
- ndr] è comprensibile che gli investimenti non decollino. Ma se si guardano
gli Stati Uniti, dove l’economia galoppa, non è così ovvio. La domanda dunque resta: perché? I motivi
sono molti, alcuni strutturali altri congiunturali” e ne elenca almeno tre: “gli esigui ritorni attesi dagli investimenti,
la mancanza di domanda, ma anche il cambio epocale dell’economia, che diventa digitale.” Spieghiamo. I
motivi per cui i padroni e i governi
pieni di soldi non spendono in investimenti, cioè non ammodernano e non fanno la manutenzione delle fabbriche, non ne
aprono di nuove, non fanno la manutenzione delle strade, ponti ecc. ecc., non
costruiscono insomma nuove infrastrutture, sta nel fatto che il profitto
che se ne può ricavare non è abbastanza per ripagarli dai soldi investiti,
primo punto. Secondo: non ci sono
abbastanza persone che possono comprare ciò che si produce, sia beni che
servizi, e terzo, sta cambiando tutta
l’economia dato che i computer stanno invadendo tutto il campo della
produzione.
Prima di continuare nella
risposta il giornalista ci ricorda “una regola generale: in un’economia di mercato [cioè nel sistema capitalistico – ndr] i
soldi vanno dove ci sono le maggiori opportunità di profitto.” E questa sembra
la scoperta dell’acqua! “Ed è
evidente che oggi, nell’era del quantitative
esasing, le maggiori opportunità non
si trovano nell’economia reale.” Cioè, siccome oggi le banche centrali danno
molti soldi “gratis”, allora non conviene investire in cose difficili come le
fabbriche o altri tipi di produzione che potrebbero dare profitti nel tempo, ma
conviene giocarseli in Borsa per avere profitti subito.
A questo proposito abbiamo
già detto del modo particolare che gli economisti hanno quando parlano di
economia, per esempio, chiamano “reale” quell’economia, appunto, fatta di fabbriche e produzione industriale in
generale; e quale sarebbe l’altra economia, quella “virtuale”? I
capitalisti, l’altra, la chiamano economia
finanziaria. E proprio questa è diventata il loro maggior problema! Il “quantitative easing”, infatti, e cioè
il fatto che le banche centrali stampano
denaro che “prestano” alle banche che a loro volta dovrebbero prestarlo alle
aziende e alle famiglie (per investire e comprare) per “far ripartire
l’economia”, non funziona! Non si vedono né investimenti né nuovi posti di
lavoro! E proprio per questo il giornalista continua a cercare di spiegare
dando la colpa alla Borsa e ai manager: “Wall Street batte l’economia”, dice.
“Tra i motivi per cui le
imprese investono poco, soprattutto negli stati Uniti, [ma non aveva detto che
negli USA l’economia galoppava? - ndr] c’è il fatto che i manager sono incentivati a fare altro: cioè a tenere elevati i
valori dei propri titoli in Borsa e gratificare gli azionisti.” Quindi, adesso
la colpa ricade sui manager! Vediamo: “È per questo che negli Usa vanno così di
moda i dividendi [cioè i profitti che si distribuiscono i possessori di azioni,
obbligazioni ecc.] e i buy-back (cioè l’acquisto di azioni proprie da parte
delle stesse società): si tratta infatti di due modi per “coccolare” Wall
Street e per auto-pompare i prezzi delle
azioni. E, con essi, bonus e compensi dei manager stessi.” E questo è un
fenomeno assolutamente vero, tanto che i “manager” (quelli che rimangono a
piede libero perché tanti finiscono in galera per truffe varie) sia quelli che
gestiscono direttamente i soldi, sia quelli alla Marchionne che gestiscono
aziende, dopo un periodo si arricchiscono e
diventano a loro volta padroni! Ma ciò non basta, non è certo l’avidità dei manager che può spiegare la crisi mondiale!
Il giornalista continua, quindi, illustrando questo fenomeno che diventa
colossale: “La somma di buy-back e dividendi tra le aziende di Wall Street è
passata da 507 miliardi di dollari del
2005 a 934 del 2014, secondo
S&P e CapitalIQ. E quest’anno si
stima che le aziende supereranno i mille miliardi per la prima volta nella
storia. Questo significa che le
aziende daranno mille miliardi ai mercati finanziari, togliendoli all’economia reale.”
Ecco chi impedirebbe la ripartenza dell’economia! “Così, se negli anni ’70 le
aziende americane investivano nell’economia
15 volete più dei dividenti che distribuivano a Wall Street, ora – calcola l’Economist – il multiplo è inferiore a due. In Europa il
fenomeno è meno eclatante, ma comunque – secondo un indice di Henderson Global Investment
– dal 2009 i soli dividendi sono
cresciuti dell’11,2 per cento.”
“Questa è un’attività che piace molto ai manager.” Si lamenta il
giornalista, che torna con pazienza al modo di funzionamento del capitalismo,
che non “funziona” più: “I tradizionali
investimenti nell’economia reale invece li appagano sempre meno, perché
il loro ritorno atteso è sempre più esiguo.” E secondo quello che insegnano
nelle scuole dove ha studiato l’economista: “Prima di varare un investimento, un’impresa deve infatti stimare quanto
pensa di guadagnarci e paragonare il ritorno atteso al costo per conseguirlo.
Ebbene: dato che il costo del capitale è
elevato e i ritorni attesi dagli investimenti sempre più risicati in
un’economia globale che zoppica, molte
aziende preferiscono stare ferme. Per dirla in parole povere: investire nell’economia reale conviene
sempre meno.”
E così arriviamo all’ultimo
motivo: “L’impatto del digitale. Secondo
una lunga analisi effettuata dall’Ocse,
ci sono anche motivi strutturali per cui
gli investimenti globalmente non crescono. Il più importante è legato al
fatto che l’economia sta passando da un
modello industriale a uno digitale e legato ai servizi.” Qui dobbiamo dire
che da un lato si tratta di roba vecchia: nei decenni trascorsi quantità
“industriali” di professoroni e politici interessati provavano a convincerci
che l’industria non conta più (e con essa gli operai), che siamo oramai nella “civiltà post-industriale”! proprio
negli anni in cui scoppiavano le “fabbriche del mondo”, la Cina innanzi tutto e
poi anche l’India! “Ebbene” continua lo scribacchino, il passaggio dall’industria
al digitale “richiede minori
investimenti. È intuitivo: se per creare una fabbrica vecchia maniera
servono tanti soldi, per inventare un’App ne occorrono molti meno. Calcola l’Ocse che il settore dei servizi
necessita dell’11% di investimenti in meno (sul valore aggiunto lordo) rispetto al settore industriale. Questo
potrebbe abbassare strutturalmente
l’ammontare di investimenti, senza
però necessariamente frenare l’economia. Ma il fenomeno resta del tutto
inesplorato.” Così “Come resta da capire
l’impatto della robotica e del digitale sul lavoro umano. Calcola Morgan Stanley
che in 10-20 anni il 50% delle
professioni oggi conosciute sia destinato a sparire: chi lavora negli
uffici crediti, alle reception o nel settore para-legale ha serie probabilità
di essere presto o tardi sostituito da un robot. È vero che l’economia digitale crea nuova occupazione, ma
probabilmente meno di quella che distrugge e a minori salari. Questo ha un
effetto su un’altra variabile che sta frenando gli investimenti: i consumi delle famiglie.”
Dunque, finalmente si
dice che la disoccupazione e i minori salari incidono sui “consumi delle
famiglie”. “Alti debiti, bassi redditi” dice, infatti, il giornalista che
avrebbe dovuto aggiungere: insieme ad
alti profitti e ulteriore arricchimento dei padroni.
“Molteplici ricerche
imputano infatti la gelata degli
investimenti alla bassa domanda da parte dei consumatori e all’elevato debito di imprese e Stati. La crisi del mercato del lavoro [vuole
dire: i tanti licenziamenti e il conseguente aumento esponenziale della
disoccupazione - ndr] ha infatti
lasciato le famiglie con minori redditi disponibili: questo frena i consumi
e dunque la voglia delle imprese di
investire. [non è proprio la “voglia” che manca ai padroni, come lui stesso
ha detto prima, ma l’impossibilità di fare gli stessi profitti di prima - ndr].
Molte famiglie in alcuni Paesi sono poi ancora molto indebitate”, scrive
l’Ocse. Questo impone austerità e frena ulteriormente i consumi.” E infatti, “Pesano
poi i debiti delle imprese, [che però hanno
in cassa 4.400 miliardi di dollari in contanti, perché mai non pagano i debiti? - ndr] che in certe parti del mondo
stanno calando (questo è positivo) ma in altri no. Per esempio in Italia, dove
il rapporto tra debito e capitale secondo l’Ocse è passato da 0,88 del 2008 a
1,20 attuale. Morale: in un contesto di continua incertezza, le aziende tirano
il freno degli investimenti.” A queste “difficoltà” delle imprese ci stanno
pensando in tutti i modi i governi con i loro “aiutini”, in Italia Renzi ne è
un esempio illuminante.
Alla fine il giornalista
azzarda anche una soluzione. Eccola: “La soluzione andrebbe cercata negli investimenti pubblici, che potrebbero trainare la ripresa
economica.” Primo, questo è proprio quello che stanno facendo gli Stati Uniti
e la Cina, per questo la loro economia ha qualche percentuale in più di
crescita, e anche questa è una soluzione “vecchia” e si chiama keynesismo, cioè,
appunto, spesa pubblica pur di far “ripartire l’economia”; secondo, Il
giornalista non si accorge probabilmente che con questa frase ha dichiarato fallito il sistema
capitalistico che non riesce ad andare
avanti da “solo” ma ha bisogno dell’aiuto dello Stato! “Ma”, a questo
proposito, dice il pennivendolo, anche gli Stati sono “super-indebitati e obbligati
a mettere a posto i bilanci [e] non è facile farlo.” Ma con chi sono super-indebitati gli Stati? Alla fine il nostro
giornalista conclude in modo molto pessimista: “I Paesi Ocse hanno ridotto gli investimenti
pubblici dello 0,6% rispetto al Pil tra il 2010 e il 2013. L’austerità ha
prodotto anche questo. L’Europa prova ora a rilanciarsi con il piano Juncker,
ma le sarà difficile riempire tutto quel
-15% di investimenti scavato dal 2008 ad oggi.”
Per concludere: come
abbiamo accennato all’inizio, davanti a questa crisi, i governi tentano di
risolvere il problema ancora una volta con la “politica monetaria”, e cioè
immettendo più denaro nel circuito economico. Ma proprio come ci ha spiegato l’economista,
e come ci ha spiegato man mano il compagno Marx nella Formazione Operaia, non è il denaro che manca... Il “problema”
è proprio il modo di produzione del sistema capitalistico, e per “risolverlo”
bisogna rovesciare il sistema stesso.
P.S.: Sia detto di passaggio:
questo articolo, che conferma lo stato di crisi mondiale dell’economia, manda
all’aria ancora una volta l’“ottimismo” forzato di Renzi e compagnia sulla “ripresa
dell’economia italiana”!
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