da Controinfo rossoperaia del 12/04
Da ben 13 anni gli operai della ex Fiat, poi ex Blutec di Termini Imerese, aspettano una soluzione alla lunghissima vertenza iniziata dopo la chiusura dello stabilimento voluta dal fascismo padronale di Marchionne il 31 dicembre del 2011 che ha scaricato sugli operai la crisi dell'auto cominciata tanti anni prima. Marchionne prendeva pure la scusa che perdeva 1.000 € per auto prodotta a Termini, ma poi ammetteva lui stesso che riusciva a vendere auto in Italia - e quindi a fare profitti - solo grazie agli incentivi statali. Insisteva per avere mano libera come unico produttore di auto in Italia. Proprio quello che dice Tavares adesso, impedendo, ostacolando in tutti i modi la presenza di altri produttori di auto a termine Imerese. Per esempio, per un periodo si parlava della DR Motors che assemblava macchine provenienti dalla pezzi provenienti dalla Cina.
Quindi 13 anni, sempre in attesa di progetti di una reindustrializzazione e i progetti di questi anni sono stati davvero tanti, ma quasi tutti bocciati, spesso prima ancora di nascere. Quello della Blutec di padron Ginatta, che era legato strettamente in affari con gli Agnelli della ex Fiat, adesso Stellantis, era sembrato quello giusto e l'azienda infatti è passato di mano agli inizi del 2015. Ma una volta entrato in possesso dello stabilimento per il prezzo simbolico di 1 €, quando il valore complessivo degli impianti, secondo i calcoli fatti allora, era stato valutato circa 30 milioni, Ginatta impiegò solo qualche centinaio di operai di circa 800 addetti e circa 300 dell'indotto. Gli altri sono stati sempre in cassa integrazione. Ginatta, che è un padrone di diversi stabilimenti in Italia di uno importante in Brasile, si è barcamenato tra un progetto e l'altro di industrializzazione, poi alla fine rivelatesi finta, e ha messo in campo solo dei corsi di riqualificazione a cui far partecipare gli operai. E basta.
Dopo quasi 5 anni, fino alla metà del 2019, si è scoperto che tutta questa manfrina era tesa ad accaparrarsi i soldi pubblici e infatti fu accusato e condannato a 7 anni di galera e prima messo in carcere e poi rilasciato. Ma quanta premura in queste cose ci sono per i padroni che hanno fatto letteralmente sparire 20 milioni - ma complessivamente avrebbe dovuto restituire 60 milioni - e l'azienda poi venne commissariata. Bisogna dire che per tutti quelli che hanno presentato i progetti l'obiettivo è stato sempre lo stesso in questi anni: accaparrarsi i soldi pubblici che allora, fra quelli dei vari accordi di programma insieme a Regione e ministero, erano circa 300 milioni.
In questi giorni gli operai stanno assistendo ad un altro capitolo della lunga storia fatta di cassa integrazione e perdita di salari, operai che sono diminuiti di numero tra chi è andato in pensione, tra chi
ha cercato un altro lavoro stanco di aspettare, e gli operai dell'indotto, almeno 200, ancora lasciati di fatto senza ammortizzatori o quasi. Questo nuovo capitolo si è concluso per adesso, in questi giorni, con l'affidamento alla multinazionale Ross Pelligra, un italo-australiano impegnato nelle costruzioni edilizie, noto anche per aver acquistato il Catania calcio.E parliamo di costruzioni edilizie, dunque, ma perché parlare allora di reindustrializzazione quando si tratta di rimettere in sesto i capannoni e tutta la grande area dell'ex stabilimento Fiat? A giudicare dall'accordo studiato dal governo per mezzo del ministro Urso e Pelligra che prevede il riassorbimento di soli 350 operai per due anni, questa ristrutturazione durerà appunto un paio d'anni e dopo?
È chiaro che gli operai non sono muratori ma operai abituati alla produzione, quindi alla lastratura, verniciatura, catene di montaggio. Dovranno fare un corso di riqualificazione? Boh. Saranno impegnati nello smantellamento delle linee produttive? Questo ancora non è chiaro per nessuno. E per gli altri operai diretti nel frattempo - che sono ancora 206 - ci sono adesso soltanto ipotesi. Quindi la prima è il riconoscimento del lavoro usurante e su questo Elvira Calderone, la consulente del lavoro dei padroni diventata ministra in questo governo infarcito da fascisti, ha detto che lei è disponibile a vedere la cosa.
La seconda ipotesi prevede un periodo di due anni di indennità di disoccupazione, quella che ironicamente viene definita “assicurazione sociale per l'impiego” - naspi - dopo la cassa integrazione.
La terza prevede la costituzione di una società di scopo come la chiamano adesso, una New Co interamente pubblica che potrebbe assorbire i lavoratori ancora in carico alla Blutec, che di fatto si tratta di un altro carrozzone che li dovrebbe accompagnare alla pensione. Mentre per gli operai dell'indotto ancora è tutto in alto mare.
Questo accordo sul numero degli operai da riassorbire rispecchia quelli del passato che prevedevano sempre un reimpiego degli operai a gruppi, a pezzi, ma mai tutti insieme.
E anche dal punto di vista dei soldi, anche in questo nuovo progetto i soldi sono pubblici e sono un bel po’ di milioni.
Quindi abbiamo: 105 milioni dell'ennesimo accordo di programma, 70 milioni previsti dall'ultima finanziaria dell'ex governo Musumeci, 30 milioni per le politiche attive e passive dell'assessorato al lavoro, e questi sono sempre pronti per un'eventuale cassa integrazione.
Ma qual’è stato in tutto questo tempo il ruolo dei sindacati confederali in questa lunga disgrazia che ha toccato gli operai di Termini Imerese (che, naturalmente, nel contesto generale non sono soli, tante altre aziende del passato in questo momento subiscono, più o meno, con forse una diversità di anni, più o meno gli stessi processi di ristrutturazione e licenziamenti ecc)?
I sindacati confederali anche in questo caso, come in tutti questi anni, hanno accettato, spesso lodato e applaudito i vari progetti, i più disparati, per i quali si è parlato di tutto, c'era perfino un padrone dell'alluminio ucraino, ma quasi mai di produrre o assemblare auto. Solo la Blutec parlava di auto ibride, ma si è visto con quanta serietà.
E ogni volta questo progetto era quello buono, ognuno giurava, siccome ultima spiaggia nelle ore decisive per il rilancio dell'azienda, per finire sempre poi con un vergognoso ritornello dei sindacalisti, prima delusi, poi meravigliati, infine speranzosi. E sempre con una sfilza di appelli alle istituzioni a cui si chiede di garantire..... ma "garantire" che cosa? i diritti degli operai e dei lavoratori? gli unici che non garantiscono sono proprio loro.
Non c'è né volontà, né dignità, né indirizzo giusto in questa lotta. Questi sindacati Fiom/Fim/Uilm non hanno mai fatto uno sciopero serio, sempre e men che mai un'occupazione della fabbrica.
Ricordiamo un episodio del 2014, dopo quattro anni dalla chiusura, un gruppo di operai già stanchi della cassa integrazione infinita e dell'immobilismo dei sindacati confederali, si sono avvicinati allo Slai Cobas per sindacato di classe per fare qualche iniziativa. Si decise insieme con una parola d'ordine “basta con la cassa integrazione e riprendiamoci la fabbrica” di andare davanti ai cancelli della fabbrica invitando gli altri operai ad occuparla.
Di fatto si trattava di un'azione dimostrativa, visto anche il numero esiguo degli operai, nel complesso. Ebbene, il giorno dopo i sindacati confederali, con in testa la Fiom, corsero davanti ai cancelli della fabbrica con un'Assemblea ma per dire che non si doveva occupare, dando però inizio ad alcune manifestazioni tutte esterne.
Ma bisogna dire che al turno ai cancelli di queste fabbriche ci sono state assemblee pubbliche e si sono presentati tutti i politici, sindacalisti anche di livello nazionale, Landini ecc, e tutti a spararle grosse sulla prossima reindustrializzazione con gli impegni e le promesse.
E gli operai, naturalmente, sono visti sempre come un grande bacino elettorale.
Per esempio la Segretaria generale della Cisl di allora, la Furlan, a proposito dell'azienda Grifa - di fatto una scatola vuota che aveva solo l'obiettivo di fregarsi i soldi - aveva parlato di “accordo innovativo, di un progetto vero e solido dal punto di vista finanziario che salvaguarda l'occupazione pure nell'indotto” e poi l'altro è De Vincenti, ex ministro del governo nel governo Gentiloni, che definiva la solidità della Grifa industriale fuori discussione. Insomma una bella lungimiranza, credibilità zero!
La mobilitazione però degli operai c'è stata, eccome, cortei, blocchi di porto, aeroporto, ferrovia, autostrade, le tende davanti la fabbrica e davanti i palazzi del potere. Una mobilitazione che però da un certo momento in poi si è trasformata in mobilitazioni in prossimità della scadenza della cassa integrazione. E spesso a fare i numeri erano quelli dell'indotto, sempre più preoccupati, come Bienne Sud, Claire, Prem Lear, Pellegrini, Manital SSA. Anche qui i numeri nel tempo sono diminuiti per la stanchezza degli operai che devono trovare come sopravvivere quotidianamente.
Queste mobilitazioni sono partite comunque come sempre dalla spinta agli operai ma che poi, indirizzate ai sindacati confederali, si sono perse tra tavoli e promesse di tavoli.
Da questi sindacati, in particolare, è stata poi diffusa a piene mani l'illusione del “governo amico”o del singolo politico amico che alla fine si è rivelato solo amico dei sindacalisti confederali che fanno carriera, naturalmente, sempre sulla scia delle campagne elettorali e quindi trovano spesso il posticino nelle istituzioni. Sindacati bruttamente piegati davanti ai capi di governo e ministri, come quella volta con Renzi che era a capo del governo e si presentò - ben scortato però - a Termini Imerese, per incontrarsi in una chiesa con i sindacalisti che non hanno tollerato in quella occasione, anzi hanno attaccato vigliaccamente, la contestazione nata in piazza contro Renzi a cui invece stendevano tappeti. Renzi naturalmente non mantenne nessuna delle promesse che ha fatto.
Poi fu la volta di Di Maio, l’ingannapopolo che in un'Assemblea prese impegni solenni e davanti ai cancelli diceva che la situazione non era semplice, ma bisogna però sperare di trovare investitori.
Purtroppo in tutti questi anni gli operai sono, in un modo o nell'altro, stati buttati fuori dalla fabbrica in modi diversi. In tanti, come dicevamo, sono stati presi per stanchezza, non ce la fanno più, si vanno a cercare un altro lavoro, emigrano, per il salario, per non parlare degli effetti sulle famiglie, tutte cose che non arrivano sui famosi tavoli di concertazione.
Nel frattempo gli operai sono diminuiti grazie anche alla cosiddetta “mobilità volontaria”, i licenziamenti mascherati.
Insomma, tutti questi effetti si scaricano su chi poi, fuori dalla fabbrica, diventa invisibile. Un singolo deve cavarsela da solo.
Adesso per gli operai che sono rimasti è cominciata un'altra storia i cui risultati sono tutti da verificare, ma gli operai sanno per la loro stessa storia che per ottenere risultati devono mobilitarsi attivamente in maniera autonoma rispetto a chi li porta sempre al prossimo accordo perdente.
Insomma, bisogna dire ancora una volta basta con la cassa integrazione con perdita di salario che già il salario era basso per i fatti suoi, per non parlare delle condizioni di lavoro. Basta con le proroghe di cassa integrazione anche inventate spesso ad hoc. Basta come la mobilitazione stabilimento per stabilimento che purtroppo è stata fatta fin dall'inizio e ha isolato agli operai.
Ma visto che i passaggi previsti per la messa in pratica degli accordi con Pelligra si dovrebbero concludere entro il 4 novembre prossimo - data della definitiva scadenza di tutti gli ammortizzatori sociali - che gli operai si prendano questo tempo per analizzare e ragionare, prendendo le proprie decisioni su come avere finalmente strette nelle proprie mani la loro lotta e il loro destino.
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