Un gruppo affiliato allo Stato Islamico ha preso d’assalto, il 24 marzo, la città di Palma, nel Nord del Mozambico. I militanti sarebbero membri dell’organizzazione islamista nota localmente come Al-Sunna wa Jama’a, ma anche come al-Shabaab.
Il Mozambico ‘siede’ su un giacimento di gas naturale che, una volta sfruttato, ne farebbe il secondo produttore mondiale dopo il Qatar. Al progetto, che ha comportato un investimento enorme di risorse, partecipano altre aziende oltre Total, tra cui l’italiana ENI e l’americana ExxonMobil. Nella provincia di Cabo Delgado si concentrano interessi energetici globali, e un vasto giacimento di rubini, che rifornisce l’80% del commercio mondiale. Di fronte a Palma sono stati scoperti giacimenti di gas naturale di dimensioni gigantesche. Sono tali da modificare sia il mercato energetico mondiale, forse dal 2024-2025, sia le policies del cambiamento climatico, in positivo per la sostituzione del carbone e in negativo
perché rimane pur sempre una fonte fossile. Alla scoperta e alla valorizzazione dei giacimenti lavorano tre grandi compagnie mondiali, Total, Eni ed ExxonMobil, a cui si aggiungono la russa Rosnet e interessi sudafricani.Le cause dell’insurrezione sono riconducibili all’estrema povertà della provincia di Cabo Delgado e soprattutto al fatto che la popolazione locale non ha accesso alle grandi quantità di risorse naturali che sono presenti nella zona. Di fatto, l’assalto del 24 marzo è venuto pochi giorni dopo che il gigante petrolifero francese, Total, aveva annunciato l’intenzione di riprendere la costruzione di un progetto di gas offshore da 20 miliardi di dollari nell’area, con l’intento di cominciare le attività nel 2024.
Il Mozambico significa ancora ENI, che è titolare di 5 licenze di esplorazione e sviluppo di giacimenti nel bacino di Rovuma e che gestisce lo sviluppo del progetto Rovuma LNG per la liquefazione, lo stoccaggio e la commercializzazione del gas naturale.
E' evidente il legame tra gli attacchi e l’industria del gas. Testimoni hanno detto che ad essere attaccate sono soprattutto le comunità che rifiutano di andarsene per lasciare posto alle imprese di sfruttamento del gas.
Le milizie jihadiste hanno preso di mira per la prima volta i lavoratori stranieri e, secondo alcune fonti locali, le infrastrutture gasiere. Si tratta di un cambiamento importante del paradigma operativo, volto ad innalzare il livello di esposizione mediatica del gruppo e, di conseguenza, il suo posizionamento all’interno del panorama insurrezionale regionale e globale. L’attacco ai cittadini stranieri e all’industria energetica rappresenta il tentativo di colpire con vigore gli interessi economici tanto del Governo mozambicano quanto dei partner occidentali e costituisce la manifestazione più estrema e violenta del disagio sociale della popolazione autoctona. Come accade nei paesi oppressi, nonostante i miliardi di investimenti che questi contratti hanno portato, la gente del luogo non ne ha beneficiato. Al contrario sia il territorio che i suoi abitanti hanno visto la loro vita cambiare – e peggiorare – con l'arrivo dell'industria del gas. Oltre 550 famiglie sono state costrette a lasciare le loro case, le società transnazionali si sono impossessate delle loro terre. Alcuni sono stati ricompensati, ma con denaro che non vale la perdita. “Offerte” – appena un decimo delle dimensioni degli appezzamenti “requisiti” - che non hanno potuto rifiutare. Interi villaggi sono stati rasi al suolo, bloccate vie d’accesso al mare – altra risorsa fondamentale in questo paese che affaccia sull’Oceano Indiano. E nonostante il territorio stia fruttando miliardi di dollari a investitori esteri sul fronte dei combustibili fossili, gran parte della popolazione non ha accesso all’elettricità. Certo passi in avanti sono stati fatti nel corso degli anni, nel settore dell’educazione e nella riduzione della povertà, ma ancora oggi oltre la metà della popolazione mozambicana (31 milioni di abitanti) vive in stato di povertà. Due terzi della popolazione vive nelle aree rurali, ricche a livello di risorse e di capacità produttiva ma prive di servizi.
La militanza jihadista di Cabo Delgado si è innescata sul perdurante malcontento delle comunità locali, che accusano il governo di non averle incluse nei benefici dello sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie della regione e di averli emarginati dai meccanismi di gestione politica del Paese. Tali accuse trovano una conferma nel fatto che la maggior parte della manodopera impiegata nel settore gasiero e minerario proviene dai Paesi vicini o dalle regioni centrali e meridionali del Mozambico e, in molti casi, viene ingaggiata sulla base di meccanismi clientelari controllati dalla burocrazia del partito di potere FRELIMO (Fronte di Liberazione Nazionale del Mozambico). Come se non bastasse, le attività economiche promosse dal governo hanno avuto impatti ambientali e sociali considerevoli per i cittadini locali, costretti a lasciare le proprie terre o vistisi negare il permesso di coltivare appezzamenti di terreno in prossimità delle infrastrutture o delle aree di pesca nelle acque prospicenti i giacimenti.
Nell’area operano anche Saipem e CMC
SACE (l'assicuratore di Stato italiano, agenzia del Ministero del Tesoro, tra l'altro probabile protagonista della gestione dei fondi del Recovery Plan) ha concesso garanzie per 700 e 900 milioni di euro a Eni e Saipem, con una terza in arrivo, per i progetti di estrazione di gas in Mozambico, nell'area dove è in corso una delle emergenze umanitarie più gravi al mondo.
A peggiorare la situazione sono stati gli eventi atmosferici. Nel 2019 due cicloni tropicali hanno colpito il paese a sole sei settimane di distanza l’uno dall’altro lasciando 1.85 milioni di persone in stato di bisogno e di assistenza umanitaria.
E ora irrompe la violenza jihadista. A febbraio 2021 a Cabo Delgado si contavano 798 assalti, quasi 4.000 vittime e 600.000 sfollati. Ora a queste cifre si aggiungono quelle degli attacchi degli ultimi giorni. Ma da tempo la vita in quell’area del paese vale poco o niente.
Intanto Palma è ora una città fantasma. Le 75.000 persone che l'abitavano sono fuggite. Molte premono sul confine con la Tanzania.
La creazione di migliaia di posti di lavoro per i giovani scarsamente istruiti di Cabo Delgado porrebbe fine alla guerra, ma ciò richiede alle compagnie del gas e agli oligarchi Frelimo che governano Cabo Delgado di utilizzare parte dei loro profitti per finanziare la creazione di posti di lavoro, e finora non hanno mostrato di no interesse. Preferirebbero che fosse incolpato lo Stato Islamico e che qualcun altro combatta la guerra.
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