Lodi, scorie
tossiche non trattate sparse fra Lombardia e Piemonte
di Carlo
D'Elia
Lodi, 15 febbraio 2015 - Cinque imprenditori
lombardi, secondo gli inquirenti legati a famiglie calabresi vicine alla
’ndrangheta, sono stati condannati dal Tribunale di Milano con
l’accusa di traffico illecito di rifiuti. Si tratta di circa 8mila
tonnellate di rifiuti speciali provenienti da cantieri edili di Milano
ed hinterland, formalmente destinati al recupero presso impianti
specializzati, ma in realtà conferiti senza subire alcun trattamento nelle cave
di Romentino, a pochi chilometri da Novara, San Rocco al Porto,
nel Lodigiano e San Donato Milanese, in località cascina Tecchione. Il Tribunale
di Milano ha condannato Orlando Liati, titolare della ditta di
autotrasporti “Elle Elle” di Binasco, a 3 anni e 6 mesi di reclusione,
insieme al socio, Stefano Lazzari, condannato a 2 anni e 8 mesi, Antonio
e Angelo Carpineto, titolari della società Carpineto Costruzioni srl,
gestore di un impianto di trattamento dei rifiuti a Pieve Emanuele, nel
Milanese, rispettivamente a 2 anni e 6 mesi e 3 anni di reclusione, e
Diego Spinelli, titolare della ditta di smaltimento Eco Fly srl, condannato
a 3 anni di reclusione. Un giro d’affari milionario quello finito sotto
la lente dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico e del Comando
provinciale di Milano. Le indagini erano durate oltre due anni, tra il 2008
e il 2010. Intercettazioni telefoniche e appostamenti avevano dimostrato lo
stretto rapporto tra l’imprenditoria locale e alcuni appartenenti a famiglie
calabresi legate alla ’ndrangheta. Per falsificare la classificazione del
rifiuto, veniva utilizzato il sistema del cosiddetto “giro bolla”. In
questo modo gli imputati riuscivano a smaltire illecitamente tonnellate di
materiale in due cave dislocate in provincia di Lodi e di Novara. Gli
accertamenti effettuati avevano consentito, inoltre, di denunciare una
ventina tra autisti e padroncini, la cui presenza all’interno delle aziende
degli imputati, secondo gli inquirenti, sarebbe stata imposta dalle cosche. Il
meccanismo utilizzato per il reato era simile ad altri adoperati in casi
analoghi: Stefano Lazzari e Orlando Liati, titolari della ditta di autotrasporti
“Elle Elle”, si aggiudicavano i subappalti per lo smaltimento dei rifiuti di
importanti cantieri come quello del Carrefour di Assago e in accordo con
i titolari degli impianti di San Rocco al Porto e Romentino, facevano
figurare sui documenti operazioni di trattamento che in realtà non erano mai
avvenute. Gli automezzi della “Elle Elle”, affidati a “padroncini” di
origine calabrese in contatto con le cosche, avrebbero scaricato nelle cave
migliaia di tonnellate di rifiuti non stoccati, assicurando profitti
illeciti giunti a sfiorare il milione di euro.
DI SEGUITO UN ARTICOLO DEL FATTO DI ALCUNI GIORNI Fà
Mafia, indagato il delegato
per la legalità di Confindustria Antonello Montante
Il simbolo della svolta anti racket di viale
dell'Astronomia coinvolto in un'inchiesta della procura di Caltanissetta. Agli
atti le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia tra cui Salvatore Dario
Di Francesco, mafioso di Serradifalco e compare del boss Vincenzo Arnone.
È il leader della riscossa degli imprenditori
siciliani, della legalità e dell’antimafia targata Confindustria.
Solo che adesso è coinvolto in un’inchiesta per fatti di mafia della
procura di Caltanissetta. Un’indagine top secret e delicatissima quella
su Antonello Montante, cinquantaduenne presidente di Confindustria
Sicilia, delegato nazionale per la legalità di viale dell’Astronomia,
appena designato dal governo nazionale come componente dell’Agenzia dei beni
confiscati, che gestisce le proprietà immobiliari confiscati ai boss di
Cosa Nostra. Secondo quanto rivela Repubblica, agli atti dei
magistrati ci sono le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Primo
tra tutti il neo pentito Salvatore Dario Di Francesco, mafioso di
Serradifalco, lo stessa città d’origine di Montante, in provincia di
Caltanissetta. Di Francesco è un ex dipendente del consorzio Asi, l’area di
sviluppo industriale, e per gli inquirenti è il “collante tra gli esponenti di
Cosa Nostra e i colletti bianchi della provincia”: ai pm ha raccontato i
retroscena degli appalti pilotati nella zona. Di Francesco è compare di Vincenzo
Arnone, boss di Serradifalco, figlio di Paolino Arnone,
storico
padrino, morto suicida nel carcere Malaspina di Caltanissetta nel 1992.
Vincenzo Arnone è a sua volte testimone di nozze di Montante: un legame
diventato pubblico già lo scorso anno, quando la rivista I Siciliani Giovani
(diretta da Riccardo Orioles, ex “caruso” di Pippo Fava) pubblicò
una foto che ritraeva Arnone con Montante, nella sede dell’Associazione
Industriali di Caltanissetta, negli anni ottanta. Ma non solo: in
quell’occasione la rivista pubblicò anche il certificato di matrimonio
dell’allora giovanissimo imprenditore, che si sposò ad appena diciassette anni
e tra i quattro testimoni di nozze scelse proprio Arnone. Legami di paese,
contatti lontani nel tempo, in una cittadina di appena seimila abitanti, dalla
quale parte la scalata imprenditoriale dei Montante, attivi già dagli anni
venti con una fabbrica di biciclette. Un marchio storico rilanciato da
Antonello Montante, che è anche fondatore della Mediterr Shock Absorbers
(Msa), un’azienda di ammortizzatori per veicoli industriali con sedi
in tutto il mondo. Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi anche in
Confindustria: e nel 2008 è tra i leader degli industriali che lanciano la “rivoluzione
antimafia” delle imprese siciliane. Un nuovo corso, con Confindustria che si
dota di un codice etico antimafia, che promuove le denunce contro il racket e
emargina alcuni suoi ex componenti considerati vicini ai clan: primo tra tutti
Pietro Di Vincenzo, oggi condannato in via definitiva a nove anni per estorsione.
La svolta antimafia di Confindustria non si ferma al codice etico o alle decine
di denunce di “pizzo”: gli industriali s’impegnano direttamente politica, dove
sono fondamentali per l’elezione di Rosario Crocetta a governatore della
Regione Siciliana. Un passaggio che molti iniziano a definire come la
“rivoluzione antimafia” di un’isola capace in poco tempo di vedere due ex
governatori inquisiti con l’accusa infamante di aver favorito Cosa Nostra: Totò
Cuffaro è detenuto dal 2011 dopo essere stato condannato in via definitiva
a sette anni, mentre il suo successore Raffaele Lombardo ha rimediato
una condanna in primo grado a sei anni e otto mesi per concorso esterno. Dopo
la rivoluzione di Confindustria, partita da Caltanissetta, e l’elezione di
Crocetta a Palazzo d’Orleans, una sola è la parola che più di tutte viene
pronunciata nei palazzi del potere siciliano: antimafia. Una parola magica,
capace di aprire porte, di segnare carriere, ma anche di stroncarle.
L’inchiesta della procura di Caltanissetta è ancora in fase embrionale: se sia
solo il tentativo di “mascariamento” di un pentito, o se agli atti dei
pm ci sia qualcosa di più è ancora presto per dirlo. Di certo al momento è
delicato il ruolo di Montante: un paladino dell’antimafia, che vede il suo nome
accostato ad un’indagine per mafia. Soltanto l’ennesimo paradosso in una terra
che ha una storia segnata dalle contraddizioni
Twitter: @pipitone87
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