lunedì 2 novembre 2015

pc 2 novembre - "A 10 ANNI DALLA RIVOLTA DELLE BANLIEUES IL RAZZISMO DILAGA..." - FAR RINASCERE 10,100,1000 BANLIEUES - 21 NOVEMBRE MEETING

(da una intervista apparsa su Il Manifesto di sabato 31/10)

"Arabo, mal rasato, tra i tre­dici e i trent’anni, indossa una felpa con il cap­puc­cio e cam­mina con una Molo­tov in una mano e un col­tello nell’altra. Si fa una canna nei sot­to­scala. Incen­dia delle auto. Tira a cam­pare gra­zie a dei traf­fici ille­citi o fro­dando l’assistenza sociale. Stu­pra le ragazze nelle can­tine; ascolta le pre­di­che fon­da­men­ta­li­ste nelle stesse can­tine. Odia la Fran­cia, l’ordine e dete­sta i fran­cesi (intesi come ’bian­chi’). Ama la jihad. Il suo sogno: bat­tersi in Siria al fianco di Al Qaeda o dell’Isis, per poi tor­nare in Fran­cia per com­met­tere degli atten­tati. Il ’gio­vane della peri­fe­ria’ è l’orco dei tempi moderni».
Poli­to­logo e docente a Scien­ces Po e all’Hec di Parigi, Tho­mas Gué­nolé con il suo recente Les jeu­nes de ban­lieue mangent-ils les enfants?, uscito nell’anniversario dalla più grande rivolta urbana della sto­ria fran­cese, scop­piata nell’ottobre del 2005, cerca di smon­tare il mito nega­tivo che cir­conda la figura del «gio­vane di peri­fe­ria», fan­ta­sma ricor­rente che ali­menta ogni sorta di timore nella società. 

Cosa è cam­biato nel frat­tempo e chi sono dav­vero que­sti ragazzi?
Passo dopo passo, nel corso di que­sto decen­nio, il raz­zi­smo è diven­tato un feno­meno di massa in Fran­cia. Dieci anni fa, Nico­las Sar­kozy intro­du­ceva nel dibat­tito pub­blico un lin­guag­gio aggres­sivo nei con­fronti dei ban­lieu­sard, ma erano in campo anche altre opzioni.
Oggi, il dibat­tito è total­mente domi­nato da quel tipo di toni e posi­zioni che pun­tano ad ali­men­tare
paura e inqui­tu­dine, in un modo del tutto immotivato.
I gio­vani che vivono in ban­lieue sono infatti poco più di un milione e nel 98% dei casi non sono né dei «paras­siti», né dei delin­quenti o appar­te­nenti a bande cri­mi­nali, né dei pro­se­liti dell’islam radi­cale. Solo che il cosid­detto ascen­sore sociale è in panne da tempo e così sol­tanto un pic­colo numero di costoro rie­sce a tro­vare un lavoro qua­li­fi­cato... Per tutti gli altri, si tratta di soprav­vi­vere tra disoc­cu­pa­zione, lavo­retti pre­cari, «l’arte di arran­giarsi» e la noia. O la fru­stra­zione di un oriz­zonte senza prospettive.
Inol­tre, c’è una cosa che salta subito agli occhi: que­ste zone pre­sen­tano le mede­sime carat­te­ri­sti­che socio-economiche dei paesi in via di svi­luppo: il fatto che un abi­tante su due sia gio­vane, sotto in trent’anni, l’elevato tasso di disoc­cu­pa­zione, l’assenza di for­ma­zione, lo stato di abban­dono delle infrastrutture.
Gli ste­reo­tipi e i pre­giu­dizi in base ai quali sono descritti que­sti gio­vani celano in realtà una nuova «que­stione sociale»?
In gran parte sì. Nel momento in cui il vostro benes­sere pog­gia sulla povertà di qualcun’altro, avrete sem­pre biso­gno di demo­niz­zare quest’ultimo per giu­sti­fi­care la palese ingiu­sti­zia, anche solo di fronte a voi stessi. In caso con­tra­rio, se si dovesse ammet­tere che, come è nella realtà dei fatti, la grande mag­gio­ranza dei gio­vani disoc­cu­pati, pre­cari o senza alcun red­ditto di que­sto paese, vale a dire i ragazzi delle ban­lieues, non sono né dei ban­diti né degli appro­fit­ta­tori e non rap­pre­sen­tano alcun tipo di peri­colo, la pro­spe­rità e l’agio di cui godono le classi medio-alte del paese risul­te­reb­bero intol­le­ra­bili di fronte a una tale esten­sione della povertà.
In que­sto senso, la stig­ma­tiz­za­zione dei ban­lieu­sard è pres­so­ché neces­sa­ria per i maschi bian­chi e adulti appar­te­nenti alle classi supe­riori che gui­dano la nostra società.
I mostruosi ragazzi delle peri­fe­rie incar­nano le peg­giori paure di costoro: la paura dei gio­vani, dei poveri, degli arabi, dei neri, dei musul­mani. E minac­ciano le loro case, i loro beni, le loro donne, ogni cosa. Per risol­vere il cosid­detto pro­blema delle ban­lieue si dovrebbe in realtà abbat­tere il sistema di segre­ga­zione eco­no­mica sociale e cul­tu­rale su cui si basa la Fran­cia del 2015.
Il socio­logo Emma­nuel Todd sostiene che mal­grado le grandi mani­fe­sta­zioni uni­ta­rie che hanno fatto seguito alla strage a «Char­lie Hebdo», il paese non abbia in realtà supe­rato le sue divi­sioni e in par­ti­co­lare l’esclusione che col­pi­sce gli abi­tanti delle peri­fe­rie urbane. È d’accordo?
In effetti, come ha spie­gato Todd, quella che va per la mag­giore è in realtà un’affermazione falsa. Dopo la strage, è il ceto medio a essere sceso in piazza e a essersi pre­sen­tato come por­ta­voce dell’intera nazione. Ma in quelle mani­fe­sta­zioni i gio­vani delle ban­lieue, come il resto dei ceti popo­lari, erano scar­sa­mente rappresentati...

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