Il 2016 in
Tunisia è inaugurato da una grande rivolta partita da Kasserine e diffusasi in
tutto il paese (ampia cronaca e analisi nell’opuscolo “La Tunisia brucia ancora” disponibile su richiesta a pcro.red@gmail.com) conclusasi la rivolta il fuoco
continua a covare sotto la cenere (non si spegne mai del tutto date le
condizioni) e dopo i giovani disoccupati e proletari entrano in campo con
grandi scioperi contro il governo i pescatori di tutto il paese. Più
circoscritto ma molto interessante per la natura della lotta e soprattutto
delle sue protagoniste, la lotta delle operaie della fabbrica tessile Mamotex a
Chebba, città costiera del Sahel tunisino nei pressi di Mahdia.
Incominciamo dal
racconto delle operaie della Mamotex, fabbrica che ha iniziato la propria
attività nel ’96 e ha chiuso per “fallimento” lo scorso gennaio.
“Siamo 65 operaie e solo 4 operai uomini,
lavoravamo 9 ore al giorno. Abbiamo un’età che va dai 16 ai 50 anni, l’età
media è intorno ai 40 anni.
L’azienda
è figlia di un’azienda madre, la Sotrico da cui riceve le materie prime,
l’attività della fabbrica è rivolta solo verso l’esportazione quindi avendo
aperto 20 anni fa ha goduto di grossi incentivi e sgravi fiscali nei primi 10
anni, e successivamente di ulteriori incentivi ma in quantità minore negli
ultimi 10 anni, puntualmente dopo 20 anni adesso l’azienda annuncia di essere
in crisi.”
Chiediamo
quindi quali erano i principali problemi che le operaie dovevano affrontare
durante i 20 anni di attività della fabbrica: “I problemi erano tanti, innanzitutto non eravamo trattate con
dignità, non c’era rispetto e lavoravamo
più di 8 ore come abbiamo già detto, senza che questo straordinario venisse riconosciuto.
Le condizioni del posto di lavoro erano inaccettabili: non c’era un posto per
fare la pausa pranzo, non ci concedevano il tempo per andare in bagno, non
c’era né un impianto di riscaldamento per l’inverno né un climatizzatore per i
mesi caldi. Inoltre se una ragazza faceva un errore nel suo lavoro veniva
punita facendola stare una o due ore in disparte senza fare niente. Il salario
arrivava sempre in ritardo, ogni mese con almeno 12 giorni di ritardo. Non
avevamo l’assicurazione per gli infortuni e nessun diritto, molte di noi hanno
lavorato 20 anni in nero. Cioè fin dall’apertura della fabbrica. Abbiamo fatto
molti scioperi contro il padrone per tutte queste motivazioni.”
Infine
con l’inizio dell’anno nuovo “Il
padrone ha annunciato che non c’erano i soldi per pagarci e le materie prime
per continuare il lavoro lo scorso 11 Gennaio, per un mese siamo rimaste in
fabbrica, poi siamo andati alla sede della delegazione di Chebba (le
delegazioni sono equivalenti alle provincie italiane, quella di Chebba fa parte
del governatorato, ovvero regione, di Mahdia n.d.a.) per rivendicare i nostri
diritti. Abbiamo fatto anche altri
tipi di protesta come il presidio della fabbrica
all’esterno con le tende, presidi in centro città, siamo andati anche ad “assediare” la casa del padrone. La durata complessiva di queste lotte è stata di 2 mesi, quando è stato raggiunto l’accordo abbiamo smesso. Adesso siamo ferme da circa 3 settimane.”
all’esterno con le tende, presidi in centro città, siamo andati anche ad “assediare” la casa del padrone. La durata complessiva di queste lotte è stata di 2 mesi, quando è stato raggiunto l’accordo abbiamo smesso. Adesso siamo ferme da circa 3 settimane.”
L’accordo
prevedeva che le operaie autogestissero e mandassero avanti la produzione con
l’aiuto dell’UGTT locale (Unione Generale dei Lavoratori Tunisini, il
principale sindacato nel paese n.d.a.) che
si sarebbe dovuta occupare della contabilità e dei rapporti con i fornitori e
l’azienda madre. Ma la parola del padrone è venuta meno: “Abbiamo deciso di continuare il lavoro da
sole, senza salario, e dar vita a questa esperienza storica e senza precedenti
in Tunisia che è quella dell’autogestione. Ma il padrone non ha rispettato
l’accordo e non abbiamo ricevuto le materie prime. Per il momento siamo stanche
e demoralizzate, stiamo facendo delle discussioni interne al sindacato per
vedere come continuare. Oggi siamo state alla sede del governatorato a Mahdia
ma non ci sono novità. Inoltre non abbiamo la possibilità economica di andare a
protestare alla Qasbah (sede del
governo a Tunisi n.d.a.)”.
Andiamo
invece ad indagare sull’altro “fronte di lotta” quello domestico, la lotta delle
operaie è stata impegnativa e le ha
viste occupate per giornate intere, in alcuni casi giorno e notte, come hanno
accolto i mariti questo impegno full time? Ci rispondono: “La maggior parte di noi è sposata quindi
abbiamo avuto problemi con i nostri mariti per il fatto di stare tutto il
giorno fuori casa per la lotta, ma molti di loro sono pescatori e in quel
periodo il porto era chiuso per via della loro protesta quindi anche loro non
lavoravano. Questo è stato un grosso problema da un punto di vista economico. Ma
a poco a poco hanno capito che era necessario dedicare gran parte del nostro
tempo alla lotta.”
Tornando
indietro a 5 anni fa, chiediamo alle operaie se e come hanno partecipato alla
rivolta contro Ben Ali, inoltre vogliamo sapere cose è cambiato nella loro
condizione di operaie e di donne in generale rispetto al periodo precedente la
rivolta:
“Non abbiamo fatto scioperi politici in
particolare, continuavamo con i nostri scioperi per le condizioni di lavoro.
Le condizioni di lavoro non sono cambiate
dopo la caduta del regime di Ben Ali, per questo abbiamo avuto la necessità di
organizzarci sindacalmente. Non è
cambiato granchè nella nostra condizione specifica di donne.
Posso
dire che l’unica cosa positiva è il fatto di potersi organizzare meglio con il
sindacato, ciò ha messo le basi per migliorare un po’ le condizioni di lavoro e
avere una vita più dignitosa in fabbrica grazie al fatto di poterci organizzare
più apertamente.”
Operai della Mamotex. Sede dell'UGTT di Chebba |
Infine
informiamo le operaie che pochi giorni prima in Italia c’è stato il secondo
sciopero delle donne in occasione dell’8 marzo, spieghiamo brevemente le
ragioni e la piattaforma dello sciopero, come si è svolto, in quali città e
quali categorie di donne ne hanno preso parte. Chiediamo alle operaie se
vogliono lanciare un messaggio alle donne italiane che vi hanno preso parte.
“Salutiamo le lavoratrici italiane e diciamo
loro che anche qui ci sono alcuni problemi simili che ci legano, da 20 anni
lavoriamo in questa fabbrica con queste condizioni e non si poteva andare
avanti così. Adesso il padrone ha deciso di mandarci tutti a casa, abbiamo
provato a fare tutto da sole qui in Tunisia nell’attuale contesto politico ma
purtroppo non possiamo continuare questa esperienza perché hanno ritirato
l’autorizzazione al nostro segretario sindacale di poter negoziare con i
fornitori delle materie prime, com’era previsto dall’accordo. Per il momento
siamo senza lavoro e la situazione è ancora più grave di prima, ma dobbiamo
andare avanti.”
Come abbiamo
visto, a Chebba nello stesso periodo vi sono state due importanti lotte: quella
delle operaie e quella dei pescatori. Abbiamo
sottoposto le stesse domande ai pescatori di Chebba, Mahdia e Gabés, con qualche
modifica per quanto riguarda Gabés data la sua particolarità (città industriale
e gli effetti diretti che l’attività industriale ha sul settore della pesca). Nell’ultimo periodo dopo la calma
precaria seguita alla Rivolta di Kasserine, interrotta brevemente la settimana scorsa da una piccola rivolta nel governatorato di Kebili, e alla “distrazione di massa”
agitando lo spauracchio del terrorismo e ultimamente giocando la carta
dell’unità nazionale in seguito ai fatti di Ben Guardane, il settore che ha
sfidato il governo è stato quello dei pescatori. In maniera compatta in tutte
le città costiere del paese hanno inscenato proteste più o meno radicali. In
particolare a Mahdia e Sfax ci sono stati blocchi stradali con incendio di
pneumatici e il blocco dei porti.Il governo si è rifiutato di incontrare i pescatori per oltre un mese e
tuttora nessuna decisione seria e reale è stata presa. I pescatori minacciano
che se il governo continuerà a fare orecchie da mercante, centinaia di
pescherecci tunisini salperanno alla volta di Lampedusa entrando nelle acque
territoriali italiane. Allo stesso tempo il governo non ha usato la via della
repressione diretta ma ha dato istruzioni alle forze di polizia di sorvegliare
in maniera “discreta” la protesta, tollerando anche i blocchi stradali, fino ad
ora…
Le risposte
hanno avuto un alto tasso di omogeneità.
Porto di Chebba |
Tutti
i pescatori denunciano innanzitutto la sordità del governo verso le loro
istanze in generale e in particolare come reazione all’ultimo sciopero (che è
durato più di un mese). Addirittura il governo ha presi come scusa gli eventi
di Ben Guardane per non incontrare i pescatori ma: “No, il ministro non ci ha ricevuto con la scusa degli eventi di Ben
Guardane, ma il nostro sciopero è iniziato prima di quegli eventi!
Successivamente il governo ci ha dato un contentino sul
prezzo del gasolio, dopo un mese e mezzo di lotta una riduzione del 5% e ha promesso
la riduzione di un altro 5% il mese prossimo. Sulla previdenza sociale ancora
niente nonostante molti pescatori sono morti sul lavoro e i familiari non
ricevono niente! Inoltre noi lavoriamo duro per guadagnare poche briciole, qui
si arricchiscono solo gli armatori.
L’assegno
familiare è di 20 dt a trimestre e solo per 3 figli al massimo, dal quarto
figlio in poi non viene riconosciuto, come se non fossero figli nostri! Dopo 30
anni di lavoro percepiamo una pensione di 180-200 dt. Ti faccio un appello, se
hai un giornale scrivile queste cose! Perché tutti i soldi se li prende
l’armatore?!”
Inoltre
denunciano:
“nessun partito politico ci ha sostenuto”.
L’adesione
allo sciopero
ha sfiorato ovunque il 100% in alcuni porti i pescatori hanno deciso di far
continuare a lavorare solo le barche più piccole con 1-3 pescatori di
equipaggio.
Circa
le forme di protesta attuate nelle 3 città in cui ci siamo
rapportati con i pescatori e in generale nel paese: “Abbiamo bloccato l’ingresso del porto non permettendo alle automobili
di entrare e alle macchine frigo soprattutto.” Inoltre a Gabès hanno
bloccato con le barche l’ingresso del porto del Gruppo Chimico Tunisino.
Non ci sono
stati grandi problemi con la polizia, il governo ha preferito non intervenire
direttamente facendo prima stancare i pescatori, non uscendo in mare a pescare
viene meno la loro fonte di
reddito e subito
dopo utilizzando la carota delle piccole concessioni. Solo a Sfax dove i
pescatori si sono spinti al di fuori dei confini del porto con blocchi
stradali, la polizia è intervenuta con cariche e repressione.
Circa
l’organizzazione dei pescatori vi è un problema che rispecchia la
contraddizione armatori-pescatori Il sindacato maggioritario, quando è
presente, è l’UGTT. In alcuni porti (Gabés e Mahdia) i pescatori sono
rappresentati da associazioni di categoria dominate dagli armatori. A Chebba
invece un pescatore ci dice “Il sindacato
maggioritario è l’UGTT ma è composto principalmente da armatori!” Inoltre “
un grande problema è all’interno, tra noi
pescatori: abbiamo fatto le elezioni dell’Associazione della Difesa dei
Pescatori e come suo rappresentante è stato eletto un armatore.”
Durante tutto il
periodo della sciopero vi è stata una coordinazione tra tutti porti tunisini
ma: “Si ci coordiniamo ma non dal basso
tra pescatori, i pezzi grossi si occupano di questo (armatori-UGTT)”.
Chiediamo
riguardo la protesta annunciata di salpare dalla Tunisia in direzione Lampedusa e anche per
questa domanda riceviamo pressoché la stessa riposta, ne riportiamo una
esemplificativa:
”Era solo una minaccia per fare pressione sul governo perché ci incontrasse, però a mio avviso sarebbe stato necessario metterla in pratica perché il resto del mondo non sa niente di noi. Questo lo so per certo, ho vissuto in Italia per 16 anni e quando guardavo il telegiornale mi accorgevo che le poche volte che si parlava del mondo arabo sicuramente non si parlava di noi pescatori tunisini. […] ma lo faremo se nelle prossime settimane non verranno mantenute le promesse. In ogni caso informeremo la stampa e l’Unione Europea, perché il problema non è solo con determinati paesi ma riguarda tutto il mediterraneo”.
”Era solo una minaccia per fare pressione sul governo perché ci incontrasse, però a mio avviso sarebbe stato necessario metterla in pratica perché il resto del mondo non sa niente di noi. Questo lo so per certo, ho vissuto in Italia per 16 anni e quando guardavo il telegiornale mi accorgevo che le poche volte che si parlava del mondo arabo sicuramente non si parlava di noi pescatori tunisini. […] ma lo faremo se nelle prossime settimane non verranno mantenute le promesse. In ogni caso informeremo la stampa e l’Unione Europea, perché il problema non è solo con determinati paesi ma riguarda tutto il mediterraneo”.
Chiediamo
quale è stato il contributo dei pescatori durante la rivolta contro il regime
di Ben Ali ricevendo
risposte diverse:
“No, i pescatori qui la rivolta non l’hanno
vista a Chebba. Abbiamo partecipato nella misura di organizzare l’autodifesa
della città contro i sostenitori di Ben Alì che hanno provato a creare
disordini attaccando dall’esterno. Ma la comunità cittadina è stata unita e ha
presidiato gli ingressi della città”.
A Mahdia invece
ci dicono:“Abbiamo fatto scioperi contro
il regime perché la famiglia di Ben Ali è composta da ladri che hanno rubato
tutte le ricchezze del paese”
Infine a Gabés
abbiamo ricevuto una risposta simile a quella dei pescatori di Chebba.
Sulle
questione di poter pescare in acque internazionali riceviamo la
stessa risposta:“ Il problema principale
è che i confini con la Libia non sono mai stati chiari, da sempre la marina
libica ha fermato le nostre barche se ritengono di trovarsi nelle loro acque
territoriali. Ci arrestano a volte ci sparano anche nelle loro manovre di
avvicinamento, ciò succedeva sia prima con Gheddafi sia adesso con il governo
di Fajir Libia di Tripoli. Noi non abbiamo nessun problema con il popolo libico
e con i nostri colleghi libici, ma con il governo. Per quanto riguarda l’Italia
invece i confini sono chiari quindi non abbiamo grossi problemi con la polizia
tunisina che pattuglia i confini perché sappiamo quando ci avviciniamo ad essi.
Come dicevamo prima noi non abbiamo nessun problemi con gli altri popoli o
colleghi stranieri, il problema sono i governi.”
I pescatori di
Mahdia aggiungono: “qui a Mahdia non c’è
il fermo biologico ma parte da Chebba in giù, noi chiediamo che venga applicato
in tutto il mediterraneo, non solo in Tunisia perché più passano gli anni più
aumenta la penuria di pesce.”
pescatori a Gabés |
Nella città
meridionale di Gabès, vi è una situazione particolare in quanto i pescatori di
questa città hanno un problema in più: l’inquinamento del mare dovuto all’attività
del polo industriale chimico, il più grande del paese. Anche se momentaneamente
la protesta è sospesa, dato il clima da “stato di emergenza” (che è stato rinnovato
di altri 3 mesi) un’infrastruttura come quella del porto è considerata
“sensibile”, infatti dopo pochi minuti il nostro ingresso due poliziotti in
moto in abiti borghesi, ma con fondina ben in vista, ci fermano su una
banchina. Riusciamo a farla franca con una spiegazione convincente quindi
possiamo rimanere all’interno e dopo che i due si allontanano possiamo
approcciarci ai pescatori che stanno facendo dei lavori di manutenzioni alle
imbarcazioni e riparando delle reti. L’accoglienza è molto calorosa e alcuni di
loro si intrattengono a parlare con noi rispondendo alle nostre domande. In
particolare interloquisce con noi un membro di un’associazione di categoria
chiamata “Associazione dei Pescatori del Mare di Ghannouch” (Ghannouch è la
zona settentrionale della città dove sorge il polo industriale) e molto attivo
negli scioperi dei giorni scorsi. Alcune risposte come dicevamo risentono della
particolarità di questo porto, ad esempio tra i motivi dello sciopero: “ I pesci non sono più come prima a causa della presenza del Gruppo Chimico
(G.C.) adesso sono anche ridotti come taglia. Uno dei motivi dello sciopero è
strettamente connesso all’attività del G.C. esso scarica 36.000 tonnellate di
derivati del fosfato e altri materiali chimici direttamente in mare. Ciò ha
portato all’estinzione di alcune specie di pesci qui nel Golfo di Gabès, anche
le alghe sono scomparse, il fondale sabbioso è diventato nero: il mare è
triste. Alcuni piccoli pescatori iniziano a vendere le proprie barche perché
non riescono più a vivere con questo lavoro.
Intorno
al 1985-90 erano i pescatori delle altre aree della Tunisia che venivano a
pescare qui, adesso al contrario siamo noi che siamo costretti a spostarci più lontano per trovare qualche
pesce.”
Circa
la struttura del porto e del numero di barche e pescatori: “Dal porto di
Gabès partono due tipi di pescherecci: le “sardiniere” (imbarcazioni piccole
per la pesca delle sardine che è ormai praticamente l’unico pesce che si pesca
qui) più le barche per la pesca costiera, ci sono anche grandi tonnare. In
tutto ci sono circa 400 barche e 2.000 pescatori. Alcune barche di grandi
dimensioni che utilizzano reti a strascico provocano ulteriori danni al fondale
(il nostro interlocutore si trova su una
barca di piccole dimensioni.. n.d.a.).
Alcuni di noi
sono laureati (indica un collega che ci
dice di avere una laurea in ingegneria industriale e ci conferma che molti sono
diplomati o hanno una laurea di vecchio o nuovo ordinamento comprensiva di
specialistica n.d.a.) ma data l’elevata disoccupazione nei settori per i
quali abbiamo studiato, per rimanere a vivere nella nostra città facciamo
questo lavoro.
Chiediamo: durante la rivolta avete partecipato ad essa con delle richieste particolari, e
da allora cosa è cambiato?
R: Abbiamo fatto
sia scioperi economici sia scioperi politici. Per quanto riguarda i primi circa
le condizioni di lavoro di cui già ho parlato inerenti alla presenza del gruppo
chimico, inoltre riguardo al costo del gasolio e anche circa la previdenza
sociale (si volta alzandosi la maglietta
e mostrandoci la schiena su cui si vedono chiaramente una decina di punti di
sutura) Ho avuto questo incidente sulla barca scivolando, per questo
incidente ho ricevuto solo 70 dt al mese (meno di 35 euro) e solo per 3 mesi.
Un
altro pescatore aggiunge: un altro problema legato a questo è che
l’amministrazione del porto si trova a Tunisi, questo è un problema per quanto
concerne la facilità della comunicazione per questi problemi e i tempi si
allungano notevolmente.
Abbiamo anche
scioperato per la caduta del regime di Ben Ali.
Rispetto ad altri colleghi, dicevate che voi a Gabès avete un problema in più:
l’attività del gruppo chimico. Il governatorato o lo stato vi danno dei
sovvenzionamenti o prevedono delle opere di bonifica delle acque?
R: Ridono… il governo non ha mai intrapreso
seri provvedimenti per la bonifica delle acque. Però c’è da dire che il G.C. di
converso ha un alto profitto: circa 9 Milioni di dinari al giorno! Noi non
chiediamo assolutamente la chiusura del G.C. sappiamo che questo tipo di
attività economica è necessaria e che inoltre migliaia e migliaia di operai di
Gabès lavorano li e vivono insieme alle loro famiglie grazie a questo lavoro.
Noi chiediamo però che la produzione del G.C. debba tenere conto
dell’inquinamento che provoca, quindi si dovrebbe produrre di meno, produrre
seguendo le norme di rispetto ambientale e soprattutto una parte di questo
profitto dovrebbe essere utilizzato per la bonifica appunto.
(Facciamo un parallelismo con la situazione
di Taranto, parlando dell’Ilva e delle posizioni di alcuni operai e in
particolare di un’organizzazione sindacale di base le quali sono molto simili a
quanto detto da loro e che si contrappongono invece ad altre associazioni vaghe
di “cittadini” che chiedono l’immediata chiusura dello stabilimento senza tener
conto invece del ruolo e dei bisogni degli operai. Annuiscono e sono d’accordo.
N.d.a.)
Aggiungono che
il ministro dell’agricoltura ultimamente ha detto vagamente che si faranno
alcune riforme, intanto l’unico provvedimento che ha preso il governo e che li
riguarda è stato diminuire del 5% del prezzo del gasolio…
Cosa farete nei prossimi giorni?
R: Probabilmente
continueremo a scioperare: Prima della “Rivoluzione” non si poteva parlare pena
la morte. Ma adesso parlano, parlano fino alla morte! Ma niente azioni
concrete…
Vuole aggiungere qualcosa?
R:
Siete
i benvenuti, se volete siete invitati tutti a casa mia per mangiare del buon
cous cous di pesce come lo facciamo qui a Gabès! Se continuate il vostro giro
qui state attenti a quella banchina dove c’è la caserma della Guardia
Nazionale, potrebbero farvi problemi per la macchina fotografica…
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