venerdì 20 dicembre 2013

pc 20 Dicembre - LELE RIZZO E LA FIERA DELLE SCIOCCHEZZE

Un commento critico all’intervista «In piazza con i nuovi proletari: altro linguaggio, stessi problemi» a Lele Rizzo, noto esponente del Centro Sociale Askatasuna di Torino, apparsa sul quotidiano “Il Manifesto” lo scorso 11/12/13. Il corsivo è nostro.

Com’è nata l’idea di partecipare, anche in qualità di «osservatori», alle manifestazioni che in questi giorni paralizzano Torino?

Siamo stati alle assemblee prima del 9 dicembre, per capire cosa stesse succedendo. Ci siamo detti: «Andiamo a vedere». Avevamo intuito che il ritratto fosse ben più articolato rispetto a quello diffuso dai media.

Infatti i media hanno costruito ad arte un quadro per niente aderente alla realtà ma non nel senso che dice Lele Rizzo, al contrario ingigantendo un fenomeno pressocchè inesistente sul territorio nazionale eccetto i due focolai di Torino e Barletta, seminando confusione e  attribuendo ad esempio mobilitazioni e blocchi ferroviari di lavoratori e studenti ai fantomatici “forconi” come successo a Roma.

E scendendo in strada ne abbiamo avuto conferma. Siamo di fronte a una nuova forma di proletarizzazione della società.

Come usare le categorie scientifiche marxiane a capocchia: si confondono i settori sociali scesi in piazza che sono principalmente piccoli padroncini di piccole aziende “il popolo delle partite iva” come li chiama Lele Rizzo che appartengono ad una classe ben distinta: la piccola borghesia, ovvero quella classe i cui appartenenti non vivono di lavoro salariato ma detengono un piccolo capitale. Ultimamente l’area politica di riferimento di Lele Rizzo tende a revisionare questa categoria marxiana e al posto di piccola borghesia parla di “nuovo proletariato”. Il proletariato in Italia e nel mondo è sempre lo stesso, chi vende la propria forza lavoro al padrone in cambio di un salario, ne consegue che la base sociale dei cosiddetti forconi, altro che nuovi proletari, è ceto medio e piccola borghesia impoverita ma ancora piccola borghesia è! Compreso il proprio punto di vista, istanze e aspirazioni di classe ovvero mantenere quei privilegi temporaneamente concessi dal capitale per potersi permettere per l’appunto di vivere non di lavoro salariato con l’aspirazione di intraprendere la scalata sociale verso il ceto medio, aspirazione “tradita” in tempo di crisi i cui costi in primis vengono scaricati sulla classe operaia e sul proletariato tutto, secondariamente e in parte anche sulla piccola borghesia.

In piazza c’è di tutto, dai mercatari agli studenti, certo anche elementi poco chiari.

Come dicevamo Torino è stato un caso particolare e nella massa scesa in piazza è vero che vi erano anche studenti, ciò che Lele Rizzo sottace sono due elementi importanti: il primo è che una parte degli studenti scesi in piazza sono proprio quelli legati al centro sociale di cui Lele Rizzo fa parte. Secondo che nel resto d’Italia tutti gli studenti organizzati hanno preso le distanze dai forconi in maniera netta e chiara, da Milano a Roma. Si potrà obiettare che questo è avvenuto pochi giorni dopo questa intervista, basti dire che Lele Rizzo e infoaut, l’organo stampa web della sua area politica di riferimento, non si sono accorti di queste decine di migliaia di studenti che con la parola d’ordine “Ne maroni Ne Forconi” a Milano e con slogan simili alla Sapienza di Roma si sono scontrati con le stesse forze di polizia che davanti ai “forconi”si sfilano il casco. Infine, quali sarebbero questi “elementi poco chiari”? Ciò che i nostri “osservatori” strumentalmente non vogliono vedere e chiamare con il loro nome: gruppetti neofascisti, piccoli imprenditori e sottoproletariato egemonizzato dalla direzione reazionaria di questo “movimento”.

Li accomuna un odio indistinto verso la classe politica, i sindacati e le istituzioni. Un’analogia rispetto a rivolte in altre città europee, vedi le banlieue parigine.

Qui il nostro Lele tocca veramente il fondo. Si parla genericamente di “odio” senza entrare nel merito se esso è mosso da “destra” o da “sinistra”. I “forconi” odiano la classe politica borghese perché prima li ha foraggiati come classe come dicevamo più su, adesso si è ripresa  alcuni privilegi concessi precedentemente; i “forconi” odiano i sindacati. Quali sindacati? Quelli confederali venduti al padrone? No odiano l’idea stessa di sindacato come organizzazione a tutela dei diritti dei lavoratori quindi tutti i sindacati compresi quelli di base anzi essendo piccoli padroncini che finora hanno condotto una vita relativamente agiata sulle spalle dei propri lavoratori salariati l’odio verso l’idea del sindacato di classe a difesa dei lavoratori salariati è sicuramente più accentuato in questi soggetti. I “forconi” odiano le istituzioni, questo è da vedere, le istituzioni che nell’interesse della borghesia imperialista colpisce la piccola borghesia sicuramente, sempre per gli stessi motivi di cui sopra, istituzioni come la polizia sicuramente no, anzi la feccia che in maniere diverse è mantenuta dal capitale assumendo un ruolo parassitario sia esso piccola borghesia sia essa mercenario al servizio del capitale al proprio interno si riconosce.
Cosa che i compagni di Askatusana guidati dall’ideologia del “movimento per il movimento” come fine a se stesso (il movimento è tutto il fine è nulla) a forza di muoversi continuamente non hanno il tempo di fermarsi un attimo e riflettere anche su queste banalità. Ma il meglio deve ancora venire!
Addirittura si tirano in ballo le banlieues parigine! Ovvero i quartieri proletari periferici di Parigi spesso teatro di rivolte scoppiate contro i soprusi della polizia e che successivamente rappresentano le istanze di tutto il proletariato francese con tutte le sue contraddizioni, e in alcuni casi come ad esempio nel 2006, si sono estese ai quartieri proletari di molti paesi europei avendo come obiettivo lo stato e le sue istituzioni. Lele Rizzo è mai stato in una banlieue parigina? Da quello che dice si direbbe di no. Andasse a fare l’osservatore li e ci dicesse del “popolo della partita iva” banliesarde e dei “nuovi proletari”; non ne troverebbe neanche uno. Noi ci siamo stati durante la rivolta del 2006 e invece abbiamo visto tanti proletari, in particolare giovani ribelli che a differenza dei “forconi” non hanno da difendere alcun piccolo privilegio sottratto perché non hanno mai avuto nulla, e per questo quando lottano vogliono veramente tutto (non solo case e reddito) e per questo colpiscono al cuore lo stato che è stato costretto com’è noto a riesumare una vecchia legge del periodo coloniale applicata in Algeria per proclamare lo stato d’assedio a Parigi e dare più poteri alle forze repressive compreso l’esercito durante i giorni della rivolta! Se non si capiscono queste cose non c’è da stupirsi sul fatto che durante quella rivolta alcuni compagni italiani “in movimento” andavano nelle banlieues con lo spirito da "turista rivoluzionario" e sono stati letteralmente buttati fuori da quei quartieri a calci in culo. Noi siamo anche andati, di certo non per “osservare” ma per “fare” e siamo stati accolti e anche bene.

Perché Torino è diventata la capitale dei «forconi»?

Perché non c’era stata ancora una vera reazione alla crisi fortissima che ha colpito la città. Da tempo va tutto a rotoli, le fabbriche sono un ricordo e i servizi sociali sono decimati. 

Due righe di risposta espresse candidamente sul fatto che nella riorganizzazione mondiale del capitale la borghesia imperialista italiana per fare più profitto colpisce due volte il proletariato: chiudendo le fabbriche qui e aprendole in paesi dove estrae più plusvalore alla classe operaia. Ma già abbiamo capito che il “vecchio proletariato” non è importante, adesso c’è il “nuovo”…

Come Askatasuna avete detto che volete «starci dentro e provare a invertire la rotta». Non è, forse, troppo ambizioso?

I percorsi si iniziano con ambizione, l’alternativa era stare a casa a dire che sono solo fascisti. Il nostro tentativo è capire e costruire rapporti con un pezzo di società in lotta.  

Invece i compagni hanno pensato bene di ingrossare le file di un movimento reazionario con “l’ambizione” (leggi velleità) di trasformarne la natura. Consigliamo a Lele Rizzo di leggere nella rubrica “storia di classe” di Infoaut il post in merito alla rivolta di Reggio Calabria dato che i compagni stessi fanno spesso questo parallelismo tra quella rivolta e gli attuali forconi. Come al solito il troppo “movimento” fa perdere di vista alcuni “piccoli particolari”: a Reggio Calabria intervenne un’organizzazione rivoluzionaria come Lotta Continua e non solo per un totale di centomila militanti rivoluzionari e, cosa più importante, intervenne direttamente la classe operaia con migliaia metalmeccanici, tentando di arginare la direzione reazionaria di quella rivolta e prenderne la testa riorientandola su posizioni classiste e rivoluzionarie. Ci sembra che il parallelismo non regga…

Da antifascisti, senza nessun rapporto con qualsiasi rigurgito fascista. A Torino, comunque, la presenza neofascista, come da tradizione, è risicata rispetto altrove. 

Il problema non sono i gruppuscoli come casapound e forza nuova sono proprio le masse che vi partecipano che sono reazionarie nello humus e “fasciste” per le istanze che incarnano.

La vostra posizione ha sollevato discussione. Una delle critiche è: come si fa a stare in una piazza dove emergono lampanti contenuti di destra e populisti?

Siamo rimasti alla larga da ogni situazione ambigua. È difficile starci, ma vogliamo affrontare questa realtà. La nostra allergia verso il tricolore e il continuo grido «Italia, Italia» non è debellata. Avremmo preferito pratiche diverse rispetto alle minacce ai commercianti. Sarebbe stato meglio colpire la grande distribuzione.

Qui la propria visione ideologica del mondo dettata dalla propria analisi è più forte della realtà. Si fa finta di non vedere che la massa è reazionaria, che in quella massa fianco a fianco agli “osservatori”ci sono i fascisti. “Avremmo preferito…” ma pazienza! L’importante è esserci sempre e comunque, d’altronde il movimento è tutto e il fine è nulla.

Come vi ponete rispetto alla polemica sui caschi tolti dai poliziotti?

Non so se ci sia connivenza o meno.

Della serie “o ci sei o ci fai”.

Certo, tolgono il casco per allentare la tensione, se di fronte non vedono un pericolo. 

Ma come? Prima si equiparano i forconi niente poco di meno che alle rivolte proletarie delle banlieues parigine e adesso, finalmente, si ammette che la polizia (quell’apparato repressivo dello stato che ne difende gli interessi) non vede alcun pericolo!

Ed è vero che manifestanti e agenti hanno spesso un linguaggio comune. 

Certo, come dicevamo prima appartengono alla stessa classe.


Il movimento No Tav è, invece, da subito visto come un nemico. La differenza è quella. 

Chissà perché!

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