(da una intervista apparsa su Il Manifesto di sabato 31/10)
"Arabo, mal rasato, tra i tredici e i trent’anni, indossa una felpa
con il cappuccio e cammina con una Molotov in una mano e un
coltello nell’altra. Si fa una canna nei sottoscala. Incendia delle
auto. Tira a campare grazie a dei traffici illeciti o frodando
l’assistenza sociale. Stupra le ragazze nelle cantine; ascolta le
prediche fondamentaliste nelle stesse cantine. Odia la Francia,
l’ordine e detesta i francesi (intesi come ’bianchi’). Ama la jihad.
Il suo sogno: battersi in Siria al fianco di Al Qaeda o dell’Isis, per
poi tornare in Francia per commettere degli attentati. Il
’giovane della periferia’ è l’orco dei tempi moderni».
Politologo e docente a Sciences Po e all’Hec di Parigi, Thomas Guénolé con il suo recente Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?, uscito nell’anniversario dalla più grande rivolta urbana della storia francese, scoppiata nell’ottobre del 2005, cerca di
smontare il mito negativo che circonda la figura del «giovane di
periferia», fantasma ricorrente che alimenta ogni sorta di timore
nella società.
Cosa è cambiato nel frattempo e chi sono davvero
questi ragazzi?
Passo dopo passo, nel corso di questo decennio, il razzismo
è diventato un fenomeno di massa in Francia. Dieci anni fa, Nicolas
Sarkozy introduceva nel dibattito pubblico un linguaggio
aggressivo nei confronti dei banlieusard, ma erano in campo anche altre opzioni.
Oggi, il dibattito è totalmente dominato da quel tipo di toni
e posizioni che puntano ad alimentare
paura e inquitudine, in un
modo del tutto immotivato.
I giovani che vivono in banlieue sono infatti poco più di un
milione e nel 98% dei casi non sono né dei «parassiti», né dei
delinquenti o appartenenti a bande criminali, né dei proseliti
dell’islam radicale. Solo che il cosiddetto ascensore sociale è in
panne da tempo e così soltanto un piccolo numero di costoro riesce
a trovare un lavoro qualificato... Per tutti gli altri, si tratta di sopravvivere tra
disoccupazione, lavoretti precari, «l’arte di arrangiarsi» e la
noia. O la frustrazione di un orizzonte senza prospettive.
Inoltre, c’è una cosa che salta subito agli occhi: queste zone
presentano le medesime caratteristiche socio-economiche dei paesi
in via di sviluppo: il fatto che un abitante su due sia giovane,
sotto in trent’anni, l’elevato tasso di disoccupazione, l’assenza di
formazione, lo stato di abbandono delle infrastrutture.
Gli stereotipi e i pregiudizi in base ai quali sono
descritti questi giovani celano in realtà una nuova «questione
sociale»?
In gran parte sì. Nel momento in cui il vostro benessere poggia sulla
povertà di qualcun’altro, avrete sempre bisogno di demonizzare
quest’ultimo per giustificare la palese ingiustizia, anche solo di
fronte a voi stessi. In caso contrario, se si dovesse ammettere che,
come è nella realtà dei fatti, la grande maggioranza dei giovani
disoccupati, precari o senza alcun redditto di questo paese, vale
a dire i ragazzi delle banlieues, non sono né dei banditi né
degli approfittatori e non rappresentano alcun tipo di pericolo,
la prosperità e l’agio di cui godono le classi medio-alte del paese
risulterebbero intollerabili di fronte a una tale estensione
della povertà.
In questo senso, la stigmatizzazione dei banlieusard è pressoché necessaria per i maschi bianchi e adulti appartenenti alle classi superiori che guidano la nostra società.
I mostruosi ragazzi delle periferie incarnano le peggiori paure
di costoro: la paura dei giovani, dei poveri, degli arabi, dei neri,
dei musulmani. E minacciano le loro case, i loro beni, le loro donne,
ogni cosa. Per risolvere il cosiddetto problema delle banlieue si
dovrebbe in realtà abbattere il sistema di segregazione economica
sociale e culturale su cui si basa la Francia del 2015.
Il sociologo Emmanuel Todd sostiene che malgrado le grandi
manifestazioni unitarie che hanno fatto seguito alla strage a
«Charlie Hebdo», il paese non abbia in realtà superato le sue
divisioni e in particolare l’esclusione che colpisce gli
abitanti delle periferie urbane. È d’accordo?
In effetti, come ha spiegato Todd, quella che va per la maggiore è in
realtà un’affermazione falsa. Dopo la strage, è il ceto medio a essere
sceso in piazza e a essersi presentato come portavoce dell’intera
nazione. Ma in quelle manifestazioni i giovani delle banlieue, come il resto dei ceti popolari, erano scarsamente rappresentati...
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