giovedì 8 marzo 2018

pc 8 marzo - Il movimento femminista e il ruolo della donna lavoratrice nella lotta di classe - Alexandra Kollontaj - II PARTE

Seconda parte


Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna (*)

Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

1921

VIII conferenza

Abbiamo appena evidenziato che il capitalismo riproduce al suo interno numerose contraddizioni e antagonismi. L'attuale situazione della donna è una di queste contraddizioni. Questo vale anche per le donne della classe borghese, anche se la maggior parte di loro continua a giocare alle cortigiane legali e a rifugiarsi "dietro le spalle" del proprio marito. E' tuttavia vero che sono sempre più numerose a invadere il mercato del lavoro e che il complicato meccanismo della produzione capitalista ne ha sempre più bisogno, sia nell'amministrazione pubblica che in quella privata. Questa crescente domanda non è certamente solo dovuta alla competizione tra il prezzo più basso della manodopera femminile rispetto alla manodopera maschile, ma anche perché le donne sono generalmente più flessibili e più coscienziose dei loro colleghi maschi.

Se la produzione attuale nelle grandi imprese non può più assolutamente fare a meno della forza lavoro femminile, la società borghese, che si crogiola sulla proprietà privata, ancor più non può fare a meno dell'istituzione della famiglia. L'espansione del lavoro femminile e l'indipendenza economica

crescente della donna contribuiscono alla sua emancipazione. La famiglia non resiste a questo processo e si disgrega inesorabilmente.

La borghesia o più precisamente il capitalismo, attrae le donne fuori dal loro focolare e le integra nella produzione. Ma la legislazione borghese allo stesso tempo rifiuta di tenere conto di questo nuovo fatto. Il diritto borghese continua a basarsi sulla dipendenza della donna, come se fosse sempre sotto il controllo del "sostegno familiare" del marito, responsabile di difendere al massimo i suoi interessi. Questa legislazione non consente mai di considerare la donna come una persona autonoma, che è e rimane un semplice complemento, un'appendice del proprio marito. Una situazione alla fine che è ovviamente intollerabile. Milioni di donne guadagnano la loro sopravvivenza pur non avendo alcuna possibilità di difendere i propri interessi di fronte allo Stato, poiché questi si rifiuta semplicemente di concedere loro la maggior parte dei diritti riservati ai cittadini maschili.

La lotta per il diritto di voto e per l'eleggibilità, fu la rivendicazione principale delle femministe negli anni 60 dell'Ottocento.

Le Americane furono le pioniere di questo movimento. Parteciparono attivamente alla guerra d'Indipendenza degli Stati Uniti e lottarono per l'abolizione della schiavitù. Questa guerra fu una battaglia decisiva tra gli Stati feudali del Sud e gli Stati capitalisti del Nord. I nordisti guadagnarono la vittoria e gli Stati Uniti d'America divennero un paese dove prosperarono il capitalismo e la schiavitù salariata. La schiavitù dei Neri fu abolita per decreto. Come sempre in questi tipi di conflitti sociali, le donne parteciparono in modo particolarmente attivo alla guerra civile. La nuova Costituzione ha esteso i diritti del governo centrale e le donne naturalmente hanno lottato per ottenere la soddisfazione delle loro rivendicazioni. "Se il Nero è riconosciuto come un essere umano libero e indipendente, perché la donna, che ha contribuito all'abolizione della schiavitù, dovrebbe essere l'unica a non godere di tutta la sua autonomia di fronte alla legge?" Tuttavia, il Parlamento borghese del Congresso degli Stati Uniti famoso per il suo "amore per la libertà e la democrazia", si guardò bene di accordare alla donna uguali diritti. Questa era la situazione poco dopo la fine della Guerra d'Indipendenza e oggi non è cambiato molto. Le donne non sono ancora state in grado di ottenere il suffragio a livello di governo centrale. Lo detengono solo a livello degli Stati federali.

Sulla scia degli Stati Uniti, sorse in Inghilterra un formidabile movimento femminista in lotta per il diritto di voto. Le femministe, che ora lavoravano in ogni tipo di libera professione, spostarono l'obiettivo della loro lotta e lo rinviarono principalmente al diritto di eleggibilità. È su questo tema che vennero fondate tutte une serie di organizzazioni femminili. Le femministe in diversi paesi organizzarono azioni congiunte e a partire dal secolo scorso, congressi internazionali delle donne. Hanno bombardato i parlamenti borghesi con petizioni e inondato il mercato letterario con libri, opuscoli e proclami riguardanti il suffragio universale delle donne. Quando questa "tattica pacifica" si rivelò inefficace, le femministe adottarono i metodi delle suffragette. Le militanti femministe borghesi erano ben note nei primi anni di questo secolo e lo furono fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Occorre tuttavia porre l'accento sul fatto che, in diversi paesi, queste stesse femministe che affermavano la rappresentanza della maggioranza delle donne nella loro lotta per i diritti politici, quando ebbero realmente la possibilità di opporsi all'introduzione del sistema elettorale delle tre classi, accettarono quest'ultimo e permisero che le donne proletarie fossero private del loro diritto al suffragio.

Durante la guerra mondiale le attività delle femministe diminuirono. In alcuni paesi, sotto la pressione delle tempeste rivoluzionarie che scuotevano l'Europa dopo la guerra e in particolare a causa della Grande Rivoluzione operaia russa, la borghesia fu costretta a cedere in alcuni settori. È per questo che in Inghilterra, in Svezia e in Germania, la borghesia accordò alle donne il loro diritto di voto così ardentemente desiderato, come pure la possibilità di partecipare agli affari dello Stato. Rivisitarono il codice sul matrimonio e il diritto relativo all'eredità e ciò in modo da garantire gli interessi della donna borghese all'interno della famiglia. Siamo arrivate lì, ma non oltre. Con queste riforme, un grande numero di rivendicazioni che le femministe avevano considerato risolutive della "questione femminile", fu così soddisfatto. Ciò ci mostra chiaramente che il problema non può essere regolato da una semplice applicazione formale dell'uguaglianza di diritti, ma che l'intera faccenda è molto più ampia e complessa.

In molti paesi capitalisti borghesi, la donna usufruisce ora degli stessi diritti politici dell'uomo. Il diritto al lavoro in gran parte è stato conquistato. In tutte le nazioni le donne beneficiano inoltre della possibilità di proseguire negli studi superiori. Le relazioni tra l'uomo e la donna, tra genitori e figli, testimoniano l'importanza dei diritti acquisiti dalla donna. Tuttavia "la questione femminile", rimane irrisolta. Il riconoscimento formale di questi diritti nel capitalismo e nella dittatura borghese non la dispensa affatto di vivere, in realtà, la vita a servizio della propria famiglia, non le garantisce alcuna protezione contro pregiudizi e costumi della società borghese, non la libera dalla dipendenza di suo marito, né in ultima analisi - e questo è determinante - dallo sfruttamento capitalista.

Il movimento femminista borghese è entrato in un vicolo cieco. Le organizzazioni rivoluzionarie del proletariato sono le sole ad indicare la via che possono intraprendere le donne lavoratrici. Ma, inizialmente, le operaie, non più degli operai, non compresero che l'obiettivo finale del movimento operaio portava con sé la risoluzione alla "questione femminile". È soltanto poco a poco e attraverso esperienze faticosamente conquistate, che la classe operaia prese coscienza del fatto che non esistevano nell'ambito del proletariato contraddizioni antagoniste, né conflitti di interessi. Già, grazie alla meccanizzazione del lavoro, le attività che erano rimaste diverse si stavano uniformando, cosicché gli operai e le operaie hanno oggi interessi e obiettivi simili. Il proletariato è un'unità. È una classe che non ha spazio per una guerra tra i sessi e la liberazione delle donne fa parte dei suoi obiettivi a lungo termine.

Il movimento femminista borghese si sviluppò a partire dalla parola d'ordine: "Uguaglianza di diritti". La prima parola d'ordine delle operaie fu: "Diritto al lavoro". Negli anni 1850, le operaie lottarono per le seguenti rivendicazioni:

- Accesso ai sindacati nelle stesse condizioni dei colleghi maschili.

- A lavoro uguale, uguale salario.

- Protezione del lavoro femminile (questa rivendicazione apparve alla fine della XIX secolo.)

- Protezione generale della maternità.

Nessuna di queste rivendicazioni è in contraddizione con gli interessi di classe del proletariato, al contrario, esse sono tipicamente proletarie. La lotta per il diritto al lavoro caratterizzava già le azioni contro le organizzazioni corporative del XVIII secolo, non fu tuttavia condotta esclusivamente da operaie, ma dalla totalità degli operai non qualificati, uomini e donne. È anche del tutto corretto considerare l'affiliazione delle donne nei sindacati come un dovere della classe lavoratrice. La rivendicazione di uguale retribuzione per un lavoro uguale è sempre stata alla base delle lotte salariali della classe operaia e ha determinato la politica salariale. Dovete tuttavia tenere conto del fatto che una classe, poco dopo la sua nascita, riconosce soltanto di rado dove stia il suo vero interesse. L'insufficiente esperienza e le false prospettive conducono naturalmente a commettere gravi errori. Ma, grazie alla propria esperienza di lotta, si acquisisce una coscienza solida e sicura e una maturità di giudizio sul piano politico e sociale. Con lo sviluppo del lavoro femminile, il proletariato incontra anche queste difficoltà, prima di prendere posizione a favore di questi problemi.

La storia del proletariato brulica di aneddoti che mostrano che le lavoratrici, ogni volta che riuscivano ad entrare in un nuovo settore di produzione, incontravano grandi difficoltà ad ottenere dai loro fratelli di classe un comportamento da compagni. Le difficoltà delle operaie erano molto più grandi di quelle delle donne borghesi quando lottavano per il loro accesso agli studi universitari. In innumerevoli settori industriali (ad esempio nell'industria meccanica, la tipografia, ecc., che impiegano una manodopera qualificata), l'arrivo delle operaie nella produzione fu attivamente contrastato dai loro colleghi maschi. Numerosi sindacati sancivano nei loro statuti "l'esclusione della manodopera femminile non qualificata, responsabile del deterioramento dei redditi degli operai". Sindacati potenti forzarono i padroni a rinunciare all'occupazione delle donne. Alcuni gruppi di lavoratori furono ancora più estremisti e vietavano in modo totale che le donne aderissero ai loro sindacati. Dobbiamo tuttavia renderci conto che questa tragica situazione, che naturalmente minacciava l'unità della classe operaia, aveva cause comprensibili. L'insufficienza di formazione professionale impediva alle operaie di accedere ad alcuni settori, come alle donne borghesi di esercitare libere professioni. E le donne continuano ad offrire la loro forza lavoro non qualificata e dunque meno costosa.

Il problema era particolarmente acuto nel settore meccanico. Ma appena si richiedeva una competenza professionale, le donne non avevano più nessuna possibilità. È per questo che il problema della qualificazione professionale rimane in tutto il mondo un terribile handicap per le donne, poiché, da questo punto di vista, le cose non sono cambiate molto da allora.

Gli operai, che temevano la concorrenza del lavoro a buon mercato delle donne, si spinsero fino a richiedere leggi che limitavano il lavoro delle donne. Quando negli anni 1840 apparve un movimento spontaneo in lotta per la protezione del lavoro, la rivendicazione degli operai riguardava soprattutto la regolamentazione indispensabile del lavoro di donne e bambini. La maggior parte di loro naturalmente sosteneva queste rivendicazioni, ma per ragioni che erano tutto, tranne che generose. Speravano in questo modo di potere limitare la concorrenza del lavoro sottopagato delle donne e dei bambini. Le operaie, tuttavia, non hanno mai cercato di escludere le donne sposate dalla produzione.

Ma la dinamica delle forze produttive fu più forte della volontà e dei desideri di individui isolati o anche di intere organizzazioni. Non era più possibile fare a meno del lavoro femminile. Successivamente, gli operai riconobbero che non restava loro diversa soluzione che trasformare questo indesiderato concorrente nel mercato del lavoro in un alleato fedele alla loro lotta contro il capitale. Anziché proibire l'accesso delle donne ai sindacati ed escluderle dalla produzione come era stato, cercarono da quel momento di includerle nelle loro organizzazioni e ottenere la loro adesione. Attualmente, i sindacati in Europa, negli Stati Uniti e in Australia e parzialmente, anche in Asia, raccolgono milioni di aderenti. I sindacati cinesi e indiani restano i soli a dare prova di cattiva volontà nei confronti delle donne. Ma in Giappone, le operaie sono già organizzate con gli uomini.

Finché i sindacati proibivano l'accesso alle donne, queste furono naturalmente obbligate a creare proprie organizzazioni. I sindacati di donne riunirono numerose aderenti, soprattutto in Inghilterra, ma esistevano anche in Francia, in Germania e in America. Tuttavia da quando il movimento operaio ha acquisito una coscienza di classe rivoluzionaria, le barriere tra lavoratori e lavoratrici si sono allontanate e i sindacati di donne si sono fusi al resto del movimento operaio in un flusso potente e unito.

Il proletariato iniziò a riconoscere che la donna aveva diritti uguali come schiavo salariato e membro della totalità della classe operaia. Inoltre, a causa della sua funzione materna, il proletariato era costretto a difendere i diritti delle donne e ciò nell'interesse delle future generazioni. È per questo che attualmente cerca di ottenere una legislazione che garantisca la protezione delle lavoratrici.

Da quando la classe operaia si è raggruppata in un partito e ha iniziato ad adottare una politica autentica di lotta di classe, la necessità delle lavoratrici di elaborare il loro programma di rivendicazioni è scomparsa. "A lavoro uguale, salario uguale" ha trovato una risonanza generale. Anche i partiti socialisti moderati hanno integrato nel loro programma la lotta per la protezione del lavoro delle donne e dei bambini. Siamo costretti a riconoscere tuttavia che la conquista definitiva dell'uguaglianza dei diritti della donna e della sua liberazione non è possibile sotto il capitalismo. Il problema della donna può trovare una soluzione pratica soltanto nel sistema di produzione in cui la donna è interamente riconosciuta come forza di lavoro utile e necessaria, che lavora non solo per migliorare il benessere della propria famiglia, ma per quello dell'intera società.

La liberazione definitiva e totale della donna è possibile solo nel comunismo. Questo è anche il motivo per cui la parte più cosciente del proletariato femminile internazionale è entrata nelle fila del partito comunista. Ora dobbiamo fare i conti con un fatto estremamente importante che non possiamo assolutamente eludere. Mentre la maggioranza del proletariato riconobbe solo tardi la lotta per la liberazione della donna come parte integrante della lotta di classe, l'avanguardia della classe operaia – i socialisti – lo aveva compreso sin dall'inizio. I socialisti utopisti dell'inizio del XIX secolo - Saint-Simon, Fourier e altri seguaci - stavano già discutendo della "questione femminile". Gli utopisti non potevano naturalmente scoprire le vere ragioni dell'oppressione delle donne, cioè erano incapaci di riconoscere che la schiavitù della donna era nata proprio perché aveva cessato di produrre un lavoro utile e produttivo per l'insieme della comunità. Ecco perché non hanno considerato una soluzione alla questione femminile, il suo lavoro obbligatorio per la società. Ai loro occhi, la donna rimaneva moglie o compagna, cioè in un modo o nell'altro "l'amica" dell'uomo e non una forza lavoro produttiva autonoma.

Se il grande merito degli utopisti fu di introdurre il dibattito sull'uguaglianza della donna in modo vigorosamente polemico, non fu però l'unico, poiché non si accontentava di analizzare il ruolo della donna nel lavoro e dinanzi alla legge, ma pose anche la questione della sua situazione nel matrimonio. Claude Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon, attaccò vigorosamente "la doppia morale" che imperversava nell'ambito dell'ipocrita società borghese. Le posizioni degli utopisti sull'uguaglianza tra i sessi, l'amore, il matrimonio e libertà di sentimenti" furono riprese da tutta una serie di donne nel corso della XIX secolo. Queste donne rifiutavano in modo costante di partecipare al movimento femminista borghese perché ritenevano che la "questione femminile" fosse un affare molto più vasto e complesso, che non si sarebbe risolto semplicemente con l'accesso delle donne alle università o alle urne. Fra le rappresentanti più affascinanti e combattive per il diritto delle donne "alla libertà di sentimenti", occorre citare George Sand, scrittrice rivoluzionaria francese che partecipò attivamente ai moti del 1848, come pure la prima giornalista americana, Margareth Fuller. Furono del resto contemporanee. È soprattutto grazie alla sua influenza personale che Margareth Fuller ha influenzato in modo decisivo questi aspetti della questione femminile e non tanto per la profondità e la maturità dei suoi scritti.

Robert Owen - utopista senza dubbio, ma in ogni caso molto pratico - riconobbe, come fondatore del movimento comunitario in Inghilterra, l'importanza della collaborazione delle donne. Nella sua prima comunità ci furono molti seguaci femminili. Se vi interessa l'argomento, vi consiglio di leggere sia Dobroliubov o anche il lavoro di Sidney e di Beatrice Webb sui sindacati, dove viene menzionato Robert Owen.

Il Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels analizza scientificamente la questione femminile sotto l'aspetto della famiglia e del matrimonio. L'opera di Friedrich Engels: L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, approfondisce e sviluppa le argomentazioni del Manifesto, mentre Karl Marx, nel Capitale, tratta un'altra questione, cioè che l'estensione del lavoro delle donne e lo sfruttamento di quest'ultimo da parte del capitale, sono un prodotto del processo di concentrazione nel sistema capitalista.

In questo contesto, la "questione femminile" cessò di essere un aspetto puramente pratico della lotta di classe e d'ora in poi ebbe il suo supporto teorico nella lotta di liberazione proletaria.

La Prima Internazionale mise all'ordine del giorno le questioni relative al lavoro delle donne quando elaborò le sue rivendicazioni pratiche. Karl Marx giudicò rigorosamente la proposta dell'ala destra e piccolo-borghese dell'Internazionale che esigeva la limitazione del lavoro delle donne in favore della famiglia. Naturalmente, la vera intenzione alla base di questa proposta era di limitare la concorrenza nel mercato del lavoro. Ma la Prima Internazionale ha riconosciuto che il lavoro delle donne era inevitabile e ha difeso la situazione delle donne come madri chiedendo una riforma delle leggi per la protezione della loro forza lavoro e della loro salute. Poiché la Prima Internazionale riconobbe la necessità sociale del lavoro delle donne, enfatizzando sia l'importanza della liberazione della donna, sia la sua funzione di madre, adottò, sin dall'inizio, una posizione coerente e giusta sulla questione femminile. Possiamo constatare con ciò quanto la classe operaia si separasse profondamente dalle femministe e quanto le loro posizioni sulla questione femminile fossero divergenti. Le femministe si impegnarono esclusivamente per l'ideale egualitario. La classe operaia, d'altro canto, era convinta che la liberazione della donna comportasse in realtà due aspetti e che non erano i diritti astratti qualsiasi che avrebbero migliorato la situazione della donna, al contrario. Si può aggiungere che questi diritti cambieranno totalmente la vita della popolazione attiva. La parità dei diritti e la protezione legale della madre erano le due esigenze essenziali e l'obiettivo a lungo termine dei comunisti, l'avanguardia del proletariato nella "questione femminile".

Negli anni 1870, fu pubblicato il libro di Auguste Bebel: La Donna e il Socialismo, tradotto successivamente in tutte le lingue, anche in cinese e in giapponese. Solo in Germania ci furono più di cinquanta edizioni. Questo successo è sufficientemente eloquente. Si può persino arrivare al punto di dire che questo libro è diventato per la lavoratrice, la verità del vangelo. Tutto ciò che fino ad allora era stato sfiorato dalle opere di Marx e di Engels e che è sempre stato la politica della Prima Internazionale per quanto riguarda la "questione femminile", Bebel lo formulò in modo non soltanto preciso, popolare e comprensibile, ma sviluppò anche queste tesi sulla base di un materiale storico impressionante. Bebel dimostrò definitivamente che il compito storico della classe operaia è indissolubilmente legato a quella della liberazione della donna. Indicò anche il cammino che conduce a questa liberazione: è la vittoria della classe operaia e la realizzazione del sistema comunista. Bebel affrontò tutti gli aspetti della "questione femminile" e non esitò a mettere il naso nella famiglia borghese e nell'ipocrisia della sua morale sessuale. Spiegò la prostituzione come un fenomeno sociale e provò anche che questo problema era in diretta relazione con la divisione della società in classi e con lo sfruttamento della forza lavoro da parte del capitale. Tuttavia, il suo contributo più importante fu di avere formulato con precisione il doppio compito della classe operaia nel processo che conduce alla liberazione della donna, un doppio compito che si riassume con queste parole: unità di lotta. Unità per le lotte sia a breve termine che a lungo termine e dove designa senza ambiguità i compiti particolari che spettano alla classe operaia riguardo alle madri. Questo movimento di donne proletarie è subordinato alla lotta unitaria del movimento operaio. Le sue rivendicazioni particolari rafforzano e sviluppano il movimento operaio stesso.

Il lavoro di Bebel esercitò una grande influenza e fu particolarmente utile per le donne della Seconda Internazionale che esitavano sul cammino da seguire per il movimento delle donne proletarie.

A partire dagli ultimi dieci anni del secolo scorso, il numero delle aderenti al movimento delle donne proletarie aumentò considerevolmente. Le lavoratrici unirono strettamente le loro lotte a quelle della classe operaia, entrarono nei sindacati e nei partiti socialisti e parteciparono attivamente agli scioperi, ai movimenti di massa, alle manifestazioni e ai congressi mondiali.

All'epoca della Prima Guerra mondiale, il proletariato poteva contare su circa un milione di lavoratori organizzati. Nei partiti socialisti, le donne appartenevano molto spesso alla tendenza di sinistra.

Mentre le idee socialiste si diffondevano e si stabilizzavano, molte donne politicamente attive si unirono all'ambito del movimento operaio. Alcune fra loro diventarono modelli per il movimento socialista, attraverso la loro pratica e attraverso le loro opere teoriche. Conoscete certamente nomi come Louise Michel - organizzatrice e agitatrice entusiasta e disinteressata della lotta di classe nella Comune di Parigi - o anche Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, Henriette Roland-Holst e Angelica Balabanov. Il loro impegno nella lotta per il comunismo di allora è ampiamente riconosciuto e i loro nomi, soprattutto grazie alle loro notevoli azioni in relazione alla fondazione della Terza Internazionale, sono passati alla storia.

La recente storia russa è ricca di donne che hanno rotto senza esitare con le tradizioni e i valori borghesi e che furono, a partire dagli anni 1870, audaci attiviste della lotta rivoluzionaria. La storia dei partiti rivoluzionari della Russia e i cui inizi coincidono con la formazione del proletariato russo, testimonia l'esistenza di numerose donne, della loro forza interiore, del loro disinteresse e della loro determinazione rivoluzionaria. Bardina ad esempio, la prima donna socialista della Russia, "andò al popolo" con la ferma intenzione di seminare fra le masse ignoranti e completamente private dei loro diritti, la buona parola dell'avvento della giustizia sociale, vale a dire del socialismo. Fu seguita dalle intrepide sorelle Subbotina, la risoluta Lesjern e l'altruista Liubotovitch. Né la prigione, né l'esilio, né la morte riuscirono a scuotere la ferma convinzione di queste pioniere del socialismo che lottavano per la liberazione del popolo dei lavoratori.

Negli anni 1880, incontriamo degne successori fra le audaci terroriste, tra cui Sofia Perovskaia, donna di grande tenacia. La sua personalità era una felice sintesi tra un'intelligenza maschile e un "io" estremamente femminile; mise tutto il suo calore e tutto il suo ardore al servizio della Rivoluzione. Al suo fianco appare l'operaia Gessie Helfinan, che morì sotto tortura zarista. Vera Figner, Wolkenstein e Vera Zassoulitch sono altre eroine e martiri della Rivoluzione e non furono le sole. (Il gruppo Emancipazione del lavoro, a cui dobbiamo la diffusione del marxismo nella Russia zarista, non comprendeva solo uomini come Pavel B. Axelrod e Georgij Plekhanov fra i suoi fondatori, ma anche una donna, Vera Zassoulitch. Le sue opere scientifiche hanno conservato fino ai nostri giorni il loro valore per la teoria marxista.)

Con la nascita della Terza Internazionale, il movimento delle donne proletarie diventò definitivamente un aspetto della lotta rivoluzionaria organizzata della classe operaia. Fu evidente in modo esplicito in occasione del I Congresso della Terza Internazionale nel 1919.

Mentre si rafforzerà il movimento operaio rivoluzionario e perseguirà obiettivi sempre più elevati, il movimento delle donne prospererà nel suo ambito e sarà altrettanto capace, nel periodo della dittatura proletaria, di risolvere il nodo gordiano della "questione femminile" e riuscire dove la società borghese è così penosamente fallita. Mentre ci avviciniamo alla vittoria della classe operaia e al trionfo del sistema comunista, il futuro della donna si schiarisce. La prossimità di questo futuro e l'emancipazione definitiva dipende solo dalla donna stessa, dal grado della sua coscienza politica e della sua attività rivoluzionaria.

Ma prima di terminare la nostra conferenza di oggi, certamente più lunga del previsto, ci chiederemo un'ultima volta se è possibile che la donna possa tornare di nuovo ai suoi fornelli e alla ristretta cerchia familiare. Oltre al fatto che i lavori domestici tradizionali scompaiono e diventano completamente superflui, c'è un'altra ragione importante perché una simile sviluppo sia diventato completamente impossibile: l'evoluzione costante delle forze produttive. Poiché con essa aumenta incessantemente la domanda di nuova forza lavoro. L'evoluzione della tecnica e ogni nuova invenzione comportano inevitabilmente un aumento della domanda di forza lavoro e ciò in tutti i settori della sua applicazione.

Le tendenze dello sviluppo economico sono tali che, a prima vista, non può esistere una forza lavoro in eccesso. L'umanità è ancora molto distante dal regno del superfluo. Resta a un livello relativamente basso del suo sviluppo e le innovazioni nelle aree della cultura sono accessibili sempre e soltanto ad una infima minoranza.

Finché il fabbisogno di forza lavoro umana aumenterà, la domanda di manodopera femminile non farà che aumentare. Il lavoro delle donne è oggi già una necessità nell'economia nazionale. Vi sarà facile immaginare la catastrofe economica che deriverebbe dal ritiro - artificiale – di settanta milioni di donne europee e americane dalla produzione. Ciò comporterebbe naturalmente il caos più totale in tutto il mondo e la rovina e la scomparsa di settori interi della produzione.

Nel XX secolo il lavoro delle donne è arrivato a rappresentare una parte importante della produzione e non c'è nessuna argomentazione convincente capace di spiegare il perché i fattori che hanno innescato la crescita del lavoro femminile dovrebbero essere respinti. Con il passaggio alla dittatura del proletariato e alla produzione comunista, il lavoro delle donne si è definitivamente imposto nell'economia nazionale. L'esempio della Russia ce lo dimostra con tutta la chiarezza auspicata: "Chi non vuole lavorare non deve neppure mangiare", dice la principale parola d'ordine comunista. Nella repubblica operaia, il lavoro diventa dunque un dovere civico. Alle condizioni attuali, il ritorno della donna nella stretta cerchia della famiglia e la sua regressione a uno status precedente senza diritti è diventato completamente impossibile.

La situazione della donna, il suo significato e i suoi diritti sociali sono dunque determinati dal suo ruolo economico. È il filo rosso conduttore che attraversa tutte le nostre conferenze.

Possiamo dunque concludere con certezza che i giorni dell'assenza di diritti, della dipendenza e dell'oppressione ormai sono contati. Il comunismo, che libera la produzione sotto la condizione del lavoro diffuso, libererà definitivamente le donne.

*) Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna - 12° Conferenza, Éditions "La Brèche", 1978

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