Di Enzo Gamba
Quando, qui in Italia, ci rapportiamo a tutta la problematica della guerra russo-ucraina, uno degli aspetti che più ci colpisce nelle posizioni delle varie forze politiche liberal-borghesi, dei loro “think tanks” e della grande stampa e media che ne megafona le “analisi” e posizioni, è la banalizzazione semplicistica, parziale e unilaterale dei fatti, colti esulando dal complessivo contesto in cui sono inseriti. Il tutto connotato da un ipocrito doppiopesismo sull’intangibilità dei “principi riguardanti i diritti umani e democratici” e da una pervicace impostazione ideologica che, innanzitutto, diventa funzionale all’organizzazione al consenso degli strati popolari e alla loro irreggimentazione a sostegno del principale “protagonista” di questa decadente fase storica: la grande borghesia imperialistica finanziaria e della sua immutata propensione ad una politica imperialista guerrafondaia. Inoltre, manco a dirlo, ricaccia la sinistra di classe nella confusione e nell’incertezza di quale sia appunto una posizione di classe nella lotta per la pace contro la guerra.
Si sprecano “profondi” concetti, come la “guerra del bene contro il male”, della guerra da sempre “insita nella natura umana” e, in questo caso, nella “soggettività” di qualcuno in particolare, si rimarca la palese differenza tra “aggressori e aggrediti”, l’inconciliabilità tra “democrazia e autocrazia” e via discorrendo. Non rifugge da una impostazione di questo genere nemmeno la spiegazione,
apparentemente più concreta e geopolitica, della guerra come risultato dello scontro tra le “superpotenze”. Superpotenza è un concetto ed etimo che, al pari di quell’altra “fortunata” e tautologica locuzione della sinistra, quella dei famosi “poteri forti”, ha l’incapacità di spiegare in profondità la realtà attuale e nulla ha a che fare con quello di “imperialismo”, concetto che potrebbe invece spiegarci qualcosa di più.Se è scontato che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, è bene ricordare che la politica dominante in una società, pur contraddittoriamente, è sempre quella della classe dominante che esercita il suo dominio per garantirsi a livello strutturale-economico i (suoi) propri interessi vitali e di sviluppo. Senza un’analisi complessiva del contesto socioeconomico nei suoi aspetti strutturali non è possibile comprendere le contraddizioni e le dinamiche che poi portano allo sviluppo bellico. Quindi una “spiegazione” della guerra in Ucraina non può che basarsi sulle dinamiche e modalità dello scontro economico e politico che internazionalmente è intervenuto tra le borghesie direttamente in gioco, quella ucraina e russa, ma anche delle contraddizioni che si sono scatenate al loro interno e della contrapposizione antagonistica con le rispettive classi popolari, ma soprattutto dello “scontro intercapitalistico” tra i vari imperialismi presenti sulla scena economico-politica europea di quest’ultimo trentennio, scontro che ha sovradeterminato il quadro complessivo nel quale si è scatenata la guerra.
Per capire la situazione attuale, ciò che va analizzato è proprio la peculiare modalità con cui anche in Ucraina, oltre che in Russia (per non parlare di similari vicende che hanno interessato i paesi dell’ex Patto di Varsavia), è avvenuto lo smembramento e privatizzazione dell’economia pubblico/statale dell’ex URSS, l’accaparramento e il saccheggio che l’hanno contraddistinto nella formazione delle varie cordate finanziarie (“oligarchiche”) e la cruenta lotta di queste per la loro collocazione, nell’ambito di un imperialismo transnazionale, in un’area più legata a quella del rublo (e in generale “asiatica”) o a quella “occidentale” (UE e USA) dell’euro e del dollaro, le due “anime” imperialistico-valutarie che nel frattempo, sulle spoglie dell’ex “mercato economico sovietico” in Europa, si faranno la “guerra” l’una con l’altra, con la vittoria ormai quasi assodata della seconda sulla prima.
In particolare, parallelamente a ciò che succedeva in Russia con Eltsin prima e Putin poi, in Ucraina lo scontro interno alla grande borghesia oligarchico-finanziaria tra le varie componenti, fin dai tempi di Julija Timoshenko e della “rivoluzione arancione” , ma in particolare nel primo decennio di questo secolo, si è connotato di marcati accenti nazionalistici: pro russi per coloro che inizialmente erano, per legami e ragioni storiche, dominanti nella nuova gestione economica liberista, antirussi e pro euroccidentali per coloro che tentavano di sostituirsi a costoro. Proprio questo dato è in grado di spiegarci due fondamentali aspetti della questione ucraina e della conseguente guerra che ne è scaturita, il primo di carattere economico strutturale e il secondo politico-ideologico di carattere sovrastrutturale, aspetti che si intrecciano e sovrappongono fino a confondersi e mascherare la realtà.
Il primo è inerente alla capacità del grande capitale transnazionale “occidentale” di compenetrare la struttura economica capitalistica ucraina in tutti i settori economici, dalle terre agricole alle miniere, dall’industria dell’estrazione e commercio degli idrocarburi a quella delle terre rare, dall’industria pesante all’high-tech, fino al settore bancario-finanziario (si veda anche di Michael Roberts “Ucraina: l’invasione del capitale”), promuovendo in stile iper-liberista privatizzazioni, liberalizzazioni e conseguente trasformazione e peggioramento del mercato del lavoro, del salario sociale e welfare-state. Il tutto non nella modalità colonizzatrice del “vecchio” imperialismo, con una Ucraina “colonia” con una sua borghesia “compradora” (per usare vecchie terminologie), ma nelle modalità della fase attuale dell’imperialismo transnazionale basato su una rinnovata capacità di centralizzazione e concentrazione del grande capitale finanziario transnazionale, sulla acquisizione e controllo delle filiere del valore, delle cordate internazionali, ecc. in cui la nuova grande borghesia ucraina è, a tutti gli effetti, parte della grande borghesia sovranazionale mondiale.
Il secondo aspetto, inerente alla sovrastruttura politico-ideologica e comune anche alle vicende di molti paesi dell’ex URSS, è quello del carattere reazionario neonazista che assumeva e assume lo scontro e la lotta verso il vecchio apparato statalista ucraino orbitante nell’area di influenza economico-politica russa. Tale lotta si dirigeva e tuttora si indirizza inevitabilmente anche verso quelle forze politico-sindacali, popolari e di “sinistra”, identificate allo stesso tempo, sia come contigue all’apparato statalista ereditato dal passato “comunista” e sia come russofile, forze che avevano la colpa e la responsabilità di difendere ancora quei rimasugli di diritti sociali e sindacali non ancora spazzati via dall’ondata “democratica neoliberista” e di essere un ostacolo al cambiamento in quella direzione. Per la nuova borghesia dominante ucraina, la necessità di costituire, per molti versi ex novo, una identità nazionale e patriottica antirussa, ha comportato, oltre ad una complessiva politica russofoba, la rivalutazione storico-politica di tutte quelle fasi che nella storia “recente” (si parla di un secolo) hanno visto la contrapposizione politico-culturale e sociale, fino alla contrapposizione bellica nella seconda guerra mondiale, tra le componenti “etniche” ucraine e russe, dalla tragedia dell’Holodomor fino alla riabilitazione del periodo nazista di Bandera e al pieno sdoganamento e sostegno di forze che a quelle esperienze ideologicamente si rifanno, quelle stesse forze che saranno determinanti nelle vicende del 2014. Appare a questo punto comprensibile come parallelamente e specularmente, da parte della grande borghesia oligarchico finanziaria russa e della cultura dominante che esprime, si formi e si sviluppi quella ideologia politica profondamente reazionaria e nazionalista grande-russa che sorregge e sostanzia la sua politica imperialistica e che, nel caso ucraino, si declina come “denazificazione”(che ironicamente potremmo definire come una variante della occidentale “esportazione della democrazia”).
In relazione alle vicende ucraine del 2014, è stupefacente come la stragrande maggioranza delle forze politiche democratico-borghesi e dei media che le sostengono, si siano giustamente “stracciate le vesti”, sia di fronte al tentato golpe di Capitol Hill a Washington, sia di fronte all’assalto alla CGIL di Roma per la gravità politica antidemocratica che tali episodi hanno rappresentato. Ipocritamente però costoro, quasi fossero politicamente lobotomizzati, nulla dicono o ricordano dell’esito golpista di “Euro Maidan” e dell’assalto alla Casa dei Sindacati di Odessa nell’agosto 2014, con i suoi 46 morti! Eppure ciò che è successo in Ucraina dai primi mesi del ’14 ha determinato un profondo salto di qualità nei processi economico-sociali e politici che già nel decennio precedente si erano strutturati, consolidandoli e portandoli al livello “esplosivo” quali ora li conosciamo: piena integrazione economica dell’Ucraina nel grande capitale imperialistico transnazionale “occidentale” a scapito dell’imperialismo russo, aspetto materiale strutturale che sta alla base del voluto, da parte ucraina, e agevolato, da parte occidentale, possibile ingresso nell’UE e nella NATO; la piena fascistizzazione neo liberista della società ucraina e la guerra per la riconquista dei territori resisi autonomi dopo la rivolta di Maidan.
Lo sviluppo ultimo dell’invasione della Ucraina da parte della Russia quale continuazione della guerra economica tra l’imperialismo russo e quello ucraino-occidentale, principalmente usamericano, è l’ennesimo sviluppo e tassello di questo articolato e complesso quadro sociopolitico, dove agiscono e si intrecciano diverse contraddizioni che sono al contempo spiegazione materiale e mascheramento ideologico. Sicuramente però non è possibile comprendere quanto stia accadendo se, come dicevamo all’inizio, si esula dal contesto storico-sociale e si prende in esame in modo propagandistico, ideologico e puramente “di principio” solo ciò che è successo dal 24 febbraio di quest’anno.
A questo punto è bene ricordare e riepilogare quali siano le contraddizioni operanti nella situazione russo-ucraina in modo che sia più chiaro, anche per le forze popolari del nostro paese e per noi, come possa essere “declinata” la lotta per la pace e la lotta contro la guerra, chi sia il nostro nemico di classe e chi invece sia il nostro alleato.
Una prima contraddizione, che potremmo definire “intraborghese”, è quella che, nella borghesia ucraina, oppone i capitali delle varie cordate “oligarchiche” e non solo, e che si maschera come contraddizione tra borghesia “oligarchica” russofila e “libera” borghesia UE/occidentale, con il suo carico di propaganda ideologica della “libertà democratica neoliberista”. Una seconda contraddizione è quella che oppone la borghesia ucraina alle classi popolari di quel paese che però, dopo Maidan e i fatti di Odessa del ’14, oltre ad essere una “guerra di classe” della borghesia ucraina nei confronti delle classi lavoratrici e popolari, diventa, in piena ottica neocorporativa, la guerra “patriottica” ucraina contro il Donbass “filorusso” nel frattempo resosi indipendente. A tal proposito è bene ricordare come per le popolazioni del Donbass il doppio aspetto con cui si caratterizza tale contraddizione, russofobia da un lato e reazionario attacco neoliberista dall’altro, comporta che ci sia uno speculare atteggiamento nazionalista russofilo, da grande Russia, oggettivamente aggravatosi con l’annessione (per cui, per assurdo, a difendere il Donbass ci vanno anche i volontari nazifascisti che si rifanno al pensiero pro “eurasia” di gente come Dugin) e al contempo una impostazione da repubblica “tardo sovietica” con annessa ideologia che si rifà a valori e principi socialisti. Una terza contraddizione è quella intercapitalista tra borghesia ucraina e borghesia russa, che assume però i caratteri di una contraddizione interimperialistica tra l’imperialismo anglo-americano ed europeo legato all’area del dollaro e dell’euro e quello euro-asiatico russo -cinese. Il “campo di battaglia” principale di questo scontro, soprattutto per quanto riguarda la Russia, è il suo “ex giardino di casa”, quello delle ex repubbliche sovietiche: non a caso l’Ucraina era una di queste.
Tale coacervo di contraddizioni, dove l’aspetto strutturale di classe viene nascosto e falsato dall’aspetto ideologico sovrastrutturale, lascia poco spazio a soluzioni semplicistiche per ciò che riguarda la lotta per la pace che non può prescindere dall’essere una lotta alla guerra e alle politiche del riarmo dell’imperialismo. Quello che è indubitabile è il fatto che in ambedue gli schieramenti che si fronteggiano ci siano i nostri “nemici di classe” e che per i due popoli che sono stati trascinati nella guerra non è sufficiente combattere, sotto l’egida dei reazionari di turno, l’imperialismo straniero, ma è necessario combattere anche il proprio, pena essere carne da macello e sfruttamento per la propria borghesia. Purtroppo, tale autonoma coscienza di classe internazionalista è da decenni scomparsa, quantomeno nella realtà europea, ma proprio la sua assenza ci impone da subito di batterci almeno per il cessate il fuoco. L’inesistente autonomia teorico-politico-organizzativa della sinistra di classe, in Italia e in Europa, il “lato cattivo” mancante nelle contraddizioni sopra accennate, è il vero problema sia della ininfluenza e della subalternità delle classi popolari e del generale movimento per la pace verso l’imperialismo di guerra, sia della possibilità di praticare una reale politica di “internazionalismo proletario” che non ricada nell’adesione e nell’appoggio ad uno dei due schieramenti antipopolari, reazionari e imperialisti in campo
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