Il Manifesto in un articolo sulla Turchia intitolava "Le donne di Istanbul alzano la testa".
La presenza combattiva, delle ragazze, donne turche in prima fila ad Istanbul, in piazza Taksim, a Gezi Park, ad Ankara contro il governo di Erdogan e lo Stato fascista, e nel fronteggiare la tremenda repressione della polizi e resistere, tornare a lottare, è una realtà vasta, visibile.
"Donne che non hanno paura - diceva l'articolo - sono in prima linea nelle strade, di fronte
ai blindati della polizia, fronteggiano gli agenti, parlano con loro,
quasi sembra che li sfidino. Sono per strada sia fisicamente che
moralmente. In tanti quartieri il rumore delle loro pentole, le grida
dalla finestra e il click delle luci accese e spente a intermittenza
sono diventati la colonna sonora di questa protesta. Donne che sfidano
una società ancora fortemente maschilista, malgrado sia aumentano il
numero di coloro che ricevono un’educazione e hanno un lavoro fisso".
Come sempre, anche in questa grande protesta, le donne hanno una ragione in più per lottare contro il governo turco. In questo Stato che ha firmato la Convenzione contro la violenza sessuale, e in particolare la violenza domestica, che prende il nome proprio da Istanbul, "il
femmicidio è ancora un’emergenza in alcune zone del paese e secondo il
ministro della famiglia di Ankara Fatma Sahin, dal 2009 al 2012 666
donne sono state uccise da mariti o familiari. Secondo un recente
rapporto Onu il 39% delle donne turche ha subito violenze fisiche. I
reati di natura sessuale sono aumentati del 400% negli ultimi 10 anni" (dal Venerdì di Repubblica).
E ogni giorno vengono uccise tre donne che hanno lasciato il marito.
Tra i motivi che sono stati la miccia della rivolta di Taksim c'è la repressione sessuale, che considera reato anche gesti affettuosi in pubblico.
Alle donne la polizia di Erdogan in questi giorni ha poi riservato una doppia repressione, fatta anche di forme di violenze sessuali, di minacce di stupri alle ragazze, alle donne arrestate.
Ma anche in Turchia, come nei paesi arabi nei giorni delle rivolte di primavera, la partecipazione e il ruolo delle donne è stato e continua ad essere grande. Esso è anche il frutto della stridente contraddizione tra stadio oggettivo, attivismo delle donne nelle città, volontà di emancipazione e di diritti e risposta dello Stato che usa anche la morale islamica per conservare una condizione di oppressione da un lato e imporre dall'altro un moderno medioevo.
Nei primi mesi di quest'anno in Turchia vi sono stati due tremendi stupri venuti alla luce, tra i tanti, quello compiuto da 29 uomini - tra i quali un poliziotto - su una ragazzina di 13 anni e quello fatto in Anatolia da un gruppo di 26 maschi contro una ragazza ancora più piccola, di 12 anni. I 26 sono ora tutti liberi.
E in un'inchiesta fatta a un campione di 3.500 uomini superiori a 18 anni residenti nelle città è emerso l'humus che accompagna questi stupri: "il 38 per cento degli intervistati ritiene che la violenza sulle donne sia occasionalmente necessaria. Il 28 la considera un modo per disciplinarle. L'11,5 pensa che diventare violento nei confronti della moglie sia un diritto del marito. Il 37,5 che la violenza possa essere ammessa quando entrano in ballo valori come l'onore e la disciplina. Il 23,4 per cento degli intervistati ritiene, comunque, che la violenza sia accettabile quando costituisce una reazione alla provocazione femminile".
In questo senso, in queste rivolte, proteste di massa, il ruolo delle
donne e la risposta che i governi, gli Stati riservano loro, sempre riempite di "odio" verso le donne (al Cairo i "seguaci dei fratelli musulmani combattono l'attivismo politico dei movimenti femminili che hanno fatto la rivoluzione con stupri organizzati, come ai tempi di Mubarak... In tutte le testimonianze di aggressione... nessuna parla di una volontà dell'aggressore di toccarla, ma solo di picchiarla, violentarla e ferirla con lame affilate... e le autorità incoraggiano le aggressioni..." - da Repubblica) sono una cartina di tornasole della irresolvibilità di questo scontro con mere politiche di cambiamenti di governi.
Ma il ruolo delle donne non è affatto una novità in Turchia.
La lotta di questi giorni delle donne ha nel passato, nel presente e nel futuro delle "madri" che già in Turchia si sono sollevate, che sono la voce della maggioranza delle donne, sia di quelle delle città che oggi sono nelle proteste di Istanbul, Ankara e nelle principali cittàdella Turchia, sia delle donne che vivono nei villaggi del sud, e sono la voce e il futuro di queste proteste.
Sono le decine e decine di compagne incarcerate, tante, troppe, morte nelle tremende carceri della Turchia, le compagne che si sono lasciate morire in lunghi scioperi della fame.
Ma sono soprattutto le combattenti, dirigenti della lotta rivoluzionaria in atto in Turchia, sono le compagne dei partiti comunisti maoisti turchi, che noi abbiamo avuto l'onore anche di conoscere e di incontrare.
Tra queste vogliamo oggi ricordare "Rosa", trucidata nel giugno del 2005 insieme a 16 tra dirigenti, quadri, militanti del Partito Comunista Maoista Turchia-Nord Kurdistan, dopo essere stata torturata.
Rosa aveva fatto tra il 2000 e il 2001 lo sciopero della fame nelle carceri turche, dove aveva conosciuto la brutalità della polizia e dell'esercito che già usavano contro i prigionieri i gas nervino, gas urticante nelle bombe lacrimogene, utilizzato in questi giorni.
Rosa era stata a Palermo l'8 marzo del 2004 con le proletarie, le donne, le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, per parlare della lotta delle donne turche e kurde contro l'oppressione sociale borghese e feudale del regime e dell'imperialismo, della lotta per fare delle donne delle dirigenti nel partito comunista e nella guida della rivoluzione - di questo bellissimo incontro, delle importanti discussioni, informazioni che ci furono, esiste un opuscolo "Onore alla compagna "Rosa" - che è molto attuale proprio di fronte agli avvenimenti di oggi.
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