“Il 2015 – ci dice Ugo Tramballi sul Sole24Ore di oggi - sarà
forse ricordato come l'anno in cui un governo italiano prese in considerazione
l'opportunità di cambiare un pilastro
della politica estera e di difesa nazionale: da una tradizionale presenza
attiva ma defilata nelle retrovie dei conflitti sempre più frequenti, alla
partecipazione diretta ai combattimenti. Era accaduto una sola volta dalla fine
della II guerra mondiale, nel 1990 durante la liberazione del Kuwait, per un
breve periodo e con forze aeree molto limitate.”
Il giornalista che segue man mano con più enfasi le
iniziative del governo italiano continua: “Sembra ormai accertato che l'Italia stia seriamente valutando la partecipazione
ai bombardamenti aerei in Iraq, contro l'Isis.”
È questo può essere ormai considerato di “routine” al carro
degli USA, ma “Ma il nostro vero banco
di prova è la Libia dove, oltre alla presenza di forze del califfato, i
pericoli, le opportunità e il nostro
interesse nazionale sono più chiaramente definibili di quanto non lo siano
più a Est, nel Levante.”
Per il borghese imperialista la guerra è sempre naturalmente
una opportunità!
“A febbraio l'annuncio del ministro degli Esteri di un'Italia pronta a combattere e la quantificazione degli uomini necessari fatta dalla ministra della Difesa, furono un incidente. Ma anche un modo più o meno (!) involontario di tastare il terreno.”
È in gioco l’“interesse nazionale”, che diventa più
“chiaramente definibile” e l’analista fa rientrare in un comportamento normale
lo sconfinamento in acque libiche delle navi militari italiane e respinge le
accuse del generale Haftar: “E ora le accuse del governo di Tobruk - più
esattamente del generale Haftar - di sconfinamento delle tre navi militari
italiane. Fino a prova contraria vale la nettissima smentita della ministra
Pinotti. (E si poteva metterlo in dubbio?!) Ed è piuttosto evidente il
tentativo di Khalifa Haftar di sollevare un po' di polvere per non perdere il
controllo delle sue truppe durante il negoziato di pace e nel suo eventuale
dopo. Ma non sarebbe così sorprendente
né scandaloso scoprire che la Marina presidi saltuariamente le acque di un
paese in preda all'anarchia.”
Con quale disprezzo e cinismo viene giudicato il
comportamento dell’esponente dell’attuale governo libico, loro “alleato”: “Un
paese dal quale lo stesso governo di Tobruk, nostro alleato, lancia allarmi di
solito eccessivi sulla minaccia del jihadismo pronto a bivaccare in piazza San
Pietro.”
E allora diciamolo chiaramente: “Tuttavia, con o senza l'ex
generale di Gheddafi, le nostre navi, il flusso dei migranti dalle coste
libiche e la minaccia del califfato, un
intervento militare italiano è implicito nello stesso negoziato sotto
l'ombrello dell'Onu e che ora sta conducendo Bernardino Leon. Non accadrà
molto presto. L'annuncio fatto all'inizio di ottobre da Leon, è stato più
carico di speranza, di natura ottimistica, che di ragione. Ma tutti si augurano
che il compromesso fra il governo di Tripoli, quello di Tobruk, le milizie di
Misurata, Bengasi e di tutti gli altri feudi dei signori locali della guerra,
laici e islamisti, venga raggiunto il più presto possibile.”
Ma nonostante questa possibilità di soluzione “pacifica”, l’occasione
è troppo ghiotta per cui: “A quel punto l'Italia non potrà tirarsi indietro dal
partecipare - o anche guidare con una
forza militare adeguata ai suoi interessi in gioco - alla difesa del
compromesso.” E insiste: “Tutti i processi di pace comportano il rischio che
per la loro difesa debbano essere usati strumenti di guerra. Questa pace (!!!) non
farà eccezione: se raggiunta, sarà una delle più difficili da preservare.” Quindi
se proprio ci sarà, dovrà durare poco!
“E' decisivo lo stretto contatto fra Italia ed Egitto:
sempre che il presidente al Sisi decida di essere definitivamente parte della
soluzione e non del problema libico. L'ambizione egiziana di tornare ad essere
la potenza regionale passa anche da Tripoli.” Come si sa con l’Egitto il
governo italiano ha stretto rapporti politici ed economici così stretti che non potrà dire di no alle eventuali “collaborazioni”
richieste dal governo italiano. Ma intanto… bisogna cominciare a martellare
l’opinione pubblica in Italia: “Ma sarebbe utile che intanto la politica e
l'opinione pubblica italiane incominciassero a chiedersi quanto siamo pronti a rischiare per una pace in Libia.”
(Tutte le sottolineature in grassetto sono nostre)
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