Le motivazioni della necessità di questo studio sono di carattere generale e particolare.
L’aspetto generale riguarda l’autonomia di pensiero, di analisi, di valutazione critica che i proletari devono avere per essere forti anche teoricamente nella lotta contro la borghesia.
L’aspetto particolare riguarda la necessità oggi della comprensione della natura dello Stato, contro le teorie riformiste, piccolo borghesi che vogliono sempre mascherare la vera natura dello Stato capitalista, per conciliare e impedire la coscienza e la lotta per il suo abbattimento.
Il primo aspetto affrontato nella riunione di studio è il legame Stato/violenza rivoluzionaria: dall’analisi dello Stato borghese, dalla sua genesi, così come tracciata da Marx, Engels e ripresa da Lenin, scaturisce l’inevitabilità e indispensabilità della rivoluzione violenta, base di principio indispensabile della teoria rivoluzionaria del proletariato.
Lo Stato nasce dal momento in cui la società è divisa in classi e si estingue allorchè la società, dopo il socialismo e con il comunismo, non sarà più divisa in classi antagoniste. Lo Stato è : “… una potenza che sta in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’ordine, e questa potenza si emani dalla società ma si ponga al di sopra di essa, estraniandosi da essa per porsi appunto al di sopra di essa…”. Lo Stato è emanazione della società, in cui l’”essere al di sopra” è apparenza, essere dentro e strumento di oppressione è sostanza.
Per Marx lo Stato è l’organo di dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un’altra; è la creazione di un ”ordine” che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto tra le classi”.
Da questo scaturisce l’inevitabilità della violenza rivoluzionaria per rovesciare lo Stato borghese che ha la sua essenza nell’esercizio della “forza pubblica”. Engels dice: “…in che consiste principalmente questa forza? Essa consiste innanzitutto in distaccamenti speciali di uomini armati che dispongono di prigioni, ecc.…”. Certo, lo Stato non è solo ‘distaccamenti armati’, quindi polizia, eserciti, prigioni – Engels dice “…e istituti di pena di ogni genere…” - ma questa è la forza principale di uno Stato come strumento di dominio della classe dominante. Il carattere necessariamente violento della rivoluzione proletaria, la sua necessità di distruzione dell’apparato del potere statale, non può che essere strettamente legato al fatto che la forza dello Stato consiste principalmente in questo. Pur se su piccola scala al momento, i proletari, le masse popolari lo vedono ogni volta che sviluppano lotte dure, rivolte, contro le quali lo Stato mostra senza orpelli la sua natura oppressione/repressiva di fondo.
Questo elemento dello Stato si rafforza nell’imperialismo così come si rafforza nella misura in cui si sviluppano gli antagonismi di classe e i contrasti tra Stati. Si tratta di un processo non certo dipendente da questo o quell’evento, ma legato al processo di progressivo estraniamento dello Stato dalla società e dal potenziale di antagonismi di classe che lo sviluppo della società imperialista produce sia al suo interno sia all’esterno nelle contese tra Stati, nella fase dell'imperialismo.
Da ciò discende che la costruzione della rivoluzione proletaria come rivoluzione violenta non dipende da questo o quel governo e neanche dalle forme specifiche del dominio della classe dominante. La diversità dei regimi e dei governi influisce nella tattica della realizzazione della rivoluzione proletaria, non nel suo carattere.
Questa funzione c’è sia quando lo Stato è democratico che quando è fascista. La borghesia preferisce il metodo democratico “La repubblica democratica è il miglior involucro politico possibile per l capitalismo”, anche se in determinate fasi è costretta ad assumere la forma della dittatura aperta, ma non per negare i conflitti ma sempre allo scopo di attenuarli. Quando l’attenuazione non riesce, occorre soffocarli, non per negarli ma per ricondurli nell’ambito della funzione dello Stato. Per questo la democrazia e il fascismo non sono due forme opposte ma l’una serve l’altra. Al di là di ciò che può apparire, la borghesia è più forte con lo Stato democratico che con lo Stato fascista dove deve dichiarare in maniera nuda e cruda la sua vera natura di oppressione e repressione. La necessità per il proletariato della rivoluzione non nasce quindi dalla forma fascista dello Stato ma dalla sua permanente natura di classe.
La rivoluzione proletaria mette la violenza al servizio della lotta contro il carattere principale dello Stato e in funzione di strappare il potere alla classe dominante, distruggere l’apparato statale della classe dominante, costruire il proprio apparato statale con la propria forza pubblica, che è quanto di più ravvicinato all’idea e alla concretezza della “organizzazione armata autonoma della popolazione”.
Dall’analisi dello Stato emerge, inoltre, chiara la natura interna, indispensabile del riformismo per la borghesia – questo è stato oggetto di approfondimento nella riunione del circolo.
Lo Stato non può fare a meno del riformismo, che, pertanto, non è una realtà “esterna”perchè con la sua azione di conciliazione fa pienamente parte della funzione di dominio dello Stato borghese.
Quindi, come bisogna vedere nella funzione dello Stato il doppio aspetto di repressore e attenuatore dei conflitti, così bisogna vedere nel riformismo e in tutte le forme dell’opportunismo la doppia funzione, quella di mistificare il ruolo dello Stato e quella di contribuire attivamente affinché esso funzioni come la borghesia vuole, secondo il suo interesse generale e la sua funzione generale come classe dominante, non necessariamente secondo l’interesse di una o l’altra delle sue frazioni.
I proletari devono lottare tenacemente e saper essere autonomi dal riformismo in ogni sua forma; devono saper vedere dietro la conciliazione sempre la funzione di oppressione dello Stato borghese. Per questo il riformismo costituisce il principale ostacolo all’abbattimento dello Stato. Scrive Lenin. “per gli uomini politici piccolo borghesi l’ordine è precisamente la conciliazione delle classi e non l’oppressione di una classe da parte di un’altra. Attenuare il conflitto vuol dire per essi conciliare e non già privare le classi oppresse di strumenti e mezzi di lotta per rovesciare gli oppressori”. Quindi, non è sufficiente che le classi oppresse abbiano determinati strumenti e mezzi di lotta per rovesciare gli oppressori, la sostanza della via della rivoluzione consiste nel rompere la conciliazione sul piano teorico, politico, organizzativo, e quindi utilizzare gli strumenti e i mezzi di lotta per combattere in ogni conflitto la conciliazione.
Questo – si è detto nella riunione del circolo - è visibile già nelle lotte in corso, e nel ruolo di conciliazione che assumono a volte le stesse Istituzioni locali, che a volte concedono ai proletari, disoccupati in lotta ma allo scopo di frenarne la battaglia più generale e soprattutto la coscienza della necessità, inevitabilità del rovesciamento dell’ordine costituito affinchè i proletari possano realmente perseguire i loro interessi di classe. La lotta economica e sindacale per sua natura ha una doppia valenza: da un lato essa è una manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi; dall’altra essa è interna, nel perseguire risultati concreti, alla funzione di conciliazione delle classi, di attenuazione dei conflitti, di mantenimento nel limite dell’ordine che lo Stato svolge principalmente attraverso i suoi organi concreti, prefetti, polizia politica, istituzioni, e attraverso i suoi bracci sindacali, il riformismo e l’opportunismo.
Stato e riformismo puntano all’attenuazione del conflitto, il comunista punta all’accentuazione del conflitto perchè fuoriesca dai limiti dell’ordine. Questa è la sola ed esclusiva funzione rivoluzionaria che può svolgere la lotta sindacale o economica e che si contrappone in maniera permanente e prolungata allo Stato e al riformismo.
Il carattere della rivoluzione violenta sta in via prioritaria nell’affermazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi, nell’accentuazione del conflitto, nell’uscita dai limiti dell’ordine. Senza questo, la violenza non avrebbe la sua legittimità e il suo fondamento nella “guerra” quotidiana e nelle lotta delle classi.
Compito dei comunisti, quindi, nella lotta economica è guidarla per rompere la conciliazione, accentuare il conflitto e farlo fuoriuscire dall’ordine costituito.
Tornando alla questione Stato borghese/riformismo, nella riunione si è approfondita la denuncia dell’elettoralismo, come pienamente funzionale al mantenimento dello Stato borghese.
“La Repubblica democratica è il miglior involucro politico possibile per il capitalismo”. Il capitale dopo essersi impadronito di questo involucro fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell’ambito della Repubblica democratico-borghese può scuotere; e il suffragio universale è anch’esso in questo quadro uno strumento di dominio della borghesia. Questo toglie ogni margine all’idea della via elettorale e alla partecipazione alle elezioni come questione che possa incidere nella natura dello Stato.
I democratici piccolo borghesi, gli odierni riformisti, opportunisti, i rivoluzionari a parole, è su questo che contribuiscono a – come dice Lenin – “inculcare nel popolo la falsa concezione che il suffrago universale possa nello “Stato odierno” esprimere realmente la volontà della maggioranza dei lavoratori (e, ancor meno, assicurarne la realizzazione).
E' giusto dire che il compito dei partiti proletari nei paesi capitalisti è quello di educare i proletari, ma si sottovaluta l’importanza decisiva segnalata da Lenin in ‘Stato e rivoluzione’ di educare sistematicamente le masse all’idea della “rivoluzione violenta” come base di tutta la dottrina di Marx ed Engels.
Le posizioni di accumulazione delle forze solo attraverso una lunga lotta legale, trascurano il carattere della guerra che lo Stato borghese conduce contro i partiti proletari, e che la lotta legale non è sufficiente per contrastare la lotta illegale condotta anche dallo Stato democratico-borghese; questo non lo è stato nel passato e non lo è ancor di più oggi. Quindi, la stessa accumulazione di forza non può non avvenire dentro il carattere di guerra tra le classi, guerra non necessariamente subito armata, né permanentemente armata, ma sempre guerra.
Infine, un altro argomento affrontato nella riunione è stata la distinzione tra abbattimento dello Stato borghese ed estinzione dello Stato, contro l’opportunismo da un lato e l’anarchismo dall’altro.
L’abbattimento dello Stato riguarda necessariamente lo Stato borghese, che non si può evidentemente estinguere; l’abbattimento dello Stato borghese comporta per il proletariato rivoluzionario e il suo partito comunista l’altrettanta necessità di costruire lo Stato di dittatura del proletariato per difendere i risultati della rivoluzione, impedire con la forza dello Stato proletario che la borghesia riprenda il potere, costruire il potere proletario in una fase in cui le classi non possono essere eliminate da un giorno all’altro e in questo rendere protagoniste le masse della gestione del potere. Chi parla di “rivoluzione” e non, insieme, di “dittatura de proletariato” vuole seminare illusioni, e portare il proletariato alla sconfitta.
L’estinzione dello Stato riguarda invece lo Stato proletario, che, via via che le classi e la divisione in classi antagoniste scompare e le masse si autogovernano, non solo nel proprio paese, ma in tutti i paesi, non ha più ragione di esistere.
Gli opportunisti da un lato lottando tenacemente contro l’abbattimento dello Stato borghese, e gli anarchici dall’altro parlando oggi di estinzione dello Stato, negano entrambi la lotta rivoluzionaria del proletariato e la dittatura proletaria. (continua).
Nessun commento:
Posta un commento