sabato 18 aprile 2020

pc 18 aprile - Coronavirus: disastro Piemonte, una nave in tempesta con i comandanti sottocoperta - Un contributo


Enzo Pellegrin
16.4.2020
Persino la stampa mainstream non può più nascondere la situazione grave dell’epidemia in Piemonte.
Piemonte, malato d’Italia”, è la titolistica più frequente. I dati conferiscono alla regione subalpina il secondo posto nazionale per numero di contagi. Secondo i dati diffusi dalla protezione civile nazionale il 16 aprile ci sono 13783 persone positive, mentre in Emilia Romagna ci si ferma a 13663. Nel bollettino diffuso dall'Unità di crisi si annuncia che sono 19mila e 261 persone finora risultate positive al “Covid-19” in Piemonte, più 815 complessivi rispetto a mercoledì. La provincia di Torino registra un escalation di contagi dall'inizio dell'emergenza, 420 in un solo giorno, mentre non calano di giorno in giorno le persone decedute, portando alla funesta cifra di 2146. “Il 60 per cento dei casi sono riscontrati nelle case di riposo dove sono state segnalate forti criticità e presenza di pazienti sintomatici, mentre il restante 40 per cento riguarda il resto della popolazione piemontese” precisano sempre dall'Unità di Crisi.
Ciò che è differente dal resto della nazione è proprio la curva dei casi.
Ringraziando l’amico fisico dr. Emanuele Negro, per l’elaborazione ed il commento tecnico dei dati forniti dalla Protezione civile , può affermarsi che in Piemonte, dalla data 17 marzo, vi sia una crescita lineare del numero dei casi epidemici: ogni giorno si aggiungono circa 400 - 600 casi in più di quelli del giorno precedente. Sul profilo social del predetto (https://www.facebook.com/ema.a.negro ) si trova periodicamente l’analisi dei dati e l’elaborazione
delle curve; qui si può invece trovare l’andamento comparato delle curve delle regioni: https://drive.google.com/file/d/1socDg32De8IFvJPglNEAErFbPzfoJCj-/view?fbclid=IwAR0D--9ZzVL73YSXWrpEwDhD_Yzwh1JumGPx2cbWgyLoS488JOVkWkEPf1Y ) riprodotto nella figura qui sotto.
Tutto ciò significherebbe che il 17 marzo si sono visti gli effetti delle misure di clausura adottate con il DPCM dell’11 marzo (effetti che si iniziano a vedere ad una settimana di distanza circa), i quali hanno consentito di curvare la crescita da esponenziale a lineare.
Dopo questa data, il ritmo di progressione lineare del numero di casi è rimasto pressochè invariato, nonostante siano state prese ulteriori misure con il DPCM 22 marzo. Nella regione al di qua dei monti, gli effetti di quest’ultimo dispositivo non si sono visti, contrariamente alla Lombardia, dove invece dal 30 marzo circa si è registrato un evidente cambiamento del ritmo di progressione lineare dell’epidemia, che ha consentito di “appiattire ed abbassare” ulteriormente la curva di progressione lineare.
Nonostante i dati sulla mobilità degli italiani, diffusi dalle big data company come Apple, confermino che questi ultimi sono i più ligi al rispetto delle misure limitative degli spostamenti, rispetto a cittadini di altri paesi che vedono una buona diminuzione della progressione lineare, l'attenzione dei media mainstream si appunta ancora sull'asserito mancato rispetto delle misure. "Con il sole basta andare una volta di più a far la spesa…" chiosava ieri un anchorman di rilievo nazionale.
E’ stupefacente come, a fronte di fenomeni di indubbia gravità, l’attenzione sia sviata su interpretazioni superficiali e dolosamente assertive.
La stessa Regione il 4 aprile tentava di sviare l’attenzione dichiarando l’intenzione di raddoppiare le multe per chi veniva trovato oltre 200 metri da casa. La motivazione? Al presidente Cirio “sembrava” di aver visto troppe persone a passeggio…
I dati oggettivi sembrano invece non confermare affatto le “sensazioni” del Presidente Cirio e puntano invece a sospettare, nel grave caso Piemontese, grosse falle nell’organizzazione della Protezione civile e della macchina sanitaria e preventiva.
Facciamo delle ipotesi: che cosa mantiene la progressione dei casi in Piemonte sostanzialmente invariata nonostante misure draconiane?
Una prima ragione, certa, è l'esiguo numero di tamponi. In Piemonte, ad oggi, ne sono stati fatti 4.2 per ogni caso, in Veneto 14.9, in Italia 7.
Gia, in questa prima ipotesi, si scorgono, nelle notizie di questi giorni, gravi sintomi di completa disorganizzazione. In un primo momento, le richieste di tamponi da parte dei sanitari dovevano essere inviati ad un semplice indirizzo mail. La sovrabbondanza di richieste ha causato la perdita di moltissime domande così pervenute, non si capisce se per causa di un improvvido software che cancellava le mail non lette a fine giornata, ovvero se siano state perse in partenza perchè la casella era piena.
Desta rabbia più che stupore pensare a colui che ha avuto l’idea di affidare la comunicazione delle richieste in arrivo ad una normale casella di mail, senza attivare neppure una pec. Oltre alle mail, sono stati però persi per strada molti verosimili positivi, che hanno contribuito alla diffusione del morbo. Al telegiornale regionale odierno, il dr. Roberto Testi, dell’unità di crisi, si giustificava con disinvoltura affermando che è una delle cose che capitano quando c’è un’emergenza ed una grande affluenza di richieste. Una risposta francamente inaccettabile, che fa temere una grave improntitudine.
Questo significa che, oltre alle email, sono stati persi per strada molti positivi che hanno contribuito alla diffusione dell’epidemia.
Come se non bastasse, è giunta notizia che molti tamponi sono stati eseguiti ma successivamente persi. Giovedì 16 aprile, in una Rsa dell’Alessandrino una trentina tra pazienti e personale si sono dovuti nuovamente sottoporre all’esame per accertare l’eventuale positività al virus. I tamponi nella casa di riposo Lercaro di Ovada erano stati fatti lo scorso 3 aprile, un centinaio circa. Ma di un terzo non si è più saputo nulla.
Altri verosimili soggetti positivi suscettibili di riprodurre il contagio potrebbero essere stati persi in varie falle della macchina dell’emergenza nelle strutture sanitarie, o nella gestione dei richiedenti aiuto medico: malati con sintomi abbandonati senza cura ai propri familiari (che a loro volta si sono infettati), terapie iniziate tardi (con conseguente prognosi infausta), operatori ospedalieri lasciati allo sbaraglio e, soprattutto, senza gli opportuni DPI, cosa che inchioda il datore di lavoro alle proprie responsabilità.
Conferme funeste di questa insufficienza organizzative arrivano da molte segnalazioni, molte delle quali hanno ormai anche pubblica eco. Nell’ospedale di Settimo Torinese, sono arrivati gli inquirenti della Procura di Ivrea, per verificare se pazienti sospetti positivi siano stati dimessi e rimandati a casa senza effetuare il test.
Rimane un forte sospetto di gravi inadeguatezze, che hanno reso la situazione attuale di estrema gravità e criticità. Sempre con l’aiuto dell’amico dr. Negro, si può ipotizzare quanto segue: se, all'inizio dell'epidemia, quando i focolai erano relativamente circoscritti, il tamponamento a tappeto poteva (come è avvenuto in Veneto) identificare e separare gli infetti all'interno di un cluster ben definito, ora anche un cambio di passo nell’effettuazione di tamponi o test sierologici si dimostrerebbe di efficiacia più limitata, perché gli infetti (asintomatici, paucisintoamtici e presintomatici) vagano liberamente, contribuendo, loro malgrado, alla diffusione dell'epidemia.
Stante il sostanziale rispetto delle regole di distanziamento sociale imposte, se l'epidemia progredisce, è ipotesi non peregrina pensare che sia più attiva nei gruppi a più alta frequenza di interazione e vicinanza, e magari più alta carica virale in circolo.
Vediamone gli ambiti:

l’ambiente medico ospedaliero, dove la carica virale è più elevata, le protezioni per lungo tempo sono state inadeguate, il controllo via tamponi del tutto insufficiente e l'isolamento fra zone covid e non-covid non sempre così ben definito. Sempre nell’ospedale di Settimo sono state denunciate dai sindacati dei sanitari l’utilizzo di mascherine addirittura di cotone, ma altrettanto numerose sono state le denunce delle organizzazioni sindacali come Nur-sind, Nursing up e CGIL.(4)
l’ambiente di lavoro che, in parte per ragioni specifiche al tipo di lavoro, in parte per impreparazione manifesta a ripensarsi in chiave di prevenzione infettiva, in parte per assenza di regole e norme transitorie pensate per prevenire i contagi (es. tamponi preventivi e periodici), è e sarà sempre di più un ottimo brodo di coltura del virus, soprattutto vista la decisa intenzione del Governatore del Piemonte di “ripartire presto” nonostante la curva dei casi e la progressione non si arresti e i gravi deficit sinora dimostrati fanno pensare a una simile disorganizzazione anche in questo settore. Da questo punto di vista è difficile non pensare che la ripartenza delle attività produttive sia effettuata sulle spalle della salute dei lavoratori e delle categorie sociali meno protette.
i malati isolati a casa, i quali sono attualmente 10019 in Piemonte e 76778 in Italia. La soluzione del “modello italiano” è stata scelta per cercare di evitare la saturazione ospedaliera in un complesso sanitario pubblico-privato che è stato colto dall’epidemia ridotto all’osso delle prestazioni, dopo anni di tagli alla sanità pubblica e depotenziamento della medicina comunitaria e delle strutture dell’assistenza di base. Ciò ha però significato lasciare in attesa a casa verosimili pazienti positivi, privandoli totalmente di terapie specifiche e cura precoce. Le USCA in Piemonte sono state attivate a fine marzo, in numero largamente insufficiente. I malati stazionano, con pochi aiuti anche logistici, nelle proprie abitazioni, fino all'eventuale necessaria ospedalizzazione in caso di aggravamento. La conseguenza di una tale impostazione, adottata anche in Piemonte come su quasi tutto il territorio, con poche eccezioni, è stata quella di trasformare i malati isolati a domicilio in altrettanti mezzi di propagazione di un virus contagiosissimo, nei confronti dei propri conviventi, ma anche dei soggetti in successivo contatto con questi. Dal punto di vista terapeutico, in molte occasioni ciò ha comportato lasciar progredire l'attacco virale, iniziando la terapia specifica solo in fase critica. Tale pratica è contraria all'evidenza medica già ben nota, ma divenuta palese a seguito delle varie autopsie condotte sui morti di Bergamo; i pazienti deceduti presentavano una situazione di trombosi massiva in cui i polmoni, sottoposti a terapia ossigenante ad alto flusso solo in condizione critica, spesso non rispondevano più perchè già devastati dai trombi. L’ospedalizzazione dei pazienti più critici ha comportato poi degenze più lunghe e prognosi infausta nettamente più frequente. Ecco spiegato anche l’alto numero di decessi giornalieri presenti in Piemonte.
Vi è poi tutto il capitolo ormai noto dei malati lasciati a se stessi nelle case di riposo, con assenza di divisione dei sospetti infetti, mancata ospedalizzazione, assenza di tamponi, assenza di idonei DPI per gli operatori, promiscuità degli operatori. E’ di oggi la notizia dei primi indagati per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo nelle numerose morti silenziose alla Casa di Cura di Piazza Mazzini a Vercelli. (5). Anche l’ambito carcerario registra oggi presso la Casa Circondariale “Lo Russo e Cotugno” di Torino oltre 60 casi di positività al virus, in una situazione che è ancora di sovraffollamento inaccettabile.

In una situazione di tale confusione organizzativa, è di oggi l’ansia del Governatore di rispondere alle pressioni del neo Presidente di Confindustria Bonomi per far ripartire ad ogni costo le attività produttive, anche se la situazione del Piemonte è del tutto inadeguata per una simile ipotesi.
La Regione sembra sempre più una nave nella tempesta, con comandanti che si tappano occhi e orecchie sottocoperta, lasciando al timone nocchieri dimostratisi totalmente inadeguati, quali i componenti dell’Unità di Crisi.
Difficile non immaginare chi pagherà il prezzo più alto, non incassandone i profitti: le vite e la salute dei lavoratori, costretti al ritorno in luoghi di lavoro inadeguati, assistiti da una protezione civile e da una sanità costretta a correre dietro alla disorganizzazione e all’improntitudine altrui, le vite e la salute degli utenti dei servizi sanitari ed assistenziali.
Del resto, il mondo dei lavoratori, è spesso anche oggetto di iniqua persecuzione da parte delle Forze dell’Ordine deputate ad eseguire i controlli sulla trasgressione delle misure di limitazione degli spostamenti. Con un registro da teatro dell’assurdo, i Vigili Urbani di Torino hanno multato con il massimo dell’ammenda (4000 Euro, un record per il Comune!) un rider della Glovo, Marwen, che si trovava in giro per lavoro. La Polizia Municipale ha chiesto una dimostrazione dell’ordine evaso: “Ma io non potevo mostrargliela”, continua il rider, “perché una volta consegnato il pacco si cancellano automaticamente i dati del cliente per questione di privacy” in questo modo è scattata la multa con importo così elevato: “hanno contestato il fatto che ero fuori dal Comune di residenza, su un mezzo privato e senza un apparente motivo”.
Marwen si è sente vittima di una grande ingiustizia e per questo ha deciso di girare un video durante il fermo e condividerlo sui social. Non è la prima volta che i vigili usano il pugno duro contro i rider: “È capitato non solo a me ma anche a tanti altri colleghi, sopratutto negli ultimi giorni. Lo trovo incomprensibile dato che siamo una delle poche categorie che servono la città in questi giorni di lockdown” (6).

Una immagine a tinte fosche, che rende necessario fermare l’imperizia e la perniciosità di questi funesti nocchieri

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