Ieri il direttore di area, Ing. Lupoli, sentito come teste
al processo Ilva di Taranto, ad un certo punto ha spiegato come ha funzionato (e
funziona) all'Ilva il pluvalore relativo. Cioè il modo con cui il capitale riduce il lavoro necessario (vale a dire il tempo di lavoro che grosso modo corrisponde al salario percepito del
lavoratore) e prolunga il tempo del pluslavoro (vale a dire il tempo in cui l'operaio lavora gratis per produrre il plusvalore per il capitale),
aumentando la produttività del lavoro, attraverso soprattutto
l'automazione degli impianti. In questo modo una parte degli operai
diventa eccedente e l'altra si trova a fare il lavoro che prima facevano
in due.
E l'Ilva è stata appunto un'applicazione esemplare di questa "legge dei padroni".
Lupoli
ha, infatti, spiegato che in Ilva a fronte di interventi di automazione
si procedeva ad una riduzione degli operai fino ad allora addetti a
quell'impianto o a quel reparto: da 10 operai si passava
a 5. E gli
altri cinque venivano spostati in altri reparti.
Ha
poi aggiunto che i lavoratori che dovevano rimanere li sceglieva lui in
base alla sua valutazione di persone che riteneva piùo meno idonee.
Ecco illustrato il plusvalore relativo, e soprattutto le conseguenze per gli operai.
La
prima conseguenza è che 5 operai diventano esuberi, che fine fanno?
Come minimo vengono demansionati, come medio sono messi in
cassintegrazione, come massimo sono tra gli esuberi strutturali, tra i
licenziabili.
Secondo,
il lavoro che prima veniva fatto da 10 operai, ora viene fatto da 5. E
pur considerando un miglioramento del lavoro, c'è comunque, con
l'aumento della produttività, una intensificazione dell'attività
lavorativa, e, in una fabbrica siderurgica come l'Ilva, un aumento del
rischio di infortuni.
Per
il capitalista, nel nostro caso Riva, e poi direttamente lo Stato
attraverso i commissari, che succede, invece? Da un lato riduce subito
del 50% il suo costo del lavoro, dall'altro incrementa il suo plusvalore
attraverso la riduzione per ogni operaio rimasto del tempo di lavoro
necessario e l'allungamento del tempo di lavoro gratis per il
capitalista, pur mantenendo invariata la giornata lavorativa, cioè
attraverso un aumento dello sfruttamento. Di conseguenza, poi, lo stesso
salario si riduce, non nominalmente ma relativamente, perchè è
diminuito rispetto all'aumento del plusvalore.
In conclusione: il capitalista ci guadagna, gli operai ci perdono.
PS. Il nostro Ing. Lupoli guadagnava 200mila euro l'anno, più i "premi"...
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