La Nato ha deciso di aumentare il personale della missione militare di occupazione dell'Iraq da 500 a 4.000 effettivi per coprire il vuoto della decisione di ridimensionamento delle truppe USA nonostante il parlamento iracheno avesse già espresso la sua volontà contraria. L'Italia assumerà il comando delle truppe imperialiste, un impegno per cui “la Nato è estremamente grata” (Stoltenberg).
L’IMPEGNO IN IRAQ
Intanto è ufficiale il potenziamento della missione in Iraq, per cui il recente attacco a Erbil conferma che le condizioni di sicurezza non sono ancora soddisfacenti. Qui l’impegno della Nato è stato finora più defilato. Lo sforzo internazionale contro il terrorismo si è esplicato infatti con la Coalizione internazionale anti-Isis, che vede attualmente l’Italia impegnata con circa 1.100 unità per la missione Prima Parthica. A inizio settembre (con quella che era sembrata una mossa elettorale) gli Stati Uniti hanno ufficializzato l’intenzione di ritiro parziale delle truppe presenti nel Paese, da 5.200 a 3.000. Ritiro meno improvviso rispetto ad altri, in linea con quanto concordato in ambito Nato che da tempo ha deciso di potenziare la propria “training mission”, ereditando competenze dalla Coalizione anti-Isis. Ciò rispondeva soprattutto all’obiettivo di abbassare il profilo Usa nel Paese, divenuto complesso dopo l’uccisione a gennaio 2020 del leader iraniano Qassem Soleimani.
IL POTENZIAMENTO
Oggi i ministri della Difesa hanno concordato sul potenziamento della Nato training mission, con compiti principali di addestramento e supporto alle forze irachene e curda, che passerebbe da 400 a 5mila unità. Guerini nel suo intervento ha ricordato l’attacco a Erbil: “Questo evento ci conferma l’importanza della nostra presenza in un’area di fondamentale importanza per la stabilità del medio-oriente”. L’Italia, ha aggiunto il ministro, “sostiene il rafforzamento della missione Nato con lo scopo di estendere le attività addestrative, di consulenza ed esercitative nelle aree indicate nel piano, coerentemente con le condizioni di sicurezza”. Nell’ultimo anno e poco più Guerini è stato quattro volte in Iraq.
GLI INTERESSI ITALIANI
D’altra parte gli interessi non mancano. Quelli di sicurezza si legano all’intero scenario mediorientale, in rapida evoluzione dal Libano (dove l’Italia ha un ruolo centrale) fino al Mediterraneo. Agli interessi strategici si sommano poi quelli economici e commerciali. “Riguardo la nostra cooperazione nel settore industriale – ha detto Guerini – l’Italia conferma la propria volontà di costruire un rapporto bilaterale privilegiato in tale settore”. Secondo gli ultimi dati dell’Unione petrolifera italiana, nei primi sei mesi dell’anno l’Iraq ha rappresentato il primo fornitore di petrolio greggio, con il 18% dell’import coperto dalle forniture irachene. Nel 2019 tale percentuale si è attestata al 20%, davanti alle importazioni da Azerbaijan, Russia e Libia. Secondo l’Ice, da gennaio a giugno 2020 l’Italia ha esportato all’Iraq prodotti per circa 241 milioni di euro, in crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
L'analisi di Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa:
Queste unità sono presenti anche a Baghdad, ma soprattutto nell’area di Kirkuk, dove Forze speciali addestrano gli iracheni del Counter terrorism service (Cts) e i Peshmerga delle forze di sicurezza curde. Non siamo soli, ma partecipano altri otto Paesi europei. Caso unico di rapporto positivo con il variegato mondo dei curdi, in questo affiancamento sono presenti anche pochi turchi.
..per noi, l’Iraq si è già mostrato in varie occasioni luogo di interesse, con una nostra presenza varia e ricorrente. Sebbene le autorizzazioni parlamentari, giustamente, continuino ad autogiustificarsi con motivazioni umanitarie, nel 1991 lo abbiamo bombardato con i Tornado. Siamo poi ritornati con Antica Babilonia, stabilendoci, seduti su un invisibile lago di petrolio, nella provincia del Dhi Qar. Abbiamo anche combattuto, e dopo Nassiriya ricordiamo la “battaglia dei ponti” per difenderci dagli irregolari dell’Esercito del Mahdi.
L’interesse per l’Iraq evidentemente persiste, se poi ci siamo ritornati per la terza volta, e in forze, con Prima Parthica, nome suggestivo che ricorda Settimio Severo. Non solo, ma nell’ambito della coalizione Inherent Resolve, con altri 79 Paesi (la maggior parte in sostegno morale, piuttosto che pratico) addestriamo e organizziamo i Peshmerga curdi e le forze irachene contro la nuova insorgenza dell’Isis. Oltre alla delusione per il nuovo ritardo nel ritiro dall’Afghanistan, per noi la cosa “scontata” emersa dalla video-conferenza Nato dei ministri della Difesa è la permanenza, con incremento di numero e di ruolo, della nostra presenza in Iraq. Scontata perché il lungo iter per le missioni internazionali 2020 (con effetti anche per il 2021), finalmente approvato dalla Camera il 16 luglio scorso, già confermava per l’Iraq la proroga della missione Nato e istituiva il nucleo embrionale di una piccola missione europea.
Nel complesso, l’impegno consiste, al momento, in 1.100 militari, 270 mezzi terrestri e dodici mezzi aerei. Ricordiamo, in questo contesto, anche l’impegno dell’Aeronautica in Iraq dal Kuwait, con Eurofighter, tanker e velivoli pilotati a distanza per raccolta intelligence. L’impegno finanziario nell’anno è di circa 260 milioni di euro.
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