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a paderno dugnano - una strage infinita
riportiamo inoltre
articolo dal manifesto del 5 febbraio dedicato alla morte dell'operaio albanese
leonard Shepu
L'agonia DEL MORTO BIANCO
Leonard Shepu, operaio albanese, 37 anni, è morto dopo tre mesi di agonia. E' il quarto operaio che ha perso la vita per l'esplosione della Eureco di Paderno Dugnano, la strage sul lavoro che non interessa a nessuno
Le morti bianche non esistono, sono un trucco di cattivo gusto. Però la definizione aiuta a capire fino a che punto l'eliminazione dell'idea della morte possa spingersi attraverso la rimozione del morire e a volte persino del moribondo - forse perchè è un fastidio che prima o poi tocca ognuno di noi. Prendiamo Leonard Shepu, un trentottene albanese, forse il morto bianco più trasparente di tutti, scomparso definitivamente l'altro giorno dopo essere morto per tre mesi di fila, con un piede nelle statistiche del 2010 (è uno dei 1.080 lavoratori morti l'anno scorso, perchè la «sua» fabbrica è esplosa il 4 novembre), e un altro in quelle del 2011 (ufficialmente è lui il 64esimo morto dal primo gennaio, e per le statistiche che impongono almeno una qualche ipocrita «vicinanza» con le vittime significa un + 57,8% rispetto ai primi 33 giorni dell'anno precedente).
Nella fase acuta di un grande ustionato - sono le ferite più dolorose che il nostro corpo può subire, spiega l'Ospedale Niguarda di Milano che lo aveva in cura - si rimuove chirurgicamente il tessuto necrotico e in un secondo tempo si procede all'impianto di cute per ricostruire la parte lesa. Con questa tecnica l'ospedale ha salvato la vita all'unico superstite dell'incidente aereo di Linate, quasi dieci anni fa. Molti ancora ricordano. Leonard Shepu, invece, non ce l'ha fatta e con lui nemmeno gli altri tre suoi colleghi che erano già morti in seguito all'esplosione della Eureco di Paderno Dugnano. Una strage sul lavoro, la più rimossa della storia d'Italia, con quattro morti bruciati che hanno avuto la presunzione di spegnersi poco alla volta, col contagocce, e due di questi erano pure albanesi, gli ultimi degli ultimi, un'aggravante che in casi come questi aiuta a dimenticare in fretta - secondo dati Inail, gli incidenti mortali dei lavoratori stranieri sono aumentati del 15% negli ultimi cinque anni. E dire che l'«incidente» di Paderno Dugnano (altra definizione di pessimo gusto) avrebbe potuto avere conseguenze incalcolabili, per l'ambiente e per i cittadini dell'hinterland milanese: l'Eureco smaltiva rifiuti tossici pericolosi. L'impianto è sotto sequestro e sta indagando la procura di Monza.
L'operaio è morto dopo novanta giorni di agonia e, secondo il referto medico dell'ospedale, «nonostante l'intenso periodo di cure, i numerosi interventi effettuati, una media di due alla settimana, e il massimo impegno dell'équipe di rianimazione e del centro Grandi Ustionati». L'hanno operato più di venti volte in tre mesi, e questa non è una morte bianca. Sono stati mangiati dal fuoco anche Harun Zeqiri, albanese di 44 anni, il 63enne Sergio Crapolan e tre settimane fa (il 18 gennaio, due mesi e mezzo dopo l'esplosione) anche Salvatore Catalano, 55 anni, l'unico dei quattro lavoratori cui almeno è stato concesso un profilo più umano, perchè per le cronache non era solo un operaio ma anche un futuro sposo: avrebbe dovuto convolare a nozze con la sua compagna sedici giorni dopo l'esplosione che gli ha provocato il 90% di ustioni su tutto corpo. Lei avrebbe voluto sposarlo lo stesso. Questa è stata l'unica storia che i giornalisti hanno provato a raccontare, almeno un pochino, perchè la rimozione di queste morti, le morti sul lavoro, è un meccanismo di autodifesa (anche professionale) che viene applicato su larga scala: volendo, ci sarebbero tre storie, tre morti ogni giorno, da raccontare, da qui alla fine dell'anno - vogliamo parlare di quell'operaio italiano di 50 anni - «le sue generalità non sono ancora conosciute», recitano le agenzie - morto proprio ieri mattina in un'azienda vicino a Pavia?
Ma ci sono altri silenzi che non hanno a che fare con l'imbarazzo della morte e che rendono esemplare questa storia. Va bene, l'Eureco non è la ThyssenKrupp di Torino (sette morti ustionati il 6 dicembre 2007), ma forse proprio per questo dà l'idea di una realtà ancora più diffusa che tutti conoscono ma nessuno vuole vedere. La mattina del 5 novembre scorso, poche ore dopo lo scoppio della bombola di gas acetilene che ha provocato la strage, davanti ai cancelli dell'Eureco non c'era quasi nessuno. Un'auto dei carabinieri, qualche curioso, un paio di sindacalisti con l'aria smarrita. Non un presidio, una diretta con Santoro, un'ora di sciopero. Una desolazione muta. Tutti e cinque gli operai albanesi rimasti feriti - tre si sono salvati - non erano assunti dal proprietario dell'Eureco, Giovanni Merlino, lavoravano in subappalto per la cooperativa Tnt; e queste sono realtà che sfuggono a qualsiasi controllo, figuriamoci al sindacato. «Non riusciamo ad esserci», ammettono i sindacalisti. A proposito di controlli. La Eureco, questa sconosciuta, non era nell'elenco delle aziende a rischio della «direttiva Seveso», eppure trattava rifiuti speciali pericolosi, nel cuore della Lombardia, la terra più produttiva e inquinata del capitalismo avanzato. E sapete quanto «pesano» ogni anno in Italia i rifiuti speciali «fantasma» come quelli che stavano trattando gli operai morti per uno stipendio da fame? 131 milioni di tonnellate, quattro volte il volume dei rifiuti solidi urbani trattati ogni anno.
Se questo è lo scenario, Leonard Shepu in fondo era solo una comparsa.
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