sabato 14 ottobre 2023

pc 14 ottobre - Respinta la legge sul salario minimo - La situazione nelle fabbriche - Da Controinformazione operaia del 13 ottobre


Operai, lavoratori, lavoratrici, precari, disoccupati,

è stata respinta dal governo la richiesta di istituire per legge un salario minimo garantito. E lo hanno fatto i tecnici, i burocrati del Cnel che guadagnano decine di migliaia di euro al mese e arrivano sicuramente a 100.000 € all'anno, perché si tratta di persone che, oltre ad avere questa carica, ne hanno molte altre, siedono in maniera diretta o indiretta nei consigli d'amministrazione delle grandi aziende e sono parte dell'apparato burocratico di alto livello dello Stato borghese. (vedi nota)

Costoro dicono che non si può fare una legge per istituire il salario minimo garantito. E colpiscono frontalmente, insultano di fatto, i milioni - si parla da 3 ai 5 milioni - di lavoratori che hanno tutti salari minimi al di sotto di 8 €, e non solo hanno salari minimi al di sotto, ma li hanno facendo un numero di ore che certe volte è ridicolo, e sicuramente con i soldi che prendono in questi lavori non possono mantenere né se stessi né le proprie famiglie. Tantissimi di questi lavoratori sono in realtà lavoratrici, una gran massa di lavoratrici povere, delle ditte di pulizia, dei servizi, degli appalti pubblici, statali e comunali, a cui viene negato il salario minimo garantito per legge. Certo si può stabilire a 10 a 12 €, come sarebbe anche più giusto. Non è tanto la misura esatta di questo aumento, ma quanto che ci sia un punto di riferimento che impedisca l'appalto al massimo ribasso, che impedisca la divisione tra i

lavoratori in micro appalti che ne eternizzano lo stato di miseria, di sfruttamento.

Hanno detto no, insieme ai rappresentanti dei padroni, i rappresentanti della Cisl.

Ebbene, la Cisl non è mai stato un sindacato realmente rappresentativo dei lavoratori che lottano, ma oggi è la quinta colonna del governo Meloni, antioperaio e anti proletario. Il governo aveva già la Ugl, la marea dei sindacati cosiddetti “autonomi”, più o meno dalla sua parte, ora ha anche una grande Confederazione come la Cisl che fiancheggia sistematicamente il governo.

Quando si parla di unità sindacale occorre unire i sindacati che lottano, invece quelli che sono dalla parte del padrone non vanno uniti, ma bisogna dividersi da essi per difendere le rivendicazioni operaie.

Naturalmente Uil, USB e Cgil hanno detto NO alla proposta del Cnel, ma questo non vuol dire che stiano facendo realmente una lotta per il salario minimo questi lavoratori. Le parole non sono contraddette dai fatti. La Cgil non rivendica questo salario minimo in nessuna delle sue vertenze che svolge in quei settori colpiti dai super bassi salari e dei bassi appalti, anzi, chi lotta in questi settori trova nella Cgil – e non parliamo della Uil - degli ostacoli a ottenere salari migliori, a ottenere orari migliori, a ottenere diritti e condizioni di lavoro migliore. Cgil e Uil supportano l'opposizione parlamentare che agita il problema del salario minimo. Ma quando è stata al governo in tutti questi anni si è ben guardata di stabilire una misura di questo genere, non solo, ha sempre considerato come interlocutori esclusivamente i sindacati confederali e la cosiddetta contrattazione, una contrattazione che ha sancito in tutti questi anni, oltre il peggioramento dei salari, il non recupero dei salari per la gran massa di lavoratori stabili - quindi la loro obiettiva riduzione -, il peggioramento dei regimi orari e delle condizioni di sicurezza. Quindi, sicuramente rimandare alla contrattazione, significa continuare secondo una strada in cui questa contrattazione non garantirà mai un salario minimo. Di qui una legge che possa fare riferimento ad esso.

I sostenitori del salario minimo, così come della salvaguardia del reddito di cittadinanza per le centinaia di migliaia di percettori a cui è stato volgarmente tolto da questo governo, non hanno che la strada di ribellarsi e di lottare.

Il giorno 20 c'è uno sciopero dei sindacati di base che sicuramente raccoglie queste rivendicazioni, però, l’importante è che le masse povere dei lavoratori possano rispondere effettivamente a questi appelli, e sappiamo quanto questo sia difficile. Non solo è difficile, ma anche va considerato che le uniche forme di lotta che pagano su questo terreno sono le rivolte popolari, i cosiddetti “scioperi selvaggi”, alla maniera della Francia, ad esempio, perché solo in questa maniera diventano un'effettiva prova di forza che può costringere i governi dei padroni a qualche passo indietro.

Lo sciopero del 20 non è un vero sciopero generale, è una domanda di sciopero generale, ma nello stesso tempo deve essere una rappresentazione di una lotta vera che si vuole fare sul salario minimo, sulla difesa del reddito di cittadinanza insieme alle rivendicazioni generali dei lavoratori che riguardano gli aumenti salariali sui posti di lavoro; la difesa del lavoro, perché i lavoratori, grandi fasce di operai, sono a rischio sul posto di lavoro per la chiusura delle fabbriche, per le ristrutturazioni, così come tagli e privatizzazioni colpiscono tutti i settori dei lavoratori.

Nello sciopero del 20 sono presenti i temi della sanità e della scuola e la naturale denuncia degli aumenti senza precedenti di spese militari e di investimenti dei governi di tutti i paesi imperialisti - e di cui il nostro è un esempio - in aumento di armamenti, armamenti, tagliando le spese sociali, le spese sulla sanità e sulla scuola, oltre che chiaramente i fondi per il lavoro, per il Sud.

Lo sciopero del 20 è un appello a mobilitarsi su scala nazionale, su questo.

Certo, anche noi che facciamo parte di questa fronte, dobbiamo trovare la maniera, oltre che di unirci, anche di innovare le nostre forme di lotta, le nostre piattaforme e perfino il nostro modo di pensare, per capire che ai padroni, che ci fanno la guerra sul piano sociale e sul piano delle condizioni dei lavoro e di vita, bisogna rispondere con la guerra dei lavoratori.

Sappiamo bene che questo Stato, questo governo sono contro i lavoratori e pronti a scatenare le forze dell'ordine, la polizia, come lo hanno fatto in diverse occasioni in queste ultime settimane.

Su questo raccogliamo l'appello, e pensiamo che bisogna seguirlo, di uno dei rappresentanti del Movimento dei disoccupati di Napoli, protagonista di una lotta continuata, che ha detto: “non arretreremo, non ci faremo più trattare come finora le forze dell'ordine hanno trattato i lavoratori”. Ecco, questo è un messaggio che dobbiamo sostenere e generalizzare.

Chiaramente nelle fabbriche la situazione resta abbastanza diversa, ma anche qui occorre cambiare rotta.

I lavoratori dell'auto del gruppo Stellantis negli Stati Uniti hanno fatto una lotta nuova che ha unito tutti gli stabilimenti automobilistici negli Stati Uniti; uno sciopero di cui tutto il mondo ha parlato non solo per l'importanza che ha il settore auto come settore centrale della classe operaia in tutto il mondo, quanto per la piattaforma realmente avanzata che questi lavoratori hanno portato in questo sciopero.
Comunichiamo intanto la notizia che lo sciopero dell'auto negli Stati Uniti non è affatto finito ma sta continuando nelle forme di una lotta prolungata, tant'è vero che sia Biden che Trump sono dovuti andare agli stabilimenti per dire che loro tutelano questi lavoratori, quando sappiamo bene che sia Trump che Biden tutelano solo gli interessi dei padroni, delle multinazionali, delle grandi multinazionali negli Stati Uniti come nel mondo. Eppure questo sciopero ha scomodato Biden e Trump. Questo sciopero nei giorni scorsi si è esteso in Canada, anche qui gli operai dell'auto sono scesi in sciopero. 
Ebbene perché alla Stellantis in Italia - che è il parente povero della grande multinazionale divenuta non più italiana - non si passa a uno sciopero generale degli operai dell'auto? Perché non si adotta una piattaforma simile a quella degli operai americani, adattata alle condizioni del nostro paese? Perché non si usano nuove forme di lotta che pure diversi gruppi di operai hanno cominciato a usare a Pomigliano, a Melfi con scioperi autodichiarati su alcuni aspetti della condizione operaia, non più accettabile?

Il 20 è difficile che ci sarà lo sciopero nelle fabbriche della Stellantis, lo sappiamo e nessuno venda fumo su questo, però è importante che in tutti gli stabilimenti della Stellantis arrivi il messaggio forte che è il tempo della lotta, dell'organizzazione classista e combattiva, il messaggio forte della lotta degli operai dell'auto. Perché non possiamo neanche nascondere che proprio nel settore auto sono annidati i sindacati più complici e collaborazionisti con il "Grande Padrone", dai tempi di Marchionne fino ad oggi, tanto è vero che perfino la Fiom viene messa fuori dai tavoli di trattativa e gli operai della Fiom vengono trattati come se fossero più o meno operai appartenenti ai sindacati di base che non vengono né riconosciuti e né legittimati e devono quotidianamente conquistarsi la loro presenza, attraverso rischi di licenziamento e di provvedimenti disciplinari e scioperi di minoranza.

Mentre salutiamo positivamente che sia pure su una piattaforma che non è certo quella del sindacalismo classista e combattivo - e a Taranto non è neanche la piattaforma operaia proposta dallo Slai Cobas per il sindacato di classe - tutto il gruppo ArcelorMittal, attualmente Acciaierie Italia/appalto, e i lavoratori cassintegrati dell'ex ILVA AS, il 20 ottobre sarà in sciopero e farà una manifestazione a Roma. 
È importante che il sindacalismo di base di classe, non solo a Taranto ma anche a livello nazionale, si occupi della vicenda ILVA. In questo senso da Taranto faremo una trasmissione per informare nei dettagli, perché insieme a tanti articoli che escono prevalentemente sulla stampa locale a livello nazionale, gli operai, i lavoratori, anche quelli più combattivi, conoscono poco quello che sta realmente accadendo nelle Acciaierie e a questa scarsa conoscenza corrisponde anche una confusione e un appiattimento sulla posizione salute, ambiente e così via, che è una posizione innanzitutto della piccola borghesia, e oggi anche degli altri gruppi industriali che sono in concorrenza con ArcelorMittal, attualmente Acciaierie d'Italia.

(nota)

Chi sono i componenti di quello semisconosciuto Ente che avrebbe dovuto essere soppresso ed invece è diventato l’ancora di salvataggio del devastante ex ministro Renato Brunetta – colui che dormiva sui banchi del Parlamento, ma aveva il coraggio di definire i lavoratori del pubblico impiego “fannulloni"?
Questo Ente è composto da sessantaquattro membri in rappresentanza del mondo del lavoro e delle imprese; i suoi due vice sono Floriano Botta e Claudio Risso – in rappresentanza, rispettivamente, di Confindustria e Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (Cisl) – mentre la carica di segretario è affidata ad Annalisa Guidotti, membro della Confederazione italiana della Piccola e media Industria (Confapi).
Appare chiaro lo sbilanciamento – della composizione di questa XI° consiliatura – verso gli interessi delle aziende, anche in considerazione del fatto che, tra le trentotto forze sociali – tra cui si trovano i sindacati confederali, l’Unione Generale del Lavoro (Ugl) e la Unione Sindacale di Base (Usb) – rappresentate al suo interno, sono davvero tantissime quelle della così detta “parte datoriale”.

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