Enzo
Pellegrin
16.4.2020
Persino
la stampa mainstream non può più nascondere la situazione grave
dell’epidemia in Piemonte.
“Piemonte,
malato d’Italia”, è la titolistica più frequente. I dati
conferiscono alla regione subalpina il secondo posto nazionale per
numero di contagi. Secondo i dati diffusi dalla protezione civile
nazionale il 16 aprile ci sono 13783 persone positive, mentre in
Emilia Romagna ci si ferma a 13663. Nel bollettino diffuso dall'Unità
di crisi si annuncia che sono 19mila e 261 persone finora
risultate positive al “Covid-19” in Piemonte, più 815
complessivi rispetto a mercoledì. La provincia di Torino registra un
escalation di contagi dall'inizio dell'emergenza, 420 in un solo
giorno, mentre non calano di giorno in giorno le persone decedute,
portando alla funesta cifra di 2146. “Il 60 per cento dei casi sono
riscontrati nelle case di riposo dove sono state segnalate forti
criticità e presenza di pazienti
sintomatici, mentre il restante 40 per cento riguarda il resto della
popolazione piemontese” precisano sempre dall'Unità
di Crisi.
Ciò
che è differente dal resto della nazione è proprio la curva dei
casi.
Ringraziando
l’amico fisico dr. Emanuele Negro, per l’elaborazione ed il
commento tecnico dei dati forniti dalla Protezione civile , può
affermarsi che in Piemonte, dalla data 17 marzo, vi sia una crescita
lineare del numero dei casi epidemici: ogni giorno si aggiungono
circa 400 - 600 casi in più di quelli del giorno precedente. Sul
profilo social del predetto (https://www.facebook.com/ema.a.negro
) si trova periodicamente l’analisi dei dati e l’elaborazione
delle curve; qui si può invece trovare l’andamento comparato delle
curve delle regioni:
https://drive.google.com/file/d/1socDg32De8IFvJPglNEAErFbPzfoJCj-/view?fbclid=IwAR0D--9ZzVL73YSXWrpEwDhD_Yzwh1JumGPx2cbWgyLoS488JOVkWkEPf1Y
) riprodotto nella figura qui sotto.
Tutto
ciò significherebbe che il 17 marzo si sono visti gli effetti delle
misure di clausura adottate con il DPCM dell’11 marzo (effetti che
si iniziano a vedere ad una settimana di distanza circa), i quali
hanno consentito di curvare la crescita da esponenziale a lineare.
Dopo
questa data, il ritmo di progressione lineare del numero di casi è
rimasto pressochè invariato, nonostante siano state prese ulteriori
misure con il DPCM 22 marzo. Nella regione al di qua dei monti, gli
effetti di quest’ultimo dispositivo non si sono visti,
contrariamente alla Lombardia, dove invece dal 30 marzo circa si è
registrato un evidente cambiamento del ritmo di progressione lineare
dell’epidemia, che ha consentito di
“appiattire ed abbassare” ulteriormente la curva di progressione
lineare.
Nonostante
i dati sulla mobilità degli italiani,
diffusi dalle big data company come Apple, confermino che questi
ultimi sono i più ligi al rispetto delle misure limitative degli
spostamenti, rispetto a cittadini di altri paesi che vedono una buona
diminuzione della progressione lineare, l'attenzione dei media
mainstream si appunta ancora sull'asserito mancato rispetto delle
misure. "Con il sole basta andare una volta di più a far la
spesa…" chiosava ieri un anchorman di rilievo nazionale.
E’
stupefacente come, a fronte di fenomeni di indubbia gravità,
l’attenzione sia sviata su interpretazioni superficiali e
dolosamente assertive.
La
stessa Regione il 4 aprile tentava di sviare l’attenzione
dichiarando l’intenzione di raddoppiare le multe per chi veniva
trovato oltre 200 metri da casa. La motivazione? Al presidente Cirio
“sembrava” di aver visto troppe persone a passeggio…
I
dati oggettivi sembrano invece non confermare affatto le “sensazioni”
del Presidente Cirio e puntano invece a sospettare, nel grave caso
Piemontese, grosse falle nell’organizzazione della Protezione
civile e della macchina sanitaria e preventiva.
Facciamo
delle ipotesi: che cosa mantiene la progressione dei casi in Piemonte
sostanzialmente invariata nonostante misure draconiane?
Una
prima ragione, certa, è l'esiguo numero di tamponi. In Piemonte, ad
oggi, ne sono stati fatti 4.2 per ogni caso, in Veneto 14.9, in
Italia 7.
Gia,
in questa prima ipotesi, si scorgono, nelle notizie di questi giorni,
gravi sintomi di completa disorganizzazione. In un primo momento, le
richieste di tamponi da parte dei sanitari dovevano essere inviati ad
un semplice indirizzo mail. La sovrabbondanza di richieste ha causato
la perdita di moltissime domande così pervenute, non si capisce se
per causa di un improvvido software che cancellava le mail non lette
a fine giornata, ovvero se siano state perse in partenza perchè la
casella era piena.
Desta
rabbia più che stupore pensare a colui che ha avuto l’idea di
affidare la comunicazione delle richieste in arrivo ad una normale
casella di mail, senza attivare neppure una pec. Oltre alle mail,
sono stati però persi per strada molti verosimili positivi, che
hanno contribuito alla diffusione del morbo. Al telegiornale
regionale odierno, il dr. Roberto Testi, dell’unità di crisi, si
giustificava con disinvoltura affermando che è una delle cose che
capitano quando c’è un’emergenza ed una grande affluenza di
richieste. Una risposta francamente inaccettabile, che fa temere una
grave improntitudine.
Questo
significa che, oltre alle email, sono stati persi per strada molti
positivi che hanno contribuito alla diffusione dell’epidemia.
Come
se non bastasse, è giunta notizia che molti tamponi sono stati
eseguiti ma successivamente persi. Giovedì 16 aprile, in una Rsa
dell’Alessandrino una trentina tra pazienti e personale si sono
dovuti nuovamente sottoporre all’esame per accertare l’eventuale
positività al virus. I tamponi nella casa
di riposo Lercaro di Ovada erano stati fatti lo scorso 3 aprile, un
centinaio circa. Ma di un terzo non si è più saputo nulla.
Altri
verosimili soggetti positivi suscettibili di riprodurre il contagio
potrebbero essere stati persi in varie falle della macchina
dell’emergenza nelle strutture sanitarie, o nella gestione dei
richiedenti aiuto medico: malati con sintomi abbandonati senza cura
ai propri familiari (che a loro volta si sono infettati), terapie
iniziate tardi (con conseguente prognosi infausta), operatori
ospedalieri lasciati allo sbaraglio e, soprattutto, senza gli
opportuni DPI, cosa che inchioda il datore di lavoro alle proprie
responsabilità.
Conferme
funeste di questa insufficienza organizzative arrivano da molte
segnalazioni, molte delle quali hanno ormai anche pubblica eco.
Nell’ospedale di Settimo Torinese, sono arrivati gli inquirenti
della Procura di Ivrea, per verificare se pazienti sospetti positivi
siano stati dimessi e rimandati a casa senza effetuare il test.
Rimane
un forte sospetto di gravi inadeguatezze, che hanno reso la
situazione attuale di estrema gravità e criticità. Sempre con
l’aiuto dell’amico dr. Negro, si può ipotizzare quanto segue:
se, all'inizio dell'epidemia, quando i focolai erano relativamente
circoscritti, il tamponamento a tappeto poteva (come è avvenuto in
Veneto) identificare e separare gli infetti all'interno di un cluster
ben definito, ora anche un cambio di passo nell’effettuazione di
tamponi o test sierologici si dimostrerebbe di efficiacia più
limitata, perché gli infetti
(asintomatici, paucisintoamtici e presintomatici) vagano liberamente,
contribuendo, loro malgrado, alla diffusione dell'epidemia.
Stante
il sostanziale rispetto delle regole di distanziamento sociale
imposte, se l'epidemia progredisce, è ipotesi non peregrina pensare
che sia più attiva nei gruppi a più alta frequenza di interazione e
vicinanza, e magari più alta carica virale in circolo.
Vediamone
gli ambiti:
l’ambiente
medico ospedaliero, dove la carica virale è più elevata, le
protezioni per lungo tempo sono state inadeguate, il controllo via
tamponi del tutto insufficiente e l'isolamento fra zone covid e
non-covid non sempre così ben definito. Sempre nell’ospedale di
Settimo sono state denunciate dai sindacati dei sanitari l’utilizzo
di mascherine addirittura di cotone, ma altrettanto numerose sono
state le denunce delle organizzazioni sindacali come Nur-sind,
Nursing up e CGIL.(4)
l’ambiente
di lavoro che, in parte per ragioni specifiche al tipo di lavoro,
in parte per impreparazione manifesta a ripensarsi in chiave di
prevenzione infettiva, in parte per assenza di regole e norme
transitorie pensate per prevenire i contagi (es. tamponi preventivi e
periodici), è e sarà sempre di più un
ottimo brodo di coltura del virus, soprattutto vista la decisa
intenzione del Governatore del Piemonte di “ripartire presto”
nonostante la curva dei casi e la progressione non si arresti e i
gravi deficit sinora dimostrati fanno pensare a una simile
disorganizzazione anche in questo settore. Da questo punto di vista
è difficile non pensare che la ripartenza delle attività produttive
sia effettuata sulle spalle della salute dei lavoratori e delle
categorie sociali meno protette.
i
malati isolati a casa, i quali sono attualmente 10019 in Piemonte
e 76778 in Italia. La soluzione del “modello italiano” è stata
scelta per cercare di evitare la saturazione ospedaliera in un
complesso sanitario pubblico-privato che è stato colto dall’epidemia
ridotto all’osso delle prestazioni, dopo anni di tagli alla sanità
pubblica e depotenziamento della medicina comunitaria e delle
strutture dell’assistenza di base. Ciò ha però significato
lasciare in attesa a casa verosimili pazienti positivi, privandoli
totalmente di terapie specifiche e cura precoce. Le USCA in Piemonte
sono state attivate a fine marzo, in numero largamente insufficiente.
I malati stazionano, con pochi aiuti anche logistici, nelle proprie
abitazioni, fino all'eventuale necessaria ospedalizzazione in caso di
aggravamento. La conseguenza di una tale impostazione, adottata anche
in Piemonte come su quasi tutto il territorio, con poche eccezioni, è
stata quella di trasformare i malati isolati a domicilio in
altrettanti mezzi di propagazione di un virus contagiosissimo, nei
confronti dei propri conviventi, ma anche dei soggetti in successivo
contatto con questi. Dal punto di vista terapeutico, in molte
occasioni ciò ha comportato lasciar progredire l'attacco virale,
iniziando la terapia specifica solo in fase critica. Tale pratica è
contraria all'evidenza medica già ben
nota, ma divenuta palese a seguito delle varie autopsie condotte sui
morti di Bergamo; i pazienti deceduti presentavano una situazione di
trombosi massiva in cui i polmoni, sottoposti a terapia ossigenante
ad alto flusso solo in condizione critica, spesso non rispondevano
più perchè già devastati dai trombi. L’ospedalizzazione dei
pazienti più critici ha comportato poi degenze più lunghe e
prognosi infausta nettamente più frequente.
Ecco spiegato anche l’alto numero di decessi giornalieri presenti
in Piemonte.
Vi
è poi tutto il capitolo ormai noto dei malati lasciati a se stessi
nelle case di riposo, con assenza di divisione dei sospetti
infetti, mancata ospedalizzazione, assenza di tamponi, assenza di
idonei DPI per gli operatori, promiscuità degli operatori. E’ di
oggi la notizia dei primi indagati per epidemia colposa e omicidio
colposo plurimo nelle numerose morti silenziose alla Casa di Cura di
Piazza Mazzini a Vercelli. (5). Anche l’ambito carcerario registra
oggi presso la Casa Circondariale “Lo Russo e Cotugno” di Torino
oltre 60 casi di positività al virus, in una situazione che è
ancora di sovraffollamento inaccettabile.
In
una situazione di tale confusione organizzativa, è di oggi l’ansia
del Governatore di rispondere alle pressioni del neo Presidente di
Confindustria Bonomi per far ripartire ad ogni costo le attività
produttive, anche se la situazione del Piemonte è del tutto
inadeguata per una simile ipotesi.
La
Regione sembra sempre più una nave nella tempesta, con comandanti
che si tappano occhi e orecchie sottocoperta, lasciando al timone
nocchieri dimostratisi totalmente inadeguati, quali i componenti
dell’Unità di Crisi.
Difficile
non immaginare chi pagherà il prezzo più alto, non incassandone i
profitti: le vite e la salute dei lavoratori, costretti al ritorno in
luoghi di lavoro inadeguati, assistiti da una protezione civile e da
una sanità costretta a correre dietro alla disorganizzazione e
all’improntitudine altrui, le vite e la salute degli utenti dei
servizi sanitari ed assistenziali.
Del
resto, il mondo dei lavoratori, è spesso anche oggetto di iniqua
persecuzione da parte delle Forze dell’Ordine deputate ad eseguire
i controlli sulla trasgressione delle misure di limitazione degli
spostamenti. Con un registro da teatro dell’assurdo, i Vigili
Urbani di Torino hanno multato con il massimo dell’ammenda (4000
Euro, un record per il Comune!) un rider della Glovo, Marwen, che si
trovava in giro per lavoro. La Polizia Municipale ha chiesto una
dimostrazione dell’ordine evaso: “Ma io non potevo
mostrargliela”, continua il rider, “perché una volta consegnato
il pacco si cancellano automaticamente i dati del cliente per
questione di privacy” in questo modo è scattata la multa con
importo così elevato: “hanno contestato il fatto che ero fuori dal
Comune di residenza, su un mezzo privato e senza un apparente
motivo”.
Marwen
si è sente vittima di una grande ingiustizia e per questo ha deciso
di girare un video durante il fermo e condividerlo sui social. Non è
la prima volta che i vigili usano il pugno duro contro i rider: “È
capitato non solo a me ma anche a tanti altri colleghi, sopratutto
negli ultimi giorni. Lo trovo incomprensibile dato che siamo una
delle poche categorie che servono la città in questi giorni di
lockdown” (6).
Una
immagine a tinte fosche, che rende necessario fermare l’imperizia e
la perniciosità di questi funesti nocchieri
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